carta st[r]amp[al]ata n.44

di Fabrizio Tonello

Documenti esaminati dal Financial Times, da Le Monde, dall’Asahi Shinbun e da Nazione Indiana rivelano finalmente la verità sul tunnel tra Ginevra e l’Abruzzo, la cui esistenza è stata rivelata dal comunicato stampa di Mariastella Gelmini il 23 settembre. Secondo il ministro della Pubblica Istruzione, “alla costruzione del tunnel tra il Cern e i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento, l’Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro”.

L’opera doveva restare supersegreta in quanto il suo scopo era la fuga in Svizzera di Berlusconi in caso di arresto su mandato di cattura delle procure di Napoli, Roma, Bari, Milano (seguono le altre 101 procure italiane, qui omesse per brevità).

Come sappiamo, dopo il 25 luglio Mussolini fu arrestato dai carabinieri e condotto proprio al Gran Sasso ma, poiché nel 1943 non esisteva il tunnel, il Duce fu costretto a far intervenire i paracadutisti tedeschi guidati da Otto Skorzeny rischiando che scoppiasse un casino. Il giovane Silvio, che già allora giocava con la sabbia per scavare buche che gli permettessero di arrivare a tirare le trecce delle bambine in spiaggia, pensò subito che se proprio uno doveva scappare in Svizzera ci voleva un traforo, non quei voli militari che non si sa mai come possono andare a finire.

Detto fatto, nel 1994 Berlusconi divenne Presidente del consiglio e immediatamente affidò al ministro Lunardi la costruzione dell’opera, appaltata alla ditta della moglie dello stesso Lunardi, la Rocksoil, per ragioni di segretezza. I primi problemi nacquero quando il governo cadde, ma un breve incontro alle isole Cayman con il nuovo primo ministro, Lamberto Dini, permise ai lavori di proseguire. I primi 10 milioni dello stanziamento furono impiegati da Lunardi per studiare la tecnologia più adatta e cercare i fornitori più affidabili in giro per il mondo: fruttuosi contatti vennero stretti nel corso di numerosi viaggi a Cannes, Ibiza, Miami Beach, Acapulco, Bali, alle Maldive e alle Laccadive.

Esaurita la fase preliminare, e tornato Berlusconi al governo nel 2001, i lavori per il tunnel da 732 chilometri furono effettivamente iniziati. Se scavare sotto le montagne abruzzesi e umbre non provocò difficoltà, il primo problema nacque quando gli ingegneri si accorsero che il tragitto più breve passava sotto Firenze, anzi esattamente sotto il campanile di Giotto. Poiché le vibrazioni avrebbero potuto insospettire il sacrestano e infastidire i turisti, fu scelta una variante che passava invece da Lucca, percorso fortemente caldeggiato dall’allora presidente del Senato Marcello Pera. La deviazione costò 5 milioni di euro, in aggiunta ai 20 già spesi per raggiungere la Toscana.

Nel 2006 il tunnel raggiunse Torino ma l’esito delle elezioni rese necessario creare un’attività di copertura che potesse giustificare la continuazione dei lavori (i trafori, con il via vai dei camion, fanno un sacco di polvere) e quindi fu ideato il progetto di Alta Velocità  ferroviaria attraverso la val di Susa, in direzione di Lione. Naturalmente tutti sapevano che la TAV non aveva nessun senso e che si trattava di una bufala colossale, ma Berlusconi avvisò Sarkozy di qual era il vero scopo della faccenda e il governo francese decise di fingere di crederci. Costo del colloquio: 3 milioni di euro.

Nel 2008 Silvio tornò a Palazzo Chigi e decise che il tunnel per la Svizzera sarebbe probabilmente stato necessario molto presto, quindi si decise di accelerare ulteriormente i lavori nonostante il percorso (con la deviazione lungo la finta Torino-Lione) si fosse allungato di molto. La ditta Lunardi, però, chiese una revisione dei prezzi dovendo tenere a libro paga non soltanto Tarantini e Lavitola ma anche Ruby Rubacuori, Patrizia d’Addario, Barbara Monteleone, Nicole Minetti e le gemelle Kessler. Gli ultimi 7 milioni di euro se ne andarono così e Tremonti rifiutò tutte le richieste di ulteriori stanziamenti a meno che il traforo non fosse fatto passare da Sondrio. Di qui l’ira di Berlusconi e la rottura fra i due.

Di tutto il governo, solo la Gelmini pensava che il tunnel fosse effettivamente stato completato. L’ex consigliere comunale di Desenzano del Garda e avvocato di Reggio Calabria era convinta che, vantando la costruzione dell’opera a scopi scientifici, avrebbe preso due piccioni con una fava: attribuirsi il merito dell’esperimento in quanto ministro dell’Università e della Ricerca e nello stesso tempo occultare meglio lo scopo reale del tunnel.

Purtroppo Silvio, tutto preso dalle nuove e più giovani ragazze, si era scordato di avvisare Mariastella che il piano di fuga verso la Svizzera era stato abbandonato quando Ghedini gli aveva fatto sapere che esisteva un trattato di estradizione con l’Italia e che difficilmente avrebbe potuto dichiararsi “prigioniero politico” per ottenere asilo. La nuova destinazione pare sia la Russia, dove Putin ha graziosamente offerto a Berlusconi e alle Olgettine una grande dacia in Siberia.

Quanto al tunnel, le chiavi sono state provvisoriamente affidate a Renzo Bossi, il “Trota”, che sta studiando la possibilità di una corsa ciclistica fra Bussolengo (l’entrata piemontese) e i laboratori del Gran Sasso (uscita abruzzese). I fisici che lavorano qui hanno però manifestato una certa reticenza perché il traffico di biciclette potrebbe disturbare i neutrini.

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6 Commenti

  1. questo è uno dei rari casi in cui i social network battono i blog.
    i fatti li sappiamo, la ministra è ignorante come una zucca, e una battuta può più di tante parole.

    la prima pescata su twitter:

    *Renzo Bossi: «Io il #tunnelGelmini lo conoscevo già dai tempi delle interrogazioni in geografia».*

  2. non mi pare il caso in cui i social network battono i blog. il pezzo di tonello è una argomentazione divertita, divertente, colta che ammicca al lettore e alla Storia. non una boutade. ma è la mia opinione. chi.

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