Wien – Mitte

di Giovanni Catelli

Tu credi ancora, lo so, di poter un giorno ritornare, a quella stanza della F.Strasse, a quei mattini, a quella musica, quasi che le cose, la luce, la stagione, ti potessero aspettare, immutabili, sospese, nella perfezione innaturale del ricordo, nella pace del tempo che non fugge, come in quei giorni a primavera, in lieve anticipo su tutto, in quell’attesa leggera di partenze, d’ogni cosa misteriosa del futuro.

Non avevi ancora biglietti, treni, appuntamenti, nessuna cifra s’incideva, nera, sulle carte del domani, Praga ti aspettava, in una lontananza tenue, familiare, in ogni leggera foschia serale oltre la Westbahnhof, in ogni brauner bevuto solo al Kleines Cafe, dove lei già non si vedeva, già mancava senza risposta, silenziosa scavava un vuoto tra le cose, separava sottile i tuoi gesti dal passato, ti cedeva ignaro alle vie fredde, ancora luminose nel crepuscolo.
Iniziavi a chiamare, stupito dell’assenza, dalle cabine illuminate che incontravi, come silenziosi messaggeri del ritardo, e del mancare : sentivi le monete ricadere, ogni volta, con identico tinnire solitario, già sapevi delle stanze vuote, dello scuro apparecchio che suonava, in quell’ultimo piano della Burggasse, vicino alla finestra senza tende, che ospitava nel buio i tuoi pensieri, e tutta la città notturna, immobile, per sempre silenziosa.
Pensavi ad improvvisi cambiamenti d’abitudini, nuove compagnie, temporanei lavori serali, non temevi l’imprevisto, nella sua vita senza rive, ma qualcosa mancava, nei giorni, un’abitudine, un saluto, un incontro, un biglietto di sorrisi lasciato al caffè, una chiamata notturna, un impalpabile cenno dell’esistere.
Il vuoto s’addensava, improvviso, a momenti, ad un incrocio assolato, dove un tempo appariva, nel chiaro mezzogiorno, in quel caffè rumoroso dove pranzava di fretta, scherzando con le amiche, o in un’ora della sera, dietro a Stephansdom, dove tra le risa e i conversari dei locali non poteva mancare a lungo la sua voce.
Non volevi pensare, non volevi, così vaste le giornate intorno a te, già così profonda la luce nel cielo fino a sera, scavalcavi quei binari, a Mitte, senza sentire ancora il richiamo del partire, quell’incauta nostalgia delle distanze, tutto era calmo e lento nella vita, le ore si smarrivano stupite nel chiarore, s’adagiava il tempo nelle piazze, sperduto già il suo battito nell’ampio ritardare.
Lei avanzava, piano, nell’ombra, senza dar cenno del mancare, del dissolversi, presente già senza rimedio nei pensieri, e dunque certa di resistere, in agguato, in altre vite parallele, già fuggita, per molteplici giornate ignote, ore senza nome, senza sguardo, senza più certezze agli smarriti.
Tu sapevi accogliere, fedele, i doni dell’istante, ancora non scorgevi la precisa direzione della vita, forse ti bastava quel ritardo, la felice sospensione d’ogni moto del destino, l’ignaro e lieve perdersi, nelle fatue suggestioni che il giorno ti schiudeva, nella vaghezza lieta di un presente, che ancora tratteneva ogni sua silenziosa meraviglia.

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12 Commenti

  1. Molto bello. Racconto venuto dal lembo di un tempo dove l’attesa era.
    Il tempo a Prague, nell’ombra del ricordo, nell’ombra di un amore.
    Questo racconto sa del vuoto, del tempo prima di una fuga, sa di una città letteraria, di una città che sapeva la magia. Un racconto che mi incanta con la sua musica, la sua poesia. Mi ricorda tante partenze con la città dietro, il sogno davanti, il tempo lungo dell’orologio, l’ombra ancora misteriosa del paesaggio, l’identità errante.

  2. Mi sono sbagliata nel mio commento-il tempo dell’attesa- è quello di luoghi in Germinia- e non so perché mi ho fato questa fuga a Praga, forse perché Praga è il luogo del viaggiatore di un altro tempo- si vive nell’ombra di Kafka, ombra stessa della letteratura, ombra del confine irragiungibile.

  3. per vèronique
    Praga è presente nel racconto, è giusto…
    la partenza sempre attesa era verso Praga…
    vienna è come una periferia…ma il centro di tutto è praga…
    dunque hai “sentito” bene il senso…

  4. Grazie Giovanni.

    Come in questo periodo ho crisi di asma, sono un po’ addormentata, credevo che avevo capito male.

  5. Ciò che emerge da questo racconto è uno stato d’animo universale, indipendente dal fascino del luogo.. “un biglietto di sorrisi lasciato a un caffè” è magia….
    Molto bello.

  6. Il dentro e il fuori sono in tensione,e nello stesso tempo in armonìa.
    Le visioni del ricordo,che abbracciano passato,presente e futuro,sanno di una incurabile nostalgìa:la donna,il luogo,la vita nel suo mistero.
    E’ poesia l’aria che si respira,tutto è sospeso.
    Lei riesce con l’arte della parola,a plasmare il tempo in un incantesimo.
    E’ una dolce e triste meraviglia.
    Grazie!

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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