Underworlds

di Mauro Baldrati

Se l’autore deve scrivere di ciò che sa, Alan Altieri, con l’ultima raccolta di racconti Underworlds (TEA 2011), ha scelto ciò che non sa: l’oscuro, l’abissale, l’inaudito. Ha scelto ciò di cui ha paura, manipolando una materia pericolosa, esplosiva, di cui tutti abbiamo paura: mondi sotterranei, proiezioni psicostoriografiche di futuri possibili, frattali derivati da un aggravamento – solo fino a un certo punto arbitrario – di tendenze già presenti nella nostra società “(in)umana”, come la definisce lo stesso autore, e dall’animo nero dell’essere “(in)umano”. Questo è una delle procedure di una certa fantascienza anni ’70, portare al limite di rottura – o anche oltre il limite – gli elementi di crisi sociale del nostro mondo, e della nostra epoca, fino alla creazione di mondi che nascono dall’evoluzione del nostro, come sogno, come prospettiva, oppure come incubo. Altieri, come molti altri autori, ha da tempo scelto l’incubo. Non a caso è definito, nello stesso risvolto di copertina del libro, “il Maestro italiano dell’apocalisse”.

Non è un luogo comune l’affermazione che la fantascienza è uno stile, un genere che racchiude al suo interno codici complessi di denuncia sociale. Quanti, nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta avrebbero potuto immaginare l’avvento di un regime come quello berlusconiano? Forse solo gli scrittori di fantascienza sarebbero stati in grado di immaginare, dopo i padri della patria, le lotte operaie, le occupazioni delle fabbriche, lo statuto dei lavoratori, la rivolta studentesca, l’entrata in scena della parodia di un sultano che sembrava nato dalla smorfia macabra del Predappiofesso. Invece la realtà, come spesso accade, ha superato la fantasia. E l’incubus si è realizzato.

Pur non essendo una raccolta specializzata di science fiction, Altieri ne utilizza a fondo la procedura, la porta per così dire al livello di emergenza. Quale passaggio finale manca a programmi definiti reality come Il grande fratello? Per cercare di rastrellare ascolti sono stati introdotto insulti, bestemmie, scontri verbali e fisici, sesso, overdosi di aggressività, maleducazione. Cosa manca ancora? Ora i tempi non lo permettono, non ancora, ma lo snuff movie è l’evoluzione naturale di una programmazione priva di scrupoli il cui fine unico è stupire lo spettatore, violentarlo per stimolare il suo voyeurismo e tenerlo incollato al video. Nel racconto inedito Totentanz, forse il più estremo di tutta la sua produzione, il programma televisivo omonimo è un’esplosione di violenza senza limiti. Ambientato in un tempo futuro non definito, ma definibile, all’interno della casa sono permessi l’omicidio, la strage, lo stupro multiplo, il tutto ripreso da decine di telecamere che seguono i personaggi ovunque, bagni compresi. All’esterno un’umanità urlante e violenta assiste allo spettacolo su enormi schermi, mentre avvengono scontri mortali tra le opposte fazioni.

La paura dell’apocalisse esplode in un altro racconto fortemente science fiction, Un’alba per l’Ecclesiaste, dove torna uno degli incubi preferiti di tanti capolavori del genere, primo fra tutti Io sono leggenda di Richard Matheson: la metropoli (New York) distrutta, cancellata, morta; la città vuota perché l’umanità si è quasi del tutto estinta. In una nuova giungla fatta di relitti di palazzi, scheletri di grattacieli, parchi diventati foreste selvagge, con le strade dilaniate, sprofondate, invase da branchi di cani feroci e di jene, un sopravvissuto, un ragazzo di 17 anni, cerca di raggiungere l’Empire State Building per realizzare il suo sogno: vedere per una volta, una sola, il sole che nasce dalle acque dell’oceano. E in sKorpi@ 6.6, il quarto racconto, l’osmosi tra l’umano, o ciò che ne resta, e un Dio– macchina cibernetico rappresentato da un gigantesco scorpione con doppio aculeo si compie definitivamente.

Underworlds non è neanche una raccolta di genere supernatural, eppure in due racconti dedicati a due maestri del gothic-horror i luoghi dell’oscuro entrano in scena con forza dirompente: Full dagon five è una cover personalizzata di Dagon, uno dei racconti più famosi del maestro del Supernatural Horror in Literature, Howard Phillips Lovecraft. Nel testo del maestro un naufrago ha un incontro ravvicinato con una misteriosa divinità degli abissi, in quello di Altieri è un sommergibile modernissimo, una spaventosa macchina di distruzione, che va incontro a un’altra macchina più potente di lui. Perché, come scrive l’autore, “contro l’umana stupidità, c’insegnano i greci, nemmeno gli dei possono nulla. Per contro, i demoni possono tutto”. L’incubo, il gotico formano il ghigno beffardo della Maschera della Morte Rossa, uno dei racconti-culto di Edgar Allan Poe, riscritto da Altieri nel formidabile L’ultimo rogo della Morte Rossa, dove il Principe Prospero diventa Calvin J. Prosper, un Presidente degli Stati Uniti obeso, drogato, scoppiato, rinchiuso “nell’ultima fortezza della terra”, difesa carri armati e truppe speciali, nell’inutile sogno di tenere fuori la terribile pestilenza che sta estinguendo l’intera specie umana.

Generi science fiction, supernatural, horror, (fantasy addirittura, con un’incursione molto libera nel racconto Giorno Segreto, dove si parla di streghe) ma non solo: in Scarecrow, il racconto lungo che apre la raccolta, mentre sta per scatenarsi l’orgia di violenza di un americano medio, nelle frequenti riprese narrative di un campo continuiamo a visualizzare Campo di grano con volo di corvi, che da alcuni è considerato l’ultimo quadro dipinto da Van Gogh prima di morire. D’altra parte l’ha scritto lo stesso Altieri nel 2008 nell’editoriale di presentazione del blog Segretissimo, la collana di spy story di cui è stato direttore editoriale: “La sovrapposizione/ibridizzazione dei generi è ormai una precisa realtà narrativa. Le linee di confine tra le tante anime della narrativa si fanno sempre meno definite. E sempre più stimolanti”.

Gli stili si fondono, si alternano, ma sono governati con mano ferma e tenuti insieme da una materia duttile, malleabile, mutante, ma tenace: la paura che tutto crolli, che esploda, che nulla cambi, che l’uomo sia vittima delle propria follia. E’ la materia incendiaria formata dalla ribellione dell’uomo che vuole vivere, che vuole credere e lottare, mentre è costretto a subire l’offesa quotidiana del potere, con la sua violenza, la sua ipocrisia e la sua oscenità.

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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