Articolo precedente
Articolo successivo

La crisi economica e lo spazio comune della rappresentanza

[pubblico questa presentazione/invito al convegno “Spaziocomune. Costruire partecipazione nel tempo della vulnerabilità” che si terrà il 24/25 febbraio a Lucca. Il progetto Spaziocomune, all’interno del quale si inserisce il convegno, individua una perdita poco visibile alle statistiche di stampo economicista: la perdita di fiducia e il vuoto nella gestione collettiva e politica del sistema. A partire da questa consapevolezza si avviano nuovi percorsi di partecipazione.]

di Riccardo Guidi

Il progetto Spazio Comune prende le mosse da due variabili che si intrecciano: la crescita esponenziale di nuove vulnerabilità in ceti che non avevano mai conosciuto il rischio della povertà; una possente deriva oligarchica a fronte della quale l’attuale articolazione delle forme della democrazia non sembra in grado di proporre risposte efficaci. Si concentra su queste due tendenze che spesso vengono trascurate dal dibattito pubblico. Il progetto è un sistema di laboratori, promossi dalla Fondazione Volontariato e Partecipazione e dalla rivista Animazione Sociale ed è composto da oltre 300 persone di 8 regioni italiane: amministratori pubblici, dirigenti e operatori di cooperative sociali, rappresentanti di organizzazioni del terzo settore, docenti e ricercatori universitari. Si sono riuniti negli ultimi mesi e si stanno dando appuntamento a Lucca per il 24 e 25 febbraio per discutere su come poter costruire nuovi spazi di partecipazione partendo proprio dalle nuove vulnerabilità.

Capita infatti ad un numero crescente di persone di vivere criticità accellerate da  tumultuosi cambiamenti epocali. Esemplifichiamo un possibile percorso: quotidianamente ci assediano miriadi di opportunità che ci portano a vivere vite trafelate e al di sopra delle possibilità, facciamo sempre più i conti con una crisi che comporta difficoltà di “arrivare alla quarta o alla terza settimana”. Si aprono così nuovi disagi, si sviluppano malattie -in particolare la depressione- che attraversano in particolare quel “ceto medio impoverito” quello dei cosiddetti “vulnerabili”. Per queste persone la crescente evaporazione dei legami sociali rende più difficile l’elaborazione del limite e il fronteggiamento delle difficoltà. L’area dei vulnerabili sta silenziosamente slittando verso la povertà. Ma non solo: rappresenta anche un “tacito esodo” dalla cittadinanza. Una fuga da quello che non ci rappresenta più, dallo Stato agli enti locali, ma anche qualsiasi altro istituto della società civile. In questo contesto diventono appetibili linguaggi politici semplificatori e potenzialmente eversivi.

Spazio Comune riflette su come i vulnerabili siano spesso persone interessate allo spazio pubblico e perciò avvicinabili anche da modalità di esercizio dell’autorità in grado di rassicurare senza illudere, di coinvolgere per costruire insieme intorno ad oggetti quotidiani, utili, non stigmatizzati. Una risorsa sociale dunque da valorizzare per chi ha a cuore le sorti della democrazia. Per farlo è necessario un forte rinnovamento delle tradizionali attrezzature metodologiche messe in campo nei percorsi partecipativi come dimostrano alcune  esperienze partecipative nell’area del welfare, dell’ambiente e dell’urbanistica (spesso con significative collaborazioni tra cittadini e istituzioni). Esperienze che mettono in campo la diffusione di nuove competenze in una vasta gamma di operatori, responsabili tecnici e politici di istituzioni e terzo settore. Questi contenuti saranno al centro del convegno nazionale “Spaziocomune. Costruire partecipazione nel tempo della vulnerabilità”, il primo incontro nazionale della rete di laboratori di promozione di cittadinanza attiva.
Si aprirà il 24 febbraio a Lucca ospitato da Villaggio Solidale, il Salone Nazionale del Volontariato. Gli obiettivi dei laboratori sono molteplici: mappare le esperienze che stanno muovendosi per fronteggiare in modo attivo le nuove vulnerabilità, connetterle e costruire, a partire da queste connessioni, nuove ipotesi di lavoro. Ma anche promuovere l’avvio di percorsi e progetti in grado di fronteggiare queste nuove criticità attraverso lo sviluppo di percorsi partecipati in grado di arricchire e articolare le attuali forme della democrazia.

Il convegno nazionale si svilupperà in quattro sessioni che affronteranno altrettante aree tematiche. “Geografie sociali in trasformazione”, “Generare risorse sociali”, “Nuove forme partecipative crescono”, “Trasformazioni culturali e vulnerabilità”. Intorno a questi temi si confronteranno alcuni fra i maggiori esperti a livello nazionale e non solo come il sociologo Alain Ehrenberg dell’Université Paris Decartes, il filosofo e psicanalista Miguel Benasayag, il presidente del Censis Giuseppe De Rita, il professore Ilvo Diamanti dell’Università di Urbino ed è previsto un intervento dell’attore e conduttore televisivo Patrizio Roversi.

L’iscrizione è obbligatoria, per informazioni www.spaziocomune.eu, info@volontariatoepartecipazione.eu.

Print Friendly, PDF & Email

12 Commenti

  1. Sono contento Maria Luisa che tu abbia postato qui il programma di questo convegno. Da un po’ di tempo sto’ riflettendo (a tastoni) ai rapporti tra società e saperi. Nel caso specifico, all’impatto che dei discorsi nati nell’ambito delle scienze sociali riescano a realizzare, permattendo di fornire strumenti d’azione, vocabolari condivisi, qualche linea di condotta. Questa trasmissione non va da sé, ne è particolarmente fatta oggetto di studio. Eppure potrebbe dirci molto sulle capacità del nostro paese di valorizzare le proprie risorse cognitive. Leggendo questo pezzo, al volo, mi vengono due osservazioni. A fronte di una tematica d’interesse immediatamente generale emerge – seppure in modo in questo caso non prepotente – un gergo da addetti ai lavori, sul quale si dovrebbe riflettere criticamente. Due movimenti simultanei: uno di condivisione nei temi, l’altro di esclusione nel linguaggio. Ovviamente qui l’aspetto gergale è appena percepibile, ma esiste.
    Più in generale, in ogni caso, sarebbe importante valutare l’esito di convegni del genere: quanto riescono a rinnovare positivamente la nostra immagine della socità, rendendola più precisa, e quanto poi siano in grado di mettere in comune questa stessa immagine?

    • Grazie del commento, Andrea. Concordo pienamente sulla necessità di riflettere criticamente sui vocabolari da addetti ai lavori e sul loro potenziale escludente. Credo anche che questa necessaria riflessione non debba portare a buttar via i vocabolari tecnici, ma ad orientarli meglio ai destinatari e a contaminarli. Penso ad un ‘vocabolario in uso collettivo’ che prova a contaminarsi attingendo dai saperi di tutti/e (non solo dai saperi tecnici ma anche da tutti i saperi esperti, saperi popolari in primis). Spero che anche grazie alla tua osservazione sapremo farcela.
      Sull’esito del convegno potremo dire qualcosa ex-post. Sin da ora posso dire che il convegno ha un ‘prima’, un sistema di laboratori regionali ‘a legami deboli’ (costituiti da amministratori locali, università, terzo settore, lavoratori e lavoratrici del sociale e non solo) che hanno già provato a mettere in comune (uno Spazio Comune, appunto) un’immagine più chiara della società in cui viviamo. Spero che il convegno del 24-25 Febbraio sia uno strumento per mettere in comune immagini, interpretazioni e intenzioni su di noi ed il ‘sociale’/’politico’. Arrivederci a Lucca. Riccardo

  2. Grazie della risposta. L’idea dei laboratori regionali sembra un ottimo mezzo per spingere a una condivisione e diffusione del sapere universitario. Speriamo di potere avere anche qui qualche ritorno sull’esito di questa vostra iniziativa. (Io non sono un sociologo, ma un appassionato lettore di sociologia. E ho l’impressione, spesso, che in Italia la sociologia viva un po’ clandestina, anche se non ho elementi per spiegarmi perché le cose appaiano così e quanto questa clandestinità nel dibattito pubblico sia contraddetta da un’ottima salute nei lavori sul campo.)
    In ogni caso, buon lavoro.

  3. Cosa diavolo sarebbe un oggetto quotidiano utile non stigmatizzato?
    Io non ci arrivo, ci ho pensato tutta la mattina e non l’ho trovato.
    Uno spazzolino da denti è stigmatizzato o no? Cioè utile lo è, quotidiano pure, ma stigmatizzato? Sembrerebbe di no! Io non ho mai visto nessuno stigmatizzare spazzolini da denti, non so come si potrebbe fare a stigmatizzarli. IL problema peró è che non so che cosa si possa costruire intorno a uno spazzolino da denti.
    Sará il microode, allora, il calzascarpe. Non mi ci raccapezzo. Qui in Al-Andalus i velnerabili li chiamano Jodidos, a Sud del Rio Grande chingados.
    Ripsondete alla mia prima domanda per favore.
    genseki

    • Grazie dell’attenzione e del commento, genseki. Quello che richiami è un punto fondamentale. La stigmatizzazione è un processo di attribuzione contestuale di significato. Uno spazzolino da denti o un pacco di pasta sono oggetti che, pur restando uguali a se stessi, hanno differenti significati se vengono comprati al supermercato, dati/ricevuti da un centro Caritas, regalati dal/dalla tua/o fidanzato/a. Nessun oggetto quindi è stigmatizzato in sè. Ciò che stigmatizza è piuttosto la struttura e la dinamica delle relazioni nelle quali transita l’oggetto.
      Come lavorare sulla vulnerabilità? Ci sono due modalità fondamentali: (1) Una parte dai deficit delle persone. Costruire relazioni sulla base dei deficit è un buon presupposto per la stigmatizzazione: le persone prenderanno il nome dai deficit attribuiti loro (‘i sordi’, ‘i poveri’, ‘i malati’, ‘i soli’…). Gli oggetti che transiteranno dentro queste relazioni saranno marchiati dallo stigma e quando ‘i poveri’, ‘i sordi’, ‘i malati’, ‘i soli’ li riceveranno il loro deficit verrà confermato. Avremo creato un sistema perverso di ‘invalidazione’ che conferma se stessa. Così spesso lavorano i servizi delle istituzioni pubbliche; (2) Un’altra modalità parte dalle capacità (comunque esistenti) delle persone. Su questa linea si collocano le esperienze di Spazio Comune che cercano di costruire aggregazioni neo-mutualistiche (in cui si dà e si riceve) tra persone che mettono in comune non solo i problemi che hanno ma anche le capacità di cui dispongono. Intorno a cosa aggregarsi? Gli oggetti che la nostra vita quotidiana incrocia (non solo uno spazzolino da denti ma anche l’edificio semi-abbandonato che vedo ogni mattina in fondo alla mia strada) possono essere eccellenti strumenti/occasioni per scoprire che le fatiche di ognun* sono comuni agli/alle altr* e per inventarsi qualcosa che le attenui. Al convegno di Lucca, il 24-25 Febbraio proviamo a raccontare come tutto ciò possa funzionare…

      • Riccardo, da profana di sociologia, devo ammettere un certo imbarazzo. Ho letto e riletto l’articolo e la tua risposta a Genseki, ma devo confessare che rimane difficile per me capire quello di cui stai parlando.

        Perché non ci dài un esempio di un un oggetto utile, quotidiano e non stigmatizzato intorno al quale si può costruire insieme e di un oggetto utile, quotidiano ma stigmatizzato intorno al quale perciò non si può costruire insieme?

    • Grazie diamonds. Grazie anche della bella canzone. Inutile che dica cosa penso della brillante analisi di Reagan. Get in touch!

  4. Grazie Pensieri Oziosi… l’imbarazzo casomai è mio! Effettivamente qualche esempio può aiutarci (anche se rischia di farci lavorare per stereotipi)… Riprendiamo il pacco di pasta. E’ utile e quotidiano. Proviamo a ‘giocare’ con lui. Vediamolo circolare in 3 ambienti diversi: (1) un supermercato, (2) un centro Caritas, (3) un gruppo d’acquisto solidale. Proviamo a dare un nome alle persone che entrano in relazione nei 3 ambienti in cui circola lo stesso (!?) pacco di pasta. Nel primo ambiente la struttura delle relazioni ‘nomina’ le persone che scambiano: si chiamano ‘cliente’ (che dà denaro, riceve la pasta e viene confermato come ‘cliente’) e ‘venditore’ (che dà la pasta, riceve denaro e viene confermato come ‘venditore’). Nel secondo si chiamano ‘povero’ (o ‘bisognoso’ o ‘indigente’… che riceve la pasta e viene ‘confermato’ come ‘povero’) e ‘benefattore’ (o ‘volontario’… che dà la pasta e viene confermato come ‘benefattore’). I due contesti relazionali sono strutturati in modo tale da bloccare le identità e i ruoli di chi vi partecipa, sono costruiti sulla base di asimmetrie difficilmente agibili. In questi due contesti è arduo ‘costruire insieme’ perchè le persone qui stanno ‘insieme’ sulla base di una ‘costruzione’ tipizzata e stigmatizzata della loro relazione. Nel terzo ambiente (il gruppo d’acquisto solidale) le carte si mescolano: ‘costruire insieme’ è (forse) più agile. In questo caso il pacco di pasta transita nelle relazioni tra persone che condividono l’intenzione di cercarlo, che si organizzano per cercarlo, che per trovarlo incontrano produttori (che potrebbero cercare spazzolini da denti insieme a quelli che stanno cercando la pasta)… Le asimmetrie non spariscono, ma le identità e i ruoli sono meno tipizzati, circolano… dalle stesse persone si danno e si ricevono oggetti diversi.
    E’ utile un esempio così? E’ troppo ambiguo? Proviamo a farne altri…? Proviamo a vedere come si può ‘costruire insieme’ la riqualificazione di un edificio semi-abbandonato alla fine di una strada abitata da persone che nemmeno si dicono buongiorno e che si sospettano reciprocamente…? (NB: mi scuso con chi lavora nei centri Caritas per la forzatura dell’esempio… in realtà nei centri Caritas ci sono molte persone che provano a invertire lo schema relazionale che ho citato… al convegno del 24-25 Febbraio a Lucca credo che ci saranno…).

  5. C’è un solo problema. Riuscirà questa lenta e delicata lotta alla costruzione di un senso non unidirezionale e non stigmatizzante nelle relazioni socioeconomiche a resistere in presenza di mutamenti repentini, su larga scala e fuori controllo?

    • Vero, Daniela, è proprio dura. Ma possiamo non provarci? Roberto Biorcio al convegno di Lucca concentrerà l’attenzione sui rapporti tra iniziative micro e scenari macro.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Il posto di Felìcita

di Melania Ceccarelli Camminava spedita, i muscoli delle gambe brune e forti in rilievo sotto i corti pantaloncini elasticizzati. Alta,...

E fu sera e fu mattina

di Maria Luisa Venuta Questa notte ho sognato. Sono ad un incrocio qui vicino a casa a parlare insieme con...

Letteratura oltre i confini. Clouds over the Equator: A Forgotten History e Wings di Shirin Ramzanali Fazel

  di Simone Brioni Dopo 23 anni dall’uscita del suo primo romanzo, Lontano da Mogadiscio (ne parlo qui: http://www.laurana.it/pdf/postfazione%20LdM_Brioni.pdf) – una...

Il posto dei tigli

   di Claudia Bruno Le mattine di giugno hanno un profumo tutto speciale, che sa di pistilli e cielo, foglie...

Come un paesaggio. Pensieri e pratiche tra lavoro e non lavoro

di Sandra Burchi e Teresa Di Martino Il testo riportato qui di si seguito è l'introduzione al libro collettaneo Come...

La nuda vita

di Agostino Zanotti Avviare una campagna per l’apertura di un canale umanitario verso l’Europa implicitamente è mettere una pezza alla...
Maria Luisa Venuta
Maria Luisa Venuta
Maria Luisa Venuta Sono dottore di ricerca in Politica Economica (cosiddetto SECS-P02) Dal 1997 svolgo in modo continuativo e sistematico attività di ricerca applicata, formazione e consulenza per enti pubblici e privati sui temi della sostenibilità sociale, ambientale e economica e come coordinatrice di progetti culturali. Collaboro con Fondazione Museo dell'Industria e del Lavoro di Brescia e Fondazione Archivio Luigi Micheletti. Sono autrice di paper, articoli e pubblicazioni sui temi della sostenibilità integrata in lingua italiana e inglese.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: