i vecchi invisibili


[Oggi sono venti anni dalla morte di Valentino Bompiani (Ascoli Piceno, 27 settembre 1898 – Milano, 23 febbraio 1992), editore, drammaturgo e scrittore italiano che nel 1929 ha fondato la casa editrice che porta il suo nome. Le righe che seguono sono state pubblicate sul quotidiano La stampa il 5 Marzo 1982]

di Valentino Bompiani

Oh, se tu sapessi, se tu sapessi, la terra eccessiva- mente vecchia e cosí giovane,
il gusto amaro e dolce, il gusto delizioso che ha la vita cosí breve dell’uomo.

A. Gide, I nutrimenti terrestri

Passati gli ottant’anni, ti dicono: “Come li porti bene, sembri un giovanotto”. Parole dolci per chi le dice ma a chi le ascolta aprono la voragine del tempo in cui si affonda come nelle sabbie mobili. La vecchiaia avanza al buio col passo felpato dei sintomi, squadre di guastatori addestrati che aprono l’inattesa, inaccettabile e crescente somiglianza con gli estranei. Su una fitta ai reni o per l’udito ridotto, anche il nemico diventa parente. Lo spazio e le cose si riducono: la vecchiaia è zingaresca, vive di elemosine.

Poeti, scrittori e filosofi che hanno parlato della aborrita vecchiaia, i piú non l’hanno mai raggiunta; parlavano dunque della vecchiaia altrui, che è tutt’altra cosa. Niente offende piú dei coetanei tossicolosi, che perdono tempo sulle panchine. Impazienti, vogliono essere serviti per primi, mangiano guardando di sot- tecchi il piatto degli altri, tirano fuori continuamente l’orologio, un conto alla rovescia. Per la strada, a un incrocio, alzano il braccio col bastone anche quando non lo hanno, stolida affermazione di una capacità perduta. Scambiano per conquistata saggezza la paura e tendono all’ovvio, che li uccide.

Nelle ore vuote telefonano. A chi? A chi li precede di un anno o due, che è la dimensione del possibile. Rifiutano i segni della decadenza ma non della peggiore di tutte che è la speranza delle circostanze, le quali nelle mani dei vecchi diventano gocce di mercurio nel piatto, si uniscono, si dividono o si ingrossano, ignorandoli. Neppure i giovani possono dominarle, ma credono di poterlo fare.

Capita di sentirsi domandare: “Se potessi tornare indietro, che cosa faresti di piú o di meno?” Non vorrei tornare indietro: mi mancherebbe la sorpresa delle circostanze e sarei saggio senza recuperi. La vecchiaia è la scoperta del provvisorio quale Provvidenza. L’unità di misura è cambiata: una malattia non è quello che è, ma quello che non è e la speranza ha sempre il segno del meno. La provvisorietà della vita esce dal catechismo per entrare in casa, accanto al letto. Quando il medico amico batte sulla spalla brontolando: “Dài ogni tanto un’occhiata all’anagrafe”, gli rispondo che no, a invecchiare si invecchia e dài e dài, va a finire male. Bisogna resistere alla tentazione delle premure e dei privilegi. Ricordo Montale, a Firenze, durante la guerra; non aveva cinquant’anni e faceva il vecchio col plaid sulle ginocchia e i passettini. Si proteggeva con “l’antichità” dalle bombe.

Ero giovane quando ho pubblicato quarant’anni fa Monsieur Teste di Paul Valéry, ma soltanto adesso mi pare di capire alcune parole che allora trascrissi in un quadernetto: “Quando si è giovani ci si scopre, si scopre lentamente lo spazio del proprio corpo, si tocca il proprio tallone, si prende il proprio piede destro con la mano sinistra e si tiene il piede freddo nella mano calda. Ora mi conosco a memoria, anche il cuore”. Il corpo, la materia si fanno fatiscenti e dietro quelle ombre c’è il vuoto, un buco nella terra per qualcosa che domani germinerà, nascosta ai nostri occhi pieni di ieri.

Mia sorella di un paio d’anni piú anziana di me, un giorno diceva: “La vita è strana”. Subito qualcuno ha parlato d’altro, secondo l’idea che la vecchiaia, di memoria corta, va distratta, come se fosse un cedimento sconveniente da coprire col falso stupore di un’infanzia ritrovata: “È come una bambina”. Senza sorridere lei ha ripreso: “Nella vecchiaia bisogna scegliere: o ci si difende con l’egoismo o ci si affida fino in fondo all’altruismo, che tutti hanno avuto almeno in qualche momento”. Su queste parole mormorate in confessione, l’aria si è aggrumata nel silenzio. Poi è capitato di trovare sul suo scrittoio un elenco, come l’appunto per un ricevimento ma con nomi disparati: c’erano le amiche ma anche il droghiere, il fioraio all’angolo, l’ortolano. “Che cos’è?”, le abbiamo domandato. “Ah,” dice, “facevo la lista di quelli che verrebbero al mio funerale”. Ha scosso il capo: “Pochi, però…”.

Da vecchi si diventa invisibili: in una sala d’aspetto, tutti in fila, entra una ragazza che cerca qualcuno. Fa il giro con gli occhi e quando arriva a te, ti salta come un paracarro. La vecchiaia comincia allora. Si entra, già da allora, in quella azienda a orario continuato, qual è il calendario; il risveglio al mattino diventa uno scarto metafisico; il movimento nella strada si aggiunge come l’avvertimento che per gli altri il tempo è scandito dagli orari.

Bisogna, per prima cosa, mettere in sospetto le proprie opinioni, comprese quelle piú radicate, per rendere disponibile qualche casella del cervello. È faticoso perché i punti di realtà si vanno rarefacendo e le opinioni rap- presentano l’ultima parvenza della verità. Come a guardare controluce il negativo di una vecchia fotografia: quel giorno in cui facevo, dicevo, guardavo… Il bianco e nero invertiti stravolgono la realtà, che si allontana. La vecchiaia è la scoperta del piccolo quale dimensione sovrumana. Chi pensi alla fortuna o alla Provvidenza, sempre s’inchina alla vita che domani farà a meno di lui. Non è un pensiero sconsolato, ma di conforto: la memoria, estrema forma di sopravvivenza.

Un uomo di ottant’anni, malato di cancro, senza forze per stare in piedi, dice: “Non è che io chieda molto: stare su un terrazzino anche cosí a guardare il mare”. Moriva il giorno dopo. Perché non gli è stato dato un giorno in piú? Possibile che non ci sia una parola per ottenerlo? Il meccanismo inesorabile della natura sgomenta piú dei fatti che determina.

Qualche tempo fa Cesare Zavattini mi scriveva: “… si muore, come tu dici per il cane, sulla tomba di qualche cosa di inspiegabile. In effetti non siamo in grado di spiegare niente. Ma solo di rappresentare il nostro limite. Non basta piú. E allora si cerca, si cerca, e me ne sarei già andato se non fossi sicuro che bisogna portare a compimento l’incompiuto, a costo di voltarsi indietro (come doveva essere bella Euridice), mi hai fatto sentire inesorabilmente l’attuale situazione del pensiero – perché non cambiare il pensiero, essergli meno fedeli? L’aria è piena di guaiti, di silenzi, le parole sole non contano piú niente, derivanti tutte da un pensiero che continuo a dire che non c’è…”.

Il deserto della vecchiaia va attraversato con gli occhi riarsi d’amore. Bastano, perché vedono per l’ultima volta e tutto diventa sacro. Che la fine cominci dal cervello. Tre secoli fa il mistico svedese Swedenborg scriveva, anzi informava “ex auditis et visis” che nell’al di là prima si perde la memoria, poi i desideri fino a che l’occhio fisso non vede che la luce di Dio.

Che sia questo il sorriso dei morti?

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15 Commenti

  1. stamattina su RaiStoria ore 10:00 hanno mandato in onda un bellissimo documentario di cui riporto i dati dal sito Rai

    Libri, ricordi e racconti di Valentino Bompiani Sfogliando una vita Nel giorno della morte, un omaggio a Valentino Bompiani condotto da Umberto Eco (1999)

    ps: molto piaciuta Chiara da Augias. complimenti.
    un saluto
    paola

  2. Quant’è bella la vecchiezza, verrebbe da dire, ché solo in essa, con la sua limpidezza intellettuale, si riesce davvero a carpire il dì, a vedere per l’ultima volta facendo tutto sacro. E il provvisorio diventa Provvidenza.
    Veramente una prosa straordinaria su questo tema. Grazie per la lettura

  3. Un affondo davvero lucido, pregnante, di chi la vecchiaia l’ha vissuta nel pieno di un’autocoscienza desolata, però creativa. Per noi un’anticipazione, un monito. Si vorrebbe distogliere lo sguardo, ma è uno di quei doni che vanno accolti. Ci serve, ci servirà.

  4. Nobiltà nella vecchiaia quando è intelligenza, cultura.
    Leggo questo testo e penso a mio padre, ogni mattina
    con i suoi libri in lingua inglese, la sua viva curiosità
    per la letteratura, la storia. Penso alla donna che nuotava
    ogni giorno dell’anno, impegnata, dimenticando l’età.
    I vecchi mi toccano il cuore
    per questa lucidità,
    questa verità delle cose importante: la terra, la filosofia,
    la memoria, la parola scarsa, ma luminosa.
    la parola dei vecchi conosce tutto della morte. Nella vecchiaia, la morte non è un confine,
    è il giorno dopo.

  5. la coperta corta
    che qualcuno la tira di qua
    qualcun’altro la tira di là
    e qualcosa e qualcun’altro
    resta sempre scoperto
     

    E allora si cerca, si cerca, e me ne sarei già andato se non fossi sicuro che bisogna portare a compimento l’incompiuto, a costo di voltarsi indietro (come doveva essere bella Euridice)…


    Sonetti a Orfeo
    Rainer M. Rilke

    ,\\’

  6. Meraviglioso, grazie.
    ci sono gli sbagli da non fare con i vecchi. E c’è questo: “Bisogna, per prima cosa, mettere in sospetto le proprie opinioni, comprese quelle piú radicate, per rendere disponibile qualche casella del cervello”.

  7. Bellissimo pezzo. Grazie.

    Ma forse essere vecchi è avere stanze illuminate
    dentro la testa, e in esse delle persone, che recitano.
    Persone che conosci, ma di cui ti sfugge il nome;
    ognuno appare in lontananza come un vuoto profondo che si colma:
    si volta sulla soglia di casa, sistema una lampada, sorride da una scala,
    prende un libro già letto dallo scaffale; oppure, qualche volta,
    soltanto quelle stanze, le sedie e un fuoco ardente
    o, alla finestra, un cespuglio mosso dal vento o il sole,
    di mezza estate dopo l’acquazzone. È là che vivono:
    non qui e adesso, ma là dove tutto è successo un tempo.
    Philip Larkin, in Finestre alte (traduzione di Enrico Testa)

  8. “Alla vecchiaia Amalfitano ci pensava a stento. A volte si vedeva con un bastone, su un viale luminoso, che sghignazzava fra i denti. Altre volte si vedeva messo alle strette, senza Rosa, le finestre con le tende chiuse e la porta sbarrata con due sedie. Noi cileni, si diceva, non sappiamo invecchiare e di solito cadiamo nel ridicolo più spaventoso; tuttavia, per quanto ridicoli, nella nostra vecchiaia c’è un certo coraggio, come se coprendoci di rughe e ammalandoci recuperassimo il coraggio della nostra infanzia tranquilla nel paese dei terremoti e dei maremoti. (Del resto, tutto quello che Amalfitano sapeva dei cileni erano solo supposizioni, non li vedeva da così tanto tempo)”.

    (Roberto Bolaño. I dispiaceri del vero poliziotto)

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