la confusione è precisa in amore

di Luca Alvino

Uno dei meriti più importanti della poesia è quello di saper rendere il disordine tollerabile. Come ogni potente rappresentazione artistica, essa è capace di incastonare i sentimenti più prorompenti dell’animo umano in un’espressione formale compatibile con i tempi pacati della conoscenza. In tal modo, ha il potere di sollevare dalla quotidiana fatica del vivere, incantando i movimenti caotici del divenire e imbrigliandoli nel ritmo addomesticato dei versi. Essa proietta nella misura del metro il precipitoso fluire del pensiero, appagando così l’esigenza di coordinate stabili nel risalto conferito alla precisione lessicale, e compensando lo squilibrio della precarietà nella rassicurante liricità del canto.

«A poem is an arrest of disorder», scriveva Robert Frost, e Vittorio Lingiardi – noto psichiatra, psicoterapeuta e docente di psicologia dinamica presso l’Università di Roma – ha scelto proprio questa frase come epigrafe per il suo esordio poetico, La confusione è precisa in amore (nottetempo, 2012). In psichiatria il termine «disorder» viene utilizzato per definire una serie rilevante di disturbi psicologici e comportamentali. In generale, con esso si intende la perdita di un equilibrio in un determinato contesto socioculturale, e dunque l’alterazione di una situazione di normalità. Ripensando alla scelta della frase di Frost, dunque, l’avvicinamento alla poesia da parte di Lingiardi sembrerebbe evidenziare una sua esigenza di quell’ordine e di quella stabilità che raramente lo circondano nella sua prassi terapeutica abituale.

Dotato di una padronanza degli strumenti poetici e retorici sempre più rara nel panorama lirico contemporaneo (e tanto più apprezzabile in un «esordiente»), Lingiardi non cede alla tentazione di una letterarietà fine a sé stessa, preferendo muoversi lungo i binari della quotidianità e rappresentando nella sua poesia soprattutto le istanze della carnalità. Il ritmo dettato dal sangue, che placa l’impazienza e l’irragionevolezza del pensiero, non deriva da un’operazione razionale compiuta a posteriori, ma scaturisce da una resa impulsiva all’autenticità del corpo: «Come conchiglia abbarbicata e sola / sul torace del tuo scoglio mi addormento. / Resisto ai flutti della mia impazienza / sentendo che il tuo cuore batte lento». È un ritmo che alberga nel respiro placido del sonno, che abita la pulsazione regolare del cuore e dei polmoni, anticorpo naturale contro le insidiose tossine della speculazione e dell’ermeneutica. Al contrario dell’analisi, che districa faticosamente i nodi dell’esperienza andando a scardinare i pericolosi viluppi del vissuto quotidiano tramite metafisiche sovrastrutture interpretative, l’opera di Lingiardi costituisce uno stratagemma per affrontare senza mediazioni il dramma della disgregazione del senso, forte di una sapienza poetica che – anche laddove si rivela più smaliziata e ricercata – conserva la freschezza dell’osservazione diretta, l’eminenza audace della meraviglia.

Ma l’ordine formale della rappresentazione non impedisce a Lingiardi di dedicare nella sua raccolta un’attenzione scrupolosa anche alla dissonanza, alla lateralità, proprio a quel «disordine» che sembrava voler soggiogare attraverso la poesia: «Odio i palazzi di vetro e i velluti a teatro. / Voglio l’Africa scassata degli orti fuori città / il terzo mondo balordo della tua Lambretta. / Contro l’ossequio dell’architettura urbana / bevo una sottomarca di whisky, un’aspirina scaduta».

La ricerca della disarmonia non è un semplice rifuggire da una realtà troppo temperata, che ha smesso di somigliare all’uomo per conformarsi piuttosto alle sue proiezioni. Essa corrisponde a un desiderio di immersione sempre più profonda in un presente che reclama urgentemente attenzione, nella sua pena e nelle sue difficoltà: «Non temo il futuro / che da solo si spiana. / è il presente / reclamante la custodia / ammalato della pena del passato / ad invocare cieco il nutrimento».

Il presente si impone come tempo che esige un nutrimento, qualcosa di più di uno spoglio retaggio del passato, di una deterministica maturazione degli eventi posta di fronte all’attenzione dei viventi nella sua imbarazzante evidenza; ma una dimensione da curare, da coltivare tramite la conoscenza, attraverso la saggezza che passa per le sensazioni, che nasce dalla conoscenza dei sensi: «Lascia alla magra suola il tatto / lo stupore al piede / di conoscere il cammino / la diversa consistenza del terreno / l’erba, lo sterco, il sasso / e dopo un salto l’acqua, il muschio».

Il disordine, metabolizzato attraverso la semplicità delle sensazioni e cristallizzato dalla forza della poesia, non s’incanala in coordinate strutturate, ma si lascia apprezzare proprio nella sua asimmetria, nella sua disorganicità. Lingiardi non è in grado di restituire coerenza alla varietà, di ristabilire un senso nella magmaticità del divenire; ma riesce – appunto – a rendere tollerabile tale disordine, consentendoci di osservarlo direttamente senza più temerne la forza disgregante, al di fuori di consolatorie e riposanti tassonomie.

Vittorio Lingiardi, La confusione è precisa in amore, nottetempo (2012), pp. 112, 7,00 eu.

[l’immagine in apice è di ilsimplicissimus2]

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6 Commenti

  1. “una padronanza degli strumenti poetici e retorici sempre più rara nel panorama lirico contemporaneo”

    Mai rara quanto il senso del ridicolo, direi; nelle quattro cazzate che scrive questo Lingiardi, in chi le pubblica e in chi le loda.

      • Trabucco, scusa il ritardo.
        La prima cosa che mi ha dato molto fastidio è il modo in cui è scritta la recensione, e il concetto di recensione che esprime. Per me c’è qualcosa di profondamente sbagliato (direi quasi immorale) nell’usare nel recensire un esordiente toni ditirambici che sarebbero fuori luogo anche per Zanzotto.
        E se anche questa opera prima fosse un capolavoro assoluto (capita anche questo), compito del recensore sarebbe ben altro che scrivere banalità (false) come quella che ho virgolettato nel mio primo commento.
        Quella della lode sproporzionata e indiscriminata è una pessima abitudine del sottobosco letterario. Penso che non dovrebbe essere replicata in luoghi come NI, dove bene o male si cerca di fare altro (non sempre riuscendoci, ci mancherebbe).
        *
        Quanto al merito delle poesie, mi dispiace ma quando leggo versi come “Voglio l’Africa scassata degli orti fuori città / il terzo mondo balordo della tua Lambretta.” rimango davvero a corto di argomenti. Non è che voglio sottrarmi al confronto critico, ma proprio non saprei da dove iniziare.
        E se mi dispiace del tono tranchant del mio primo commento (mi era uscito così, e adesso me lo tengo), non posso non ridire che questi versi non mi sembrano raggiungere la soglia di competenza (qualcosa di ben anteriore, insomma, alle poetiche, alle tendenze e anche ai gusti personali). Naturalmente auguro a Lingiardi come a tutti (in primo luogo a me stesso) di fare di più e meglio in futuro.

        • Caro signor Raos,
          quando lei afferma che i versi di Lingiardi non raggiungano la soglia di competenza, posso solo replicare che sui gusti personali è arduo disputare, che – a mio avviso – è pericoloso giudicare un autore in base alle tendenze, e che della poetica mi è sembrato di aver pur detto qualcosa (ma forse mi sbaglio).

          Per il resto, chiedo venia della (quasi) immoralità della mia recensione. Auspico tuttavia toni più distesi nelle discussioni intorno alla poesia. La passione non mi spaventa, ma la volgarità ancora mi rattrista.

  2. IL micro e il macro non sono abitabili per il nostro cervello ed è qui penso che il Caso (confusione per indicare un ordine)domina l’ente finito nell’ambivalenza, l’illusorio concettuale con il concettuale funzionale,tipo libero arbitrio, etc. Chissa se sono riuscito ad essere chiaro o se ho scritto sciocchezze?

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