Byron – Un ritratto

di Franco Buffoni

Il poeta bel tenebroso, caricaturato da Thomas Love Peacock in Nightmare Abbey come Mr Cypress, nascondeva dunque un segreto “infamante” che, come la sua fama cresceva, il gossip londinese non poteva e non voleva perdonare. Le vicende della sua vita paiono ai nostri occhi quelle di un uomo braccato e sfinito, di un’icona rovesciata, invertita nei suoi sensi più profondi. Quando infine – ricattato, snervato, indebolito dalle febbri e dalle polmoniti, nell’umidità insopportabile dell’inverno greco, senza un’alimentazione adeguata e le necessarie cure – Byron trentaseienne nel 1824 sigilla nel dolore la sua esistenza, inizia un’opera di “normalizzazione”, volta persino a negare il senso delle parole dette e scritte dal poeta nel linguaggio degli “iniziati” di Cambridge: “I am horatian”. Un’espressione che, tradotta in termini moderni, significa “sono bisessuale”.
Byron stesso, d’altronde, si sentì indotto a lasciare anche degli accenni ostili all’omosessualità. Ricordiamo quella sua famosa nota al Childe Harold in cui afferma: “La morte di Antinoo fu eroica tanto quanto la sua vita fu infame”. Byron riteneva, come molti alla sua epoca, che Antinoo si fosse “sacrificato” per Adriano: e questo sarebbe l’aspetto eroico. Ma egli definisce anche “infamous” la vita del giovane poi deificato. E lo faceva al fine di poterne parlare. Il parlarne esecrando era l’unica maniera che il contesto omofobo concedesse.
Questo procedimento della ritrattazione, contenuta nel testo stesso oggetto di possibile condanna, ha per altro una storia plurisecolare. Nelle lettere inglesi si può risalire fino Geoffrey Chaucer, costretto a difendersi dalla chiesa del suo tempo, con le famose retracciouns. In pratica, nel testo a rischio, occorreva infilare sempre una frase che ne contraddicesse la sostanza, da poter esibire in tribunale a propria discolpa, in caso di guai con la giustizia ecclesiastica. O con quella civile, che spesso coincideva, o comunque condivideva i valori di fondo di quella ecclesiastica. Va ricordato che in Inghilterra, fino all’inizio del Novecento, quando si trattava di sodomia, il Levitico era il testo di riferimento per i tribunali.

E la condanna, o comunque la tacita messa al bando, di Platone dai programmi accademici britannici nel secolo XIX, la dice lunga sull’ossessione dell’establishment (accademico, militare, religioso, politico) circa la corruzione dei costumi giovanili. Come scrisse l’arguto Peacock: “Nelle nostre università Platone è ritenuto poco meglio di un corruttore dei giovani”. Non dimentichiamo che quando nel 1840 Mary Shelley riuscì finalmente a fare pubblicare la splendida traduzione del Simposio vergata dal compagno, dovette accettare le pesanti censure lessicali del pur aperto e radicale Leigh Hunt, che temeva per sé una condanna per oscenità. Così “lover” diventa “friend”, “men” diventa “human beings”, “youths” diventa “young people”. E il Discourse di commento di Shelley fu stampato per la prima volta insieme alla traduzione – finalmente ripristinata in conformità al manoscritto originale – solo nel 1931. Ma in un’edizione privata e a tiratura limitata. L’opera integrale entrò nel canone shelleyano solo nel 1949, l’anno successivo alla pubblicazione del Rapporto Kinsey!
Malgrado gli sforzi degli studiosi e degli insegnanti per tenere ben custoditi e non tradotti i passaggi più esplicitamente gay delle opere greche e latine, a Cambridge quei passaggi erano i più letti, citati e tradotti da Byron stesso e dagli altri “iniziati”. In seguito, per tutta la vita, nelle opere e nell’epistolario, Byron continuò a menzionare Ganimede e Giacinto, Aristogitone e Armodio, e a invocare Antinoo. E da Catullo e Orazio, Virgilio e Petronio avrebbe trascritto e citato, anche in età adulta, i passaggi più sapidi. Per Byron, in sostanza, la classicità conosciuta a Harrow e approfondita a Cambridge, divenne il luogo mitico della giustificazione e dell’esempio: Xenofonte, Anacreonte, Saffo; e Tibullo, Properzio, Petronio, Marziale saranno costantemente citati per quella ragione. Quante volte il suo pensiero e la sua penna corsero al Formosum Pastor Corydon e all’incontro tra Eurialo e Niso, al quale aveva dedicato una splendida parafrasi già nella prima raccolta, Hours of Idleness: “These burn with one pure flame of generous love / In peace, in war, united still they move…”. Non stupisce che il suo primo pensiero, una volta maggiorenne, sia stato di raggiungere fisicamente quei luoghi, affinché quei pastori gli si materializzassero dinanzi. D’altro canto, a fine secolo, nel clima terroristico seguito al processo a Wilde, E.M. Forster nel Maurice ancora definisce l’omosessualità “the unspeakable vice” degli antichi greci.

Nell’opera Byron dovette accontentarsi di dare sfogo alla propria omosessualità ricorrendo all’elemento esotico. Nel Don Juan, per esempio, riesce a infilare l’esperienza vissuta con le visite all’harem maschile di Alì Pashà collocando il suo splendido protagonista, travestito da concubina, nel serraglio del sultano. A farsi subito notare dallo stesso, per nulla spazientito:

His Highness cast around his great black eyes,
And looking, as he always looked, perceived
Juan amongst his damsels in disguise;
At which he seemed no whit surprized nor grieved,
But just remarked, with air sedate and wise,
While still a fluttering sigh Gulbeyaz heaved,
“I see you’ve bought another Girl, ‘tis pity
“That a mere Christian should be half so pretty.”

Ma leggiamo anche questa strofa da Beppo, a Venetian Story:

The moment Night with dusky mantle covers
The skies (and the more duskily the better)
The Time–less liked by husbands than by lovers—
Begins, and Prudery flings aside her fetter,
And Gaiety on restless tiptoe hovers.
Giggling with all the Gallants who beset her;
And there are Songs, and quavers, roaring, humming,
Guitars, and every other sort of strumming.

Nel verso “And Gaiety on restless tiptoe hovers” notiamo come il sostantivo “gaiety” venga usato in un contesto omoerotico. Le occorrenze sono numerose anche per l’aggettivo gay e per l’avverbio gaily. Contrariamente a quanto si ritiene, infatti, già all’inizio dell’Ottocento, tra gli iniziati, tali termini possedevano la valenza moderna. Quindi, se nel Settecento, Alexander Pope poteva esclamare, unisemanticamente “Belinda smiled and all the world was gay”, all’epoca di Byron il termine gay già viene usato in senso moderno (pur se all’interno di ristretti circoli). Lo dimostra molto bene Rictor Norton in un rigoroso studio, Myth of the Modern Homosexual, apparso nel 1997.

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8 Commenti

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  2. caro FB grazie!
    Preziosissimo e illuminato questo pezzo su Byrin: ai miei ragazzi ho letto giorni fa un brano umotoso dal Don Juan in cui emerge (il passaggio e’ quello in cui Don Juan, scovato dietro una tenda per via delle scarpe che sporgono, da’ un allegro pugno sul naso al marito tradito) l’apertura amplissima e la sconfinata disponibilità del DonGiovanni byronico a ogni possibilità o evenienza che provenga dall’amorerotico.

  3. DaniMat, fortunati i suoi allievi! Giovedì e domenica prossimi, in due successivi post, completerò la contestualizzazione. Poi il 15 maggio uscirà da Fazi Editore il romanzo “Il Servo di Byron”, in cui a parlare sarà sempre e solo Fletcher, servo e amante, coetaneo del poeta e con lui dai sedici anni del primo incontro nella campagna scozzese ai fatidici trentasei della morte in Grecia.

  4. Forse è solo piena la casella di posta, o, qulche volta capita che i nuovi indirizzi di pasta (mittenti mai ricevuti prima) finiscano nell’anti spam, succede soprattutto se le e-mail hanno indirizzi IP esteri.

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franco buffoni
franco buffonihttp://www.francobuffoni.it/
Franco Buffoni ha pubblicato raccolte di poesia per Guanda, Mondadori e Donzelli. Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005). L’ultimo suo romanzo è Zamel (Marcos y Marcos 2009). Sito personale: www.francobuffoni.it
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