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Enel, il carbone e Greenpeace

di Jan Reister

A fine marzo 2012 Greenpeace Italia ha lanciato una campagna contro l’uso del carbone nelle centrali termoelettriche di Enel. Lo scopo è “costringere l’azienda ad abbandonare l’uso del carbone per adottare un nuovo piano industriale, che segni un forte investimento sulle fonti rinnovabili”. La campagna in sé è meritoria ed vi invito a conoscerla e sostenerla. In questo articolo vorrei invece fare alcune considerazioni critiche sugli aspetti tecnici e sociali della campagna digitale, e sui problemi e prospettive che possono avere analoghe iniziative di attivismo civile in rete.

 

Il sito web della campagna: www.facciamolucesuenel.org

Facciamo luce su Enel è una campagna ufficiale di Greenpeace Italia. I comunicati, le iniziative e la documentazione delle azioni sono raccolti sul sito dedicato: esso presenta al pubblico i materiali della campagna e le notizie, cerca di coinvolgere le persone nel sostegno all’iniziativa ed è il luogo in cui la comunità degli attivisti sostenitori si incontra e cresce.

Ciò che colpisce immediatamente sul sito web è l’uso professionale e sofisticato della rete e dei social network. Dove una campagna tradizionale avrebbe chiesto la firma ad una petizione ed al massimo una donazione, Facciamo Luce su Enel cerca di usare tutte le possibilità sociali della rete per divulgare il messaggio e coinvolgere più strettamente i sostenitori. Per farlo utilizza tecniche di gamification (ludicizzazione) che trasformano il sostegno alla campagna in un percorso personale, fatto di riconoscimenti, premi e rinforzi sociali, e progettato per divertire ed appagare il sostenitore.

un gruppo di investigatori climatici al lavoro

Il problema del carbone viene quindi proposto nella cornice di un’indagine criminale fittizia secondo l’immaginario delle serie televisive alla CSI: un gruppo di investigatori con tanto di tuta banca e torcia in pugno accoglie dalla home page il visitatore invitandolo ad unirsi alla squadra. I danni ambientali sono “il crimine”, il carbone è “l’arma”, “l’indiziato” è l’Enel e “la missione” proposta all’attivista è diventare “investigatore climatico” ed inviare un “avviso di garanzia” climatico ad Enel.

 

Iscrivendosi si accede ad un profilo personale (qui un esempio) in forma di dashboard (cruscotto) che propone diversi percorsi di attività (dalla diffusione della campagna al coinvolgimento di altre persone alla raccolta di documentazione) corredati da un punteggio, medaglie e distintivi con cui arricchire il proprio profilo ad ogni azione fatta. In un riquadro è visibile la classifica degli attivisti e degli amici dal punteggio più alto, in un altro le persone attive in tempo reale sul sito. In palio ci sono gadget per i primi classificati, per stimolare l’emulazione e lo spirito competitivo.

Scelte tecniche

Il sito della campagna è realizzato con WordPress e componenti personalizzati, come spiega Salvatore Barbera, responsabile Campagna Clima. L’autenticazione è integrata con Facebook, mentre le attività per gli iscritti facilitano l’uso di Facebook e Twitter per la diffusione del messaggio e per l’acquisizione di nuovi partecipanti. Il sito tuttavia è autonomo, ha un proprio database di utenti ed usa le reti sociali in modo strumentale, senza delegare all’esterno la gestione degli utenti che avviene internamente, in un percorso anche tradizionale: invio di newsletter, coinvolgimento nelle altre iniziative di Greenpeace, sostegno all’associazione.

badge pedinatore

Punteggi, badge e referral sono gestiti a livello software da strumenti di profilazione, fidelizzazione ed affiliazione analoghi a quelli usati nel marketing e nel commercio elettronico, con codici personali nei link da distribuire agli amici, cookie per misurare l’interazione col sito, rank del profilo. Si può immaginare il ciclo vitale dell’attivista in rete: iscrizione, azioni di sostegno, retribuzione (badge e punti), coinvolgimento nella comunità online, donazioni, fine campagna e convolgimento nelle altre attività di Greenpeace.

La demografia dei lettori

badge gola profonda

Suppongo che questa campagna sia stata progettata in base al profilo demografico del sostenitore di Greenpeace, analizzando il Social Graph della pagina Facebook dell’associazione. Una campagna ambientale impostata sul gioco in rete avrà successo? Molto dipende dai partecipanti. E’ facile prevedere che l’iniziativa potrà coinvolgere meglio persone a loro agio in rete, al corrente della cornice narrativa: una fascia di età giovane, fino ai 35-40 anni. Più difficile sarà coinvolgere fasce di età più alte o chi, per forma mentale e preparazione intellettuale si trova a disagio davanti all’esposizione guidata e semplificata di temi complessi.

Il marketing dell’attivismo

Ma è corretto usare sofisticate tecniche pubblicitarie per attività di impegno civile? Tradizionalmente questo è il territorio della società civile, dell’impegno politico di base che diffida dei tentativi di manipolazione.

Una prima risposta si può cercare nella storia di Greenpeace, che ha sempre fatto campagne di comunicazione molto elaborate, basate su azioni spettacolari di poche persone specializzate, ma che è poco radicata nel territorio. Per usare la rete come ambiente di socializzazione e non come semplice canale comunicativo servono competenze e linguaggi differenti da 10 anni fa, e occorre soprattutto sperimentare.

Barbera non ha problemi a pronunciare la parola marketing, che considera un insieme di strumenti necessari per una una comunicazione seria sui temi ambientali. Molti elementi della campagna vengono dalla sua esperienza in precedenti iniziative sul nucleare in Turchia e su Volkswagen, in cui sono stati sperimentati vari gradi di coinvolgimento in rete dele persone, con risultati incoraggianti.

Credo in effetti che il sito della campagna, pur essendo congegnato come un funnel (imbuto), sia differente dai percorsi simili su siti commerciali. Per prima cosa non mira a produrre una vendita, ma piuttosto l’ingresso nella comunità dei sostenitori di Greenpeace e la consapevolezza sui temi ambientali. Inoltre, a differenza dei percorsi obbligati nell’ecommerce (merce-carrello-cassa), la dashboard offre un percorso a schema libero, senza tappe obbligate. Piuttosto vi sono analogie con i sistemi di formazione online, dato che la piattaforma misura e premia la raccolta di documentazione e l’aggiornamento, gli “indizi” da raccogliere nel “dossier” (che è analogo al curriculum di studi).

E’ vero tuttavia che il percorso offerto al sostenitore di Greenpeace è ben definito: sostegno, donazioni, appoggio materiale alle iniziative dell’associazione, e solo dopo due anni di documentato e distinto attivismo è possibile presentare domanda di ammissione a socio dell’associazione Greenpeace ONLUS.

Il rischio di banalizzazione

Un ulteriore aspetto critico è la semplificazione del problema del carbone ad uso termoelettrico. La cornice narrativa usata è a senso unico e riduce i temi trattati a unità giocabili, moduli di cui viene già data una definizione. Questo modo di trattare l’informazione è funzionale alla campagna ed è gratificante per chi vi partecipa (vedo un problema, agisco, ho un riscontro), ma rischia di banalizzare la complessità del problema, che ha aspetti sientifici, economici, sociali. Un attivismo ambientale vissuto esclusivamente in questi termini lascerebbe privi di strumenti critici per capire i nuovi problemi che incontreremo in futuro e richiederebbe il costante ricorso alla delega, a qualcuno capace di spiegarci le cose complesse in modo semplice.

A questa critica Barbera fa notare che Facciamo Luce su Enel è una iniziativa a vari livelli, fuori e dentro la rete, e che la campagna si articola attorno ad uno studio approfondito sugli effetti ambientali del carbone commissionato a SOMO, un istituto di ricerca ambientale olandese.

In effetti credo che ogni costruzione di un messaggio persuasivo implichi una scelta degli argomenti e una riduzione dello spazio retorico, specie in una situazione asimmetrica come Greenpeace contro la colossale Enel. Questa impostazione tattica non dovrebbe però precludere la possibilità di approfondire criticamente la complessità del problema, cosa che sul sito della campagna non è facile fare: manca ad esempio una sezione bibliografica, o link a documentazione esterna, a wikipedia (carbone, coal).

Clicktivism o impegno?

badge motivatore

Chiunque abbia organizzato un incontro pubblico attraverso Facebook sa che i partecipanti saranno pochissimi rispetto ai “mi piace” ricevuti e dei rilanci degli amici. Che possibilità di cambiamento sociale ha una iniziativa online a cui è facile e gratificante partecipare, ma che non richiede nessun comportamento concreto nella vita quotidiana? E’ il problema dello slacktivism, l’attivismo digitale dove il basso costo di partecipazione e la facilità di comunicazione creano velocemente grandi aggregazioni online prive però di una presenza offline rilevante.

Rebecca Borraccini, Assistente Nuovi Media, è la persona che mi ha segnalato inizialmente Facciamo Luce su Enel e che segue la comunità sul sito. La sua impressione è che a molti sostenitori l’attività online non basti e che cerchino altre azioni concrete offline, come cambiare fornitore di energia elettrica o installare un impianto fotovoltaico. Questo è un paradosso per la campagna, che non ha lo scopo di influenzare il mercato in ottica di consumerismo, ma che si prefigge invece di spingere per dei cambiamenti in Enel stessa, il principale produttore di energia in Italia. Però è un indicatore di desiderio di impegno pratico molto incoraggiante. Anche la recente campagna per il referendum sul nucleare, che ha coinvolto 2.000.000 persone senza precedenti esperienze attiviste, sembra dimostrare un interesse ad azioni concrete a partire dalla rete.

Il grado di coinvolgimento dei partecipanti si può misurare facilmente dalle donazioni e dagli invii di materiale (adesivi e magliette), io stesso ho visto gli adesivi gialli della campagna per le strade del mio quartiere. E’ importante distinguere tra forme di impegno interne alla logica associativa di Greenpeace (donazioni) e azioni rivolte all’esterno, per quanto piccole (l’adesivo incollato sul lampione, la maglietta indossata, la manifestazione in strada).

Il software è il messaggio

A chi usa solo il martello tutti i problemi sembrano chiodi.

Il linguaggio e gli strumenti software caratterizzano fortemente l’interazione che una persona ha con gli altri. Se un sito web promuove interazioni sociali con gli strumenti del marketing e della pubblicità, c’è il rischio che il frequentatore si senta oggetto di manipolazione commerciale.

Una ulteriore conseguenza dell’abile uso delle reti sociali (Facebook, Twitter) da parte di Facciamo Luce su Enel è un allineamento dei modi espressivi nella campagna, poco sfumati (mi piace, oppure nulla) e unidirezionali: gli investigatori climatici sono tutti personaggi positivi che possono solo  migliorare ancora di più, tutta la negatività si concentra verso l’obiettivo della campagna, Enel. Ci saranno pure attivisti che sbagliano, che usano il carbone nella stufa, che sono ammalati: per loro non c’è un badge, il gioco sacrifica le finezze della vita per gli obiettivi della campagna.

Queste semplificazioni sono la conseguenza inevitabile delle scelte progettuali. Scelte diverse (una campagna decentrata, via email, collaborativa su un wiki…) comporterebbero distorsioni differenti, ma altrettanto forti. Occorre esserne consapevoli, senza negare né assolutizzare come progettisti e come utilizzatori le connotazioni del mezzo che abbiamo scelto per incontrarci in rete.

In attesa dei risultati

La campagna è in pieno svolgimento ed è imminente la pubblicazione dello studio di SOMO sui danni delle emissioni atmosferiche.  Enel da parte sua ha annunciato querela (aggiornamento: la risposta di Greenpeace).

L’abbandono del carbone negli impianti termoelettrici italiani è un obiettivo importante, ma ugualmente interessante (anche se meno cruciale per l’ambiente) sarà conoscere gli esiti sociali di questa campagna: ha funzionato meglio delle precedenti? ha generato impegno critico? e cosa può insegnare questa esperienza a chi vuole costruire spazi di collaborazione e condivisione in rete?

www.facciamolucesuenel.org

 

Ringrazio Rebecca Borraccini e Salvatore Barbera per la chiaccherata e le delucidazioni. Tutte le opinioni non attribuite esplicitamente sono ovviamente mie. Le immagini sono tratte dal sito www.facciamolucesuenel.org. JR

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jan reister
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Mi occupo dell'infrastruttura digitale di Nazione Indiana dal 2005. Amo parlare di alpinismo, privacy, anonimato, mobilità intelligente. Per vivere progetto reti wi-fi. Scrivimi su questi argomenti a jan@nazioneindiana.com Qui sotto trovi gli articoli (miei e altrui) che ho pubblicato su Nazione Indiana.
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