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Melissa e Nicola

di Antonio Sparzani
Una ragazzina e un ragazzino. Adesso sono morti tutti e due.
Melissa lo sanno tutti chi era e che è morta dilaniata da un’esplosione davanti alla sua scuola di Brindisi, mentre vi si stava recando, da Mesagne, come tutte le mattine. Atroce, semplicemente atroce.
Chi sia Nicola lo sanno in meno persone: su Repubblica e il Corriere sta nella homepage, abbastanza in basso, mentre sulla homepage di Stampa, Unità e Manifesto non l’ho trovato. Nicola è stato lasciato cadere da una macchina che passava di corsa davanti a un pronto soccorso di Napoli alle 3 di notte, ed era già morto, sparato, alla gamba e al torace. Aveva 15 anni. Era nomade, forse ― ma non si sa bene, implicato in piccoli furti. Atroce, semplicemente atroce.

Ai funerali di Melissa lo sapete tutti chi c’è andato, sarebbe più facile elencare chi non c’è andato, l’elenco sarebbe meno lungo. Dei funerali di Nicola, se ne avrà, nulla sapremo, forse i suoi genitori saranno informati, ma noi certo no.
Ma sono due ragazzini, l’una certo più fortunata, almeno finché era viva, dell’altro, con famiglia “regolare”, scuola, comunità, perfino religiosa era, così piamente ci garantiscono; l’altro non so cos’avesse di regolare, nessuno ha fatto indagini sulla sua vita passata, sulla sua difficile adolescenza, nessuno intervista i genitori, nessuno chiede al parroco, o al sindaco. Per chi viene gettato morto davanti a un pronto soccorso, come un boss importante, ma non è un boss importante, non c’è storia, non c’è notizia vera, appena una cronaca di dovere, che domani o dopo sarà già sparita.

Facile demagogia, direte, confronto impossibile, questo Nicola era già un delinquentello che sarebbe comunque finito male. Capisco, o meglio non capisco, questa argomentazione non riesce a toccarmi, io sento una immensa pietà per questo Nicola, più che per Melissa, che ha subìto una fine molto simile, ma ha già tanti compianti e tante prefiche. Se potessi andrei a piangere con i genitori di Nicola.

Che paese è, mi chiedo, quello nel quale viene lanciato un ragazzino ammazzato quindicenne davanti a un pronto soccorso, quante rivoluzioni dovremo fare perché questo non possa più accadere?
Fatemelo dire con le parole che forse avrebbe usato Nicola, che in casa probabilmente parlava un’altra lingua:
«io se ero Monti andavo al funerale di Nicola.»

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28 Commenti

  1. Credo che Melissa se ne strafotta delle prefiche e dei governanti di palazzo che come statue di cera presenziavano ad un dolore privato e mediatizzato, quale quello di una famiglia che perde un figlio; come probabilmente se ne strafotterebbe Nicola. Demagogia? io credo di sì, stranamente Sparzani, aggiungo, troppa.
    E’ certamente ingiusto parlare di una brava ragazza saltata in aria e tacere la morte altrettanto cruda di un ragazzo “rom” (così mi pare si siano premurati a definirlo in uno dei pochi articoli apparsi sul caso) buttato giù da una macchina “come un boss”, ormai morto. Ma credo sia altrettanto ingiusta questa operazione, come fastidiose le parole da attribuire a un morto, di cui, io, non mi sentirei di interpretare pensieri che sconosco.
    E allora aggiungiamo anche i due bambini buttati giù dal sesto piano da un padre-marito “depresso”, che avrebbe ucciso anche la moglie prima di ammazzarsi.
    Che paese è? E’ il paese, o anche il mondo, degli individualismi sfrenati, dei protagonismi in prima fila, delle disuguaglianze più becere. Ma quelle parole su Melissa, anche le sue, Sparzani, sono fastidiose tanto più se pronunziate per giustificare un tesi sacrosanta, che riguarda un altro minore. Che Melissa fosse più fortunata in vita, non può essere termine di paragone nella “rappresentazione” del dolore.
    perdoni il mio sfogo, ma lo sentivo.
    nc

  2. sono d’accordo sparz e ti ringrazio, capisco anche ciò che scrive natàlia castaldi nella sua risposta, e tutto davvero ci porta a una sola domanda: che paese è? Che ci porta a una seconda domanda: che gente siamo?

  3. articolo quanto mai necessario.
    ci sono morti e morti e non tutte le prefiche urlano lo stesso dolore, specialmente sui social network, dove il dolore è sempre quello più visibile, più condivisibile, che ci strugge per una sera, quanti più like riceviamo, fino al prossimo “dolore” da condividere, per sentirci “esseri umani”.

  4. Grazie, Sparz! io, avrei preferito non essere andata ad alcun funerale di due ragazzini. Parole forse inutili, ma dice di questo paese….
    Maria Pia Quintavalla

  5. Grazie per il tuo articolo. Ne ho appena scritto anche io, rapportando però questo episodio alla cruda indifferenza di una città persa nei suoi festeggiamenti per una stupida coppa.

  6. Signor Sparzani , premetto che amo quasi tutto quello che esce da questo sito, a prescindere dai contenuti soprattutto per il gesto politico sotteso ad ogni plot discorsiva che qui avviene. Quasi, stavolta è più che giusto, perchè dopo che ho letto il suo testo ho trovato conferma in quello che 2 volte su 3 Nietzsche rimproverava ai poeti: la loro bassa mendacità. Lei , prima di essere stato un pò , come dire? un pò troppo sopra le righe,e diciamola tutta , un pò stordito nel non vedere l’assoluta incongruenza del paragone tra i due, tre, quattro, etc orrendi misfatti che accadono a giovani vite,ecco, oltra e più che tutto questo , lei in realtà è stato mendace, bassamente, e non me ne voglia, se glielo ribadisco, perchè ha evitato di renderci noto il suo vero interesse nel testimoniare in tal modo : “non aver null’altro da fare”. Io ritengo che il ricordo sacro di Melissa non abbia più bisogno di simili obiurgazioni. P.S. Ho letto qualche sua poesia, non malaccio ma nemmeno benone.

  7. Non so che dire. Odio i funerali perché servono spesso a sistemare faccende tra vivi. Preferisco condividere dolore e memoria privatamente, con persone care, se ci sono oppure in compagnia di chi non c’è più, del suo fantasma, del suo ricordo. Nicola merita la stessa pietà, la stessa attenzione di qualsiasi ragazzo che muoia per mano vile. Quest’articolo andava scritto. Ma anche qui, è una questione fra vivi.

  8. un’altra morte ”contronatura”, l’ennesimo scempio ad un ”umanità” disUmana. Abbiamo strappato ogni speranza ai ragazzi e alle ragazze, abbiamo strappato le loro vite, ci siamo arresi alla violenza. Perduto la speranza. Non la speranza bigotta di chi si rannicchia nelle proprie comode e confortevoli visioni di qualsiasi fede. Non servono i sermoni altisonanti, le false preghiere e i minuti di silenzio. Che si aprano gli occhi su questa ”umanità”, per smettere di chiedersi se Dio non c’è o non veda. Per chiedersi, piuttosto, dove sia l’uomo e, se sia ancora, capace di vedere e piangere accanto a chi soffre, il padre e la madre di Melissa e di Nicola. Per loro i versi di un lamento funebre rom

    …Perché vi lamentate madre mia?
    Piango, canto lamenti funebri
    perché ho allevato molti uccellini
    ed ora non sono più qui.
    Quando le loro ali si sono formate,
    se ne sono volati via per il mondo,
    ed io, sono rimasta sola …

  9. Sinceramente questo post mi pare una cosa tanto stupida, la morte dei due ragazzi è una cosa atroce,a 15anni si ha diritto soltanto a vivere e non a morire, e nessuno dei due avrebbe voluto un funerale, paragonare le due vite, di cui, tra l’altro, nulla sappiamo se non ciò che ci propina la stampa, mi sembra altrettanto stupido, poteva morire nell’attentato chiunque, anche Nicola se fosse passato di lì a quell’ora, il caso ha voluto che fosse Melissa, le due morti ci raccontano questo paese violento, ma a Mesagne si è compiuto un atto terroristico, atto diverso dall’omicidio comune. La stampa poi in questi giorni ha avuto talmente tanta carne al fuoco tra attentato, terremoto ed elezioni da essere miope, ma qualcuno di voi crede ancora che la stampa faccia veramente informazione? A me pare che ci sia un copia/incolla – taglia/aggiungi … ma magari mi sbaglio visto che i giornali non li leggo ma li sfoglio leggendo solo i titoli a volte.

    • Credo che sparzani voglia dire che quello del ragazzo non è “un omicidio qualunque”, e anch’io sono daccordo con lui.

      • poteva dirlo in un altro modo, con un altro tono e senza paragonare funerali usando il linguaggio dei tifosi: io sarei andato ai funerali di…
        che amarezza! che squallore!

  10. Ringrazio per la notizia della morte di Nicola, che non mi aveva raggiunto, ma trovo il confronto trai due ragazzi inutilmente paradossale, sgradevole e impietoso.
    Il paradosso non aiuta a leggere gli aspetti simbolici della morte di una studentessa di Brindisi, che, al di là della cronaca, si palesano in un paese anormale in cui morire per mafia o per terrorismo è ancora perfettamente plausibile, se non necessariamente vero in questo caso.
    La sgradevolezza nasce dalla freschezza di una ferita recente che chiede/esige rispetto e non l’assurdo impiego di categorie come fortuna/fortunato che non hanno la forza argomentativa che pretendono di avere, dato che l’esistenza di entrambi i ragazzi, il bagaglio di risorse e ferite che li ha nutriti nella loro breve vita, non coincide per forza con la sintesi fotografica.
    Si soffre anche nelle famiglie normali e immagino che l’amore e la cura non siano necessariamente esiliati dalle famiglie più disgraziate. Lei stesso neppure conosce la nazionalità del giovane, l’occasione della sua morte.
    L’aspetto impietoso è l’origine della percezione sgradevole: i morti si rispettano tutti, anche quelli che richiamano un corredo di pubbliche dichiarazioni che fatichiamo a sentire autentiche. Autentica, in ogni caso, è la solitudine di una casa vuota, l’assenza alle esequie di una madre spezzata, il futuro bruciato delle amiche che stavano accanto alla ragazza e l’hanno vista morire.

    E’ indegno che un ragazzo muoia brutalmente e che per quella morte non si gridi allo scandalo, ma la graduatoria della pietà a me pare un brutto modo di ricordarlo.

  11. Perché io non riesco a cogliere una graduatoria nel post di Sparzani ? semmai leggo un tentativo di riequilibrio. E una critica alla rappresentanza politica.

  12. sono dispiaciuto di avere suscitato anche reazioni negative con un post che in effetti non intendeva affatto decidere graduatorie, non voleva — quando mai! — “sminuire” la morte di Melissa, cosa impossibile e assurda; come dice Elena, i morti si rispettano tutti, non ho dubbi di ciò. Al contrario, voleva se mai mettere in evidenza come i mezzi di comunicazione di massa abbiano loro categorie e modi per dare risalto ad alcuni fatti più che ad altri, ad alcune morti più che ad altre, quando invece, questo era forse quello che mi era venuto di gridare, la morte di due ragazzetti di quell’età è la stessa tragedia, almeno per il piccolo mondo che sta loro intorno, genitori, fratelli, amici, ecc.
    E anche le istituzioni hanno loro modi e criteri per dare importanza ad alcune morti più che ad altre, naturalmente, credo che non occorra sbracciarsi a fare esempi. E la frase finale stessa era solo un modo paradossale per riequilibrare le due così diverse sorti.
    Vi prego insomma di non farmi dire quello che non ho detto.

    • Avevo capito il messaggio fondamentale su quelli che sembrano non avere voce, diritti, ombre già in vita, nell’indifferenza generale. Era anche chiaro un fastidio rivolto non alla ragazza ma al corredo funebre. L’effetto sgradevole nasceva dal come, non dal cosa e certo anche dalla sensibilità, in questi giorni turbata, di chi legge.
      L’effetto intenzionale, invece, mi pare in ogni caso raggiunto: raccontarci che Nicola è esistito, suscitare vergogna per un mondo nel quale la morte di un ragazzo rom sembra un fatto normale, è un tributo importante alla sua vita e una scossa per tutti. Grazie anche da parte mia.

  13. Continuo ancora a non capire: se gli scopi sono stati raggiunti, e tutti abbiamo capito gli intenti di sparzani, perché criticare il “come”, la forma è contenuto.. non sono mica la stessa cosa ?… perché si riesciti comunque a criticare il pezzo?

    • Non so Ares: se nel mostrare a qualcuno il paesaggio allargo le braccia e inavvertitamente colpisco la sua guancia, lo schiaffo è certo preterintenzionale e l’obiettivo di mostrare il paesaggio era sin dal principio evidente, ma la guancia brucia.

      • Si, credo sia così,
        anche se speravo che lo schiaffo non fosse preterintenzionale…
        .. e invece lo è, perché Sparzani ha sentito l’esigenza di rassicurare tutti.
        Peccato.

      • Come no ?!?!?!?!

        Ah Siii, ok
        compongono lo stesso messaggio comunicativo e sono un tutt’uno per la funzione a loro affidata.. inquesto senso sono la stessa cosa, assolvono alla stessa funzione. Spero di essermi capito ^__+

  14. Anch’io avevo trovato l’intervento sgradevole, squallido e, soprattutto, inutile. Il post di ieri mi rinfranca, ma mi fa riflettere sul fatto che, a volte, una certa intenzione trapela al di là dei contenuti. Era una “vibrazione” che si coglieva tra le righe ed evidentemente non ero stato solo io a percepirla. Prendo atto del parziale fraintendimento e mi interrogo, una volta di più, sul rapporto tra parole ed emozioni.

    • la parola è l’interprete del nostro sentire per questo bisogna sceglierla con accuratezza. Soprattutto nella forma scritta dove viene meno la gestualità e la parola è sola,nuda e cruda, ed è attraverso la forma in cui si inserisce che potrà sopperire alla gestualità mancante. Dare forma alle proprie emozioni attraverso un qualsiasi elemento, parola,fotografia, disegno,musica ecc.. è arte. Il contenuto se non espresso nella forma giusta può assumere significati diversi da quella che era l’intenzione dell’autore,persino soccombere, sparire o mascherarsi nel suo contrario.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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