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Per esempio il terremoto in Emilia il 29 maggio 2012

di Giuseppe Zucco

Finita, è finita, sta per finire, sta forse per finire.

Samuel Beckett

Per esempio la tachicardia.
 

Per esempio il nome del paesino attorno a cui ronzano tutte le troupe e i giornalisti e i mezzi tecnici e i ponti satellitari dopo la prima grande scossa della settimana scorsa, Finale Emilia, un nome già in odore di apocalisse se non ricordasse qualcosa di ancora più sconveniente, Finale di partita di Samuel Beckett, l’opera teatrale che organizza l’idea di un’opprimente immobilità della storia, come se le strade, le stradine, le piazze, le case dai mattoncini rossi, fossero trattenute nel limbo del prossimo sciame sismico.

 

Per esempio i paesini vuoti, desolatamente vuoti, catastroficamente vuoti, come nei film di fantascienza, solo le costruzioni sopravvissute a un invisibile e sofisticatissimo virus alieno.

 

Per esempio, nei luoghi apparentemente meno visitati dal sisma, l’impressione che non sia accaduto nulla, che tutto scivoli come in precedenza, che la vita sia impilata regolarmente tra la monotonia degli affari quotidiani, se non fosse che poi piccoli dettagli, i vetri rotti, le tegole a terra, segnalino che alle pareti delle case rimaste in piedi corrisponda un inabissamento del tetto e dei piani superiori.

 

Per esempio gli anziani filanti in bicicletta sotto il sole a picco delle due di pomeriggio per andare a vedere come procedono i lavori di puntellamento della loro casa.

 

Per esempio la tachicardia preceduta o seguita da un momentaneo giramento di testa, il segno che la terra sotto i piedi non è il luogo adatto sopra cui programmare una qualsiasi cosa che non sia la paralisi o la fuga.

 

Per esempio la zona rossa.

 

Per esempio i gazebo bianchi e le numerosissime tende verdi gialle marroncine montate nei giardini o nei parchi dove famiglie intere decidono di trascorrere la notte, oppure le macchine parcheggiate in mezzo ai campi con i cuscini bene in vista dallo sportello aperto, o anche le tavolate allungate in strada senza più un posto libero.

 

Per esempio una signora anziana tutta vestita di nero, l’espressione di incredulità incartapecorita in piccole rughe intorno agli occhiali dalle lenti spesse, che procede lentissimamente dalla porta di casa appoggiandosi a un girello mentre un altro signore di qualche anno meno anziano la segue portando delle buste cariche di vestiti.

 

Per esempio una giornalista con i capelli neri che entrando dentro l’inquadratura fissa della telecamera che avrebbe compreso il suo mezzo busto e un’antica costruzione sventrata sullo sfondo chiede all’operatore se le doni o meno un lungo foulard di seta rosa prima che l’operatore le ricordi che in mezzo al terremoto quel foulard non suonerebbe né vero né autentico, risultando un modo per perdere immediatamente credibilità, un harakiri mediatico, a dirla tutta, cosa a cui la giornalista risponde ok levando il foulard e indossando una giacca di pelle nera.

 

Per esempio la tachicardia che mi spinge a misurare i battiti cardiaci dal polso e a stringere il petto come se stessi tamponando una ferita.

 

Per esempio il nastro rosso e bianco srotolato ovunque.

 

Per esempio la faccia bianchissima di un ragazzo seduto accanto alla madre sull’erba rada del parco con due valigie davanti ai piedi che racconta guardando fisso nel vuoto e senza riuscire a controllare l’impercettibile vibrazione del labbro superiore quanto si percepisca spossato e abbandonato dalla protezione civile e come gli psicofarmaci lo aiutino a prendere sonno.

 

Per esempio la signora sulla cinquantina con i capelli rossi che di tutta la devastazione appena scampata mi racconta invece come la vasca colma d’acqua e di pesci rossi collocata nel centro del giardino sia stata completamente svuotata dal rullio impressionante della terra – ha sollevato l’acqua e i pesci in aria, dice – un simbolo che nella sua compiutezza narrativa sembra già racchiudere i futuri sviluppi degli eventi, compresa la vicenda della madre non autosufficiente, a letto, presa in braccio e portata di corsa fuori dalla casa mentre il paesaggio intorno è una lunga lunghissima oscillazione.

 

Per esempio il suono nuovo e decisamente irripetibile in contesti più rilassati con cui le persone ferme immobili davanti alla telecamera crepitano tra le altre la parola t-e-r-r-i-b-i-l-e.

 

Per esempio il levare precipitoso della tachicardia nel momento in cui, dopo avere resistito tutto il giorno, mettendomi in fila per pagare un panino e andare in bagno nell’unico posto trovato aperto sulla strada verso Carpi, realizzo che il soffitto pende sulla mia testa come una nerissima promessa.

 

Per esempio i bambini che infilano in corsa leggera un campetto di terra battuta senza minimamente dare credito al fatto che a pochi chilometri dall’avversario scartato con un fulminante uno due di gambe interi paesi siano stati semicancellati dalle cartine geografiche.

 

Per esempio la tipologia di sorriso che i più sgranano cordialmente mentre riportano l’elenco completo delle crepe apparse nella propria abitazione, un sorriso sbucato sotto i baffi macchiati dalla nicotina o compreso nella strategia di un leggerissimo trucco femminile, l’alba di un sorriso che si dispiega poco per volta, a scatti, un sorriso dolce che poi si fissa e si rattrappisce agli angoli e si congela in una feritoia da cui s’intravede un coro di fantasmi seduti in circolo.

 

Per esempio una coppia, lui mentre spinge il passeggino, lei con un bambino piccolissimo in braccio, che all’unisono, con un accento non italiano, mi invitano a non essere ripresi dalla telecamera per non essere visti dai propri genitori che abitano fuori dall’Italia ma seguono costantemente i canali satellitari, il padre di lei soffre gravemente di cuore.

 

Per esempio il fruttivendolo che domanda, dosando sapientemente curiosità e sarcasmo, se anche noi dormiremo qui stanotte come la maggioranza degli sfollati, mentre io ho già prenotato il biglietto del treno di ritorno.

 

Per esempio la tachicardia che non cede, non scema, non si riduce a ordinario sussulto neanche una volta sul treno, tantomeno a casa, come se il terremoto proiettasse la sua forza rullante anche qui, dentro i limiti della gabbia toracica, e continuasse a squassare la certezza di ogni solidità, di ogni stabilità, di ogni compattezza, venendo a sfidare soprattutto questa ambizione, riuscire a resistere in quanto esseri umani ai crolli, ai cedimenti, all’incredibile varietà di crepe e fenditure che ci toccano e ci toccheranno in sorte.

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8 Commenti

  1. Bellissimo,Giuseppe. Tachicardico. E c’è questa sensazione di sospensione che accompagna la lettura, di fiato trattenuto, di tremore in sottofondo. Come dice Sparz, si legge “senza smettere”, perché in effetti non smette, continua. E si potrebbe leggere a ritroso, o mescolando i frammenti, una scrittura che muove e si muove -come la terra.

  2. per esempio uno dei più bei articoli sui miei amati amici emiliani e il loro dolore. che per esempio è anche il mio

  3. -h.12-
    “La sua forza raccolta come rabbia a lungo covata
     Fa scatto  nelle ossa l’orecchio non riposa I’ll maglio
     inflessibile colpo di un muro nell’aria la ghisa
    La pompa dell’acqua perde  I’ll comando
    tra bordo e steccato
    trema lo scialle I’ll ghiaino
    C’e’ ruggine in cielo
    al boato,sangue di scolo
    gia sette son morti
    Salvata da fasci di mussole,batista piegato di fresco
    salda al suo posto la mano  s’abbassa per stringere ….
    un cellulare
    Ha scosso la terra le torri piu’ alte le chiese abbattute
    La terra cede a Cavezzo vuota di sotto I’ll sottosuolo
    s’avventa strappa I’ll suo spazio quel peso
    Nulla al suo posto
    Tutto puo’ accadere

    Come altrove, qui accanto
    Allora stai con chi scuote
    perche’ gli trovi dentro la grazia I’ll garbo

    a misura I’ll silenzio d’epifania
     unheimlich….
    C’e’ questo confine di CentoChiodi
     a chiudere I’ll cerchio la condivisione”
    Claudia S. 
    (son 17 le vittime,tanti i feriti oltre trecento,gli sfollati migliaia
    ora che trascrivo un messaggio a poche ore da quel boato)

    Ed ora è il nostro minuto di silenzio
     
     

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giuseppe zucco
giuseppe zucco
Alcuni suoi racconti sono apparsi su Nazione Indiana, Nuovi Argomenti, Rassegna Sindacale, Colla. Nel 2010 ha partecipato alle Prove d’Autore di Esor-dire, a Cuneo. Sempre nel 2010, nel numero 52, la rivista «Nuovi Argomenti» ha inserito un suo racconto nella sezione monografica Mai sentito, segnalando l’esordio di cinque nuovi scrittori.
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