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De mortuis nihil nisi bene

di Franco Arminio

Una buona politica comincia da una buona lingua, una lingua semplice, dolce, incantata. Non si sente questa lingua nella politica italiana. Si sentono frasi opache, generiche, senza carne, le frasi di una politica tesa a conservare un potere che non ha o a prendere un potere che non c’è.
Le prossime elezioni rischiano di diventare un gigantesco processo alla casta, un processo che porterà molte facce nuove in parlamento ma poche novità nei meccanismi profondi che muovono la società.
Bisogna dire cose inequivocabili come lo stop al consumo di suolo o alle spese militari o ai privilegi alla chiesa cattolica. Ci vuole una lingua che non aggiunga confusione alla confusione, conformismo al conformismo.
Che senso ha continuare a parlare della crescita, quando si sa che è una strada senza uscita e che porta benefici di gran lunga inferiore ai danni che produce? Che senso ha contestare la penosa avarizia dei nostri parlamentari senza considerare un modello economico completamente fuori dallo schema produzione-consumo?
La modernità è finita, sembra che solo le forze politiche non se ne siano accorte. Per governare una società che ha in testa un modello che non funziona non si può riproporre lo stesso modello, bisogna avere il coraggio di immaginarne un altro, anche se può richiedere tempi lunghi per essere costruito.
La modernità nel tempo della sua fine non crea solo problemi, ci dà anche squarci utili. Tanto per citarne uno, ci fa vedere i benefici che potrebbe avere un modello di riattivazione della ruralità e della specificità dei luoghi. La civiltà contadina prima della modernità era una civiltà violenta e meschina, che annoiava la vita dei pochi agiati e lacerava la vita di tutti gli altri. Paradossalmente adesso non sarebbe così. Adesso, solo per fare un piccolo esempio, si può fare un orto per produrre cose da mangiare e nello stesso tempo per dare nuova linfa alla vita comunitaria. Si può ripartire dalla terra, coniugando il computer e il pero selvatico. Si può partire dall’idea di rivitalizzare i centri storici dei piccoli paesi, quasi tutti agonizzanti, ci si può ricordare che l’Italia è fatta in gran parte di montagne. E invece la lingua ristagna intorno alla crisi e alla necessità della crescita come unica via per uscirne. Politica e antipolitica in questo sembrano non discostarsi molto, come se la fuga dalla realtà fosse il collante per tenere insieme un sistema in cui l’alternanza non è tra proposte diverse. Politica e antipolitica danno vita ogni giorno a uno stucchevole teatrino che mette in discussione gli attori in scena e non la regia dello spettacolo, non la sua ideologia di fondo.
Questa messa in discussione non può non avvenire anche sul terreno della lingua e su questo terreno gli scrittori dovrebbero farsi sentire, magari partecipando attivamente alle prossime elezioni. Quando qualcuno annuncia la volontà di candidarsi, subito viene fuori l’idea che la politica è sporca, che bisogna fare il proprio mestiere, che bisogna fare politica scrivendo buoni libri.
Mi pare uno schema vecchio, uno schema modernista. La letteratura e la politica non sono un mestiere. Lo scrittore non è un elettrauto e il politico non è un imbianchino. La cultura e la politica dovrebbero offrire cornici linguistiche e legislative entro cui le persone possano scegliere il loro abitare il mondo.
Non si può andare alle prossime elezioni senza scardinare questo meccanismo in cui ogni posizione, politica o antipolitica, ha solo la forza di rendere più povera la posizione opposta alla propria.
C’è da impegnarsi subito pronunciandosi con nettezza, pronunciando la propria visione, e questo, prima degli altri, dovrebbero farlo gli scrittori e gli intellettuali in genere. Attraversare i paesi, i volti, le macerie con un linguaggio carnoso e civile, questo fa la differenza. Toccare i margini geografici e umani, le montagne e le rovine. Un agire politico che non parta dal centro, ma dai paesi sperduti, dai luoghi senza potere, dalle vite sfinite.
Non è la casta il nemico da abbattere, ma un capitalismo sempre più cieco e verminoso, un capitalismo che non si lascia inumare perché ha impiegato gli ultimi decenni della sua vita a dare l’idea che era l’unico mondo possibile.
Andiamo alle elezioni per seppellire questa salma, riconoscendone magari anche qualche lontano merito, ma ben convinti che il mondo ha bisogno di un’altra politica e di un’altra economia e forse anche di un’altra letteratura.

Il presente articolo è uscito oggi sul «manifesto».

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18 Commenti

  1. MI sembra che l’incipit non si raccordi bene al senso del discorso. Lo stop allo sfruttamento delle risorse naturali, alle spese militari o ai privilegi alla chiesa cattolica mal si concilia con una lingua semplice, dolce e incantata. Tutt’altro. Una buona politica non dovrebbe prescindere da una lingua comnplessa (che naturalmente non vuol dire complicata o confusa), dura, realistica. E forse proprio per questo la politica non si addice agli scrittori, soprattutto ai romanzieri italiani, che per la gran parte utilizzano per l’appunto una lingua banale, smielata, sognante, sostanzialmente artefatta. Mi accontenterei di essere governato da persone semplicemente oneste e competenti.

  2. Non facevo certo riferimento ad Arminio, ma a chi Arminio chiama in causa, ossia “gli scrittori”. A me sembra che solo in pochi potrebbero dare oggi un contributo importante di passione civile e di perizia argomentativa. La realta’ e’ che nel 2012, in Italia, le opere, gli scrittori, i critici, le riviste, animati da onesta’ culturale, progetti o tensioni sociali, si possano davvero contare sulle dita di una mano. C’e’ produzione industriale, quella si, tanta.

  3. caro cannella
    quello che dici è vero ed è vero anche che molti scrittori svolgono solo la funzione di imballare quelli che scrivono qualcosa di buono. ovviamente tutti pensano di scrivere qualcosa di buono….una cosa è certa: lo stato dell’italia meriterebbe un poco di passione civile in più….

  4. ma suvvia, la “passione civile” mica si assume come una pillola, è frutto di un’educazione remota che in questo paese manca da tempo. Trovo questo pezzo astratto e contraddittorio; da un lato si invita alla partecipazione politica e dall’altro si dice che politica e antipolitica hanno “solo la forza di rendere più povera la posizione opposta alla propria.” Tutta l’erba, come si dice, in un solo fascio. Non vedo alcuna proposta credibile e fattibile; solo parole per anime belle, mentre la speculazione internazionale si diverte a farci a pezzi.

  5. il mio testo non è un decreto legge…
    partire dai paesi e dalla montagna mi pare una cosa assai concreta.

  6. Della serie “10 100 1000 Saviano”? Ma anche no, la banalità delle banalità è auspicare di affidare la gestione politica a un fantomatico “corpo” di intellettuali che si distingue spesso dal resto della società per la mera visibilità mediatica. Prima ancora, andrebbe rivisto il concetto stesso di “scrittore” oggi.

  7. alcuni commenti qui confermano in pieno lo sfinimento e il penoso disincanto di tante persone che si aggirano nella rete senza credere a niente e a nessuno.

  8. Gli scrittori hanno da fare con il mondo. Le loro parole sono luminose, perché no sono prigionieri della parola facile: cercano sempre il colore giusto della riflessione. Non sono prigionieri del potere, del denaro- sono accaturati dall’idea di bellezza, di sogno, di felicità: vedono più avanti- non sono nell’ansia di vincere: non hanno niente da vincere.
    Fanno resistenza alla povertà della mente, alla brutezza, alla desolazione.
    Leggere Franco Arminio, sentire Roberto Saviano mi dà possibilità di toccare il paese, di sentire nella mano la terra italiana, di vedere come si sogna la felicità.
    La felicità non si compra, si respira in un mondo più umano.
    La scrittura è atto di civiltà.

    • La questione non si potrà sicuramente liquidare con uno sbrigativo botta e risposta; altrettanto sicuramente, però, bisognerebbe riflettere in termini meno eterei e profetici su che ruolo possa rivestire OGGI lo scrittore. Altrimenti facciamoli lavorare aggratis ‘sti intellettuali,se pensi che siano o (debbano essere) tanto avulsi dalle logiche economiche.

  9. Anch’io ritengo che gli scrittori e gli intellettuali in genere non dovrebbero impegnarsi in prima persona nelle istituzioni, ma avere una funzione di stimolo, di pungolo nei confronti della classe politica (non certo questa casta, ma gente passabilmente onesta e capace) e nei confronti dell’opinione pubblica, non smettendo di ripetere che l’azione del governo e la sua politica economica non può servire due padroni: o si fanno gli interessi del capitale oppure quelli dei cittadini, tertium non datur. Non smettendo di ripetere che la favola della politica win win è, appunto una favola.

  10. Paolo Volponi è stato un senatore con i fiocchi. Ed è stato un romanziere superlativo. Sanguineti e Giudici, sono stati autori di versi, intellettuali ad ampio spettro, e ottimi parlamentari. Mario Luzi, senatore a vita per pochissimi giorni, non le ha di certo mandate a dire.

  11. ma sta storia che uno scrittore non può fare il deputato mi pare veramente fessa. dipende sempre dalle persone e dipende pure un poco dai tempi. in tempi come questi dovrebbero saltare certi luoghi comuni. il mio mestiere non è fare lo scrittore ma è stare al mondo, e posso stare al mondo scrivendo e facendo altro

    • A prescindere dai sottili, ma neanche tanto, distingui fra potere legislativo ed esecutivo (un conto è fare il senatore che non le manda a dire e un conto è fare il ministro che le mani nel ‘fango’ ce le deve mettere) ritengo che un intellettuale non dovrebbe nemmeno aver voglia di contaminarsi in prima persona col potere, perché un intellettuale dovrebbe sapere che il potere corrompe. Sempre. Che non esistono poteri ‘buoni’. Che ogni potere va gestito, criticato, contenuto dall’esterno.

  12. molti hanno già preso una zappa in mano – io l’ho fatto, cose di piccoli orticelli, e il godimento è tanto – altri si aggirano e teorizzando quanto sia bello tornare alle origini e prendere una zappa in mano, probabilmente con la sola arma della scrittura, che a volte risulta fiacca, autoreferenziale.
    trovo questo articolo un po’ sconclusionato.

  13. Ci vuole uno scrittore per dire “stop al consumo di suolo o alle spese militari o ai privilegi alla chiesa cattolica”? Pensavo bastasse Beppe Grillo.
    Vuoi far politica ma temi che la gente poi ti schifi? Amico mio, ma perché ci tieni tanto?…

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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