Materiali per la resa

Su Resistere non serve a niente di Walter Siti

Ne ho letto un terzo, sinora. Però mi basta per condividere che è un libro importante: per misurare dove va la letteratura e calarci dentro le pieghe e le piaghe più critiche del nostro tempo. Così ho deciso di offrire alcuni materiali pubblicati su altre riviste. La disanima di Andrea Cortellessa, un testo che si prende tutto lo spazio per articolarsi come discorso, sofferto e esplicito, di critica politica. Le riflessioni dello stesso Walter Siti.
A questo si aggiunge la recensione di Marilena Renda pubblicata proprio qui. Ma i cantieri sono aperti alle vostre segnalazioni e, ovviamente, ai vostri commenti. hj

Futile

di Andrea Cortellessa

Please allow me to introduce myself
I’m a man of wealth and taste

Pleased to meet you
Hope you guessed my name,
But what’s puzzling you
Is the nature of my game

Rolling Stones, Sympathy for the Devil

Certo non inventava niente Walter Siti nel teorizzare, e ampiamente praticare, un “io sperimentale” quale narratore, punto di vista focalizzante e protagonista indiscusso dei suoi primi romanzi. Si ricorderà come già Italo Svevo, a proposito del suo Zeno, scrivesse a un ammirato Montale: “pensi ch’è un’autobiografia e non la mia”. Ma, se si avvicina al vero quanto sostiene (esagerando) il Daniele Giglioli di Senza trauma (Quodlibet 2011) – che proprio quella che è invalso definire autofiction, insieme al noir “politico”, sia il genere egemone della narrativa italiana degli ultimi anni – ciò si deve principalmente a lui. All’esemplarità cioè che – presso i narratori più giovani, unico termometro fededegno d’autorevolezza quando i media guardano solo alle classifiche di vendita – s’è conquistato Siti, non tanto con l’esordiale e straripante Scuola di nudo (Einaudi 1994), quanto con la serie in apparenza compatta costituita da Troppi paradisi (ivi 2005), Il contagio (Mondadori 2008) e Autopsia dell’ossessione (ivi 2010; opere, in realtà, fra loro assai diverse e per certi versi l’una in polemica con l’altra; è vero infatti quanto gli viene rimproverato – che Siti scrive tanto, forse troppo – ma altrettanto vero è che gli addendi di questa serie tutt’altro che seriali risultano a una lettura ravvicinata). (continua a leggere qui)

Le maschere del presente

di Walter Siti (a cura di Goffredo Fofi)

C’era una volta Balzac
Il libro di Trollope The way we live now (La vita oggi, pubblicato qualche anno fa da Sellerio) è quello che mi ha colpito di più tra quelli che ho letto sull’argomento che ho voluto affrontare in Resistere non serve a niente (Rizzoli). È una specie di prosecuzione di Melmoth il consigliere di Balzac, che parla della borsa. Il protagonista si chiama Melmoth, è un operatore di borsa che vende azioni di una ferrovia messicana di cui non è stato posato nemmeno un binario. È la storia della carriera di Melmoth nella City di Londra, fino al suo ingresso nel comitato direttivo della City stessa, quando la vicenda esplode e finisce nel disastro.

Mi ha molto impressionato, insieme a un altro libro di Balzac che ho letto mentre stavo preparando il mio libro, La maison Nucingen, la storia bellissima di questo tizio che vende l’anima alla borsa, ma questa anima si svaluta col tempo e l’ultimo che la compra muore carbonizzato davanti a una chiesa nell’indifferenza di tutti. Geniale! è così che sono arrivato a Trollope. (continua qui)

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6 Commenti

  1. Scusate, ma nella trascrizione magnetofonica dell’intervista dev’essere successo qualche pasticcio. Allora: il romanzo di Balzac, ovviamente, si intitola Melmoth réconcilié (Melmoth riconciliato) e non Melmoth le conseiller (Il consigliere) e la trama del diavolo eccetera si riferisce a questo romanzo, ripresa esplicita di Melmoth the wanderer di Maturin. La maison Nucingen, pur avendo rapporti con il Melmoth, ha una trama tutta diversa, è praticamente un trattato sui giochi al ribasso in Borsa e, per i balzacchisti, è il romanzo di Rastignac trattato come uomo di paglia. Il personaggio di Trollope, implicita ripresa dei primi due, si chiama però Melmotte. Il manuale sui derivati è di John Hull e non di John Hall. Solo per la precisione.

  2. Ho finito il romanzo “Resistere non serve a niente”. Nel complesso mi pare efficace nel dare l’idea di una società dominata dal mondo immateriale di una finanza esoterica, in cui si dissolvono i confini tra legalità e illegalità, mentre figure ed eventi più visibili non sarebbero che una scenografia illusoria e inquietante, richiamando per densità e impotenza un mondo alla Blade Runner. Devo dire che i protagonisti mi sembrano sempre un po’ troppo intelligenti e consapevoli delle trame in cui si inseriscono intessendole. Anche Gabry mi pare eccessivamente lucida nel suo machiavellismo da olgettina, in un’interfaccia assai sofisticata tra intenzioni e declinazioni della vita interiore e ambiente. Un’altra cosa che, a caldo, mi sono ritrovato a constatare è come, ancora una volta, negli scrittori maschi italiani, ci sia un compiacimento sospetto nel riferire di modalità e tendenze odierne (ma fino a che punto?) della vita sessuale, con quell’insistenza vagamente scandalistica che si vorrebbe far passare, forse, per una scafata e superiore dimestichezza con le cose del mondo. In realtà è la repressione, la loro (la nostra) a rivelarsi una volta di più, eterosessuali od omosessuali. Ho aperto a caso il romanzo di Piperno vincitore allo Strega e mi sono subito imbattuto nella descrizione goduriosa di come le brave ragazze inglesi, trasferite a Londra, diventino delle assatanate. Per non parlare del pur talentuoso Parente: ne “L’inumano” si vorrebbe essere, virilmente, maledetti e/o spregevoli, quando i confini che Cèline, per dire, forzava e sfondava, con le conseguenti rivelazioni, non esistono più da un pezzo. Dunque perchè non liberarsi dai deliri defatiganti di siffatto “pene grandioso”?

  3. Dunque, ho appena finito di leggere il romanzo di Siti; e ho letto i materiali qui proposti; e ne ho ricavato una forte sensazione di essere tonto; e ora sono molto arrabbiato con Cortellessa; e dirò di più: se lo incontro – Cortellessa – lo picchio e anche forte, lo picchio; insomma, un povero uomo ignorante come me, cresciuto a Timpanaro e Leopardi, non può leggere la parte finale del saggio di Cortellessa senza starci male; per una vita, per tutta una vita esigua e stupidina, non ho fatto che leggere autori che mettevano in relazione il materialismo con il pessimismo, e ora arriva un Cortellessa qualsiasi che mi dice che «quel pensiero che da sempre osserva esclusivamente il pessimismo della ragione, irridendo e compiangendo quella volontà che altro potrebbe concepire» è un pensiero di destra; e a me viene il mal di pancia, e anche da vomitare, viene; sì, va bene, ultimamente me la godo con Cioran, però, insomma, non è così difficile cogliere, nel pensiero «di sinistra», la persuasione che la conoscenza di «questo ridicolissimo e freddissimo tempo» possa condurre a «far apparire come trascurabili gli sforzi per conquistare migliori istituzioni»; e poi, dai, non scherziamo, quali sarebbero quelli della «razza che rimane a terra» assieme a cui resistere?; TQ? Teatro Valle Occupato (dalle Star)?; insomma, il *pessimismo materialistico* di Siti giustamente suggerisce che «forse sarebbe meglio prendere atto del declino e decidere cosa farne, del declino, piuttosto che lavorare con una speranza a breve scadenza, dentro orizzonti che non si spingono più in là dell’anno prossimo, e però nella consapevolezza che molte delle cose prospettate non si realizzeranno comunque, né ora né mai. Se resistere significa coltivare una speranza che non ha una base solida, mi sembra una stupidata: è questo è il senso del titolo»; ecco, forse «in questo momento capire è più importante che resistere»; a me questo non pare un pensiero di destra, tutt’altro; ma io sono tonto, e dunque mi tengo fuori dall’umano, anch’io, e proprio fuori dal consorzio simil-cattolico che fa della *speranza* e della *volontà* un credo anti-materialista e, alla fine, molto-ma-molto consolatorio; in fondo, «io son distrutto / né schermo alcuno ho dal dolor, che scuro / m’è l’avvenire, e tutto quanto io scerno / è tal che sogno e fola / fa parer la speranza».

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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