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marcello

di Alessandra Carnaroli

 

marcello hai fatto

un macello incinta

al nono mese

tua moglie

rotta la testa

bruciata i vestiti

solo resti brandelli

i budelli accovacciati al colon

la merda

la merda addosso

disegna la cistifellea arresta

-il tuo pisellone è un calcolo che sbreccia

la mia parete destra-

la faccia

slacciata le labbra

dal fuoco

secchissime

neanche l’acqua può

un sorso

le labbra

la pancia

la guanciaindentro

il figlio indentro

ha caldo

come

 

un forno

la pancia

l’arrosto

servito

su un piatto di strada

nerissima

funerale la donna

tua moglie

l’amante

il lavello

marcello

normale

litigare

spacca-

re un bastone

in testa

alla bestia che non ascolta s’impunta

il figlio pure scalcia

nell’utero guasta

la tua barba appena fatta

i capelli

la tua ala di maschio svolazza

sul corpo risvolto

fino al calcagno

avvoltoio

l’anello

resta

pronto

in campagna

coppia aperta

come gomma

 

*

 

Ciu ciu ciu

Dicono sette sotto repubblica fa il botto

L’elenco l’osso del discorso la conta rivolta

Tocca a te stavolta tocca la mia pancia di gatta

Mia acqua

Io cassonetto stretto rimetto

Repubblica cronaca

E trafiletto

Nel paesone sconvolto

Dicono era un uomo buono

Mai una volta

Costola oggetto

Settanta novanta cento

Un culo immenso di donna

Coi fianchi larghi

Ci stiamo dentro tanti come girini

Come uova e can cam in in

Ciu ciu ciu

Dibattono

Sulla scarpa persa

La macchina alfetta il calibro della pistola

Fini stottili lipperini

Se non ora quando

Sempre

Dentro la pentola la gonna sventola

Bianca

Arresa arrosto e un occhio storto

Per guardare dentro

Se qualcosa funziona

Ancora il fegato

La milza un guanto

Il pan grattato bene

La conta per dare la colpa

A un amore troppo grosso

La gelosia il raptus

adesso il morto

Il lenzuolo fresco

Su quello che è rimasto avanzo

La lingua tra i denti

Epilettica

Gioca nel milan

Con fantasia

 

*

 

tredici luglio uccide

la sua Ex l’amico

poi si toglie

la vita

dramma della

gelosia

nel c

 

 

eri davanti all’agip e non dovevi fare benzina stavi con lui

stavi abbracciata e io ho fatto a metà

come si fa con le pasticche del cuore

mezza la mattina e mezza all’inferno

sei caduta come l’olio

che muore piano sugli scalini resta

trattiene il pianto gli urli il vaso di gerani

si vede se c’hai il malocchio le fatture i gambi di finocchio

sotto il letto

se c’è il sole

frigge la tua penna di porca

madonna sul portone

gli angeli di cemento si staccano a pezzi

piovono sull’erbetta

 

*

 

[tredici luglio uccide…] è tratto da Femminimondo (Polìmata, 2011)

[marcello] e [Ciu ciu ciu] sono inediti

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17 Commenti

    • c’è un tempo per vivere e un tempo per morire… è che il tempo per morire non dovrebbe deciderlo un marito bestia

  1. In un primo tempo, appena visto il libro di Alessandra Carnaroli, sono rimasta infastidita, quasi disgustata, da questa lingua bassa, morbosa, sgrammaticata. Mi sono inalberata per quello che ho sospettato essere sensazionalismo, una sorta di compiacimento ad indugiare su quelle facce rotte, sugli occhi rotti, su quei buchi zampillanti sangue. Mi sono anche risentita per il titolo Femminimondo: ma questo qui non è il mondo delle femmine – mi sono detta – manco per niente, è un mondo tutto maschio vacuo, fallo ottuso, otturato, rimbombante. Però il fastidio era troppo per non essere preso sul serio, per non essere investigato: non è strano, in fondo, restare più alterati da una lingua piuttosto che da una notizia? Qualcosa era stato toccato.
    Il libro è fatto così: sulla pagina sinistra una notizia di cronaca ridotta all’osso – giusto uno, un altro, che ammazza un’altra – dati e deittici sfasciati come bit mancanti, news mancata, suoi frantumi; a destra la voce di “uno dei protagonisti”, il violento o la sua vittima, entrambi così vividi e impropri, con queste parole poverissime, una interlingua straniante, con questi dettagli domestici da mercatone, il linguaggio degli adolescenti scemi, le psicosi narcisistiche sempliciotte e parolisiane che incredibilmente danno la misura del discorso pubblico (con categorie come “fedeltà”, “amore”, “rabbia”, “gelosia”: il giornalismo dopo Beautiful, insomma). Sensazionalismo o denuncia? Su questo azzardato confine mi pare si giochi il meglio di questa poesia. Carnaroli prende la lingua dei desideri consumistici primari e la sfonda, e in questa enorme discarica di cazzate dove ci si trastulla, al grado zero del civico, al Bar del vuoto, raccoglie immagini vivide come biglie (“sei caduta come l’olio”), o frasi talmente logore da fare il giro fino a un nuovo innesco, magari grazie alla spezzatura (“un macello incinta”).
    Certo, sembra non esserci spazio per la pietà (sembra), ma se consideriamo l’infantilismo dilagante (vedi oggi il resto del carlino sul prete trovato in spiaggia a palpeggiare la ragazzina 13enne) e il pietismo demente di certo denunciare, credo che siano anche le ragioni della rabbia a muovere oltre i confini di una più agevole e riconoscibile elegia…

  2. testi molto interessanti. sentirli leggere dalla viva voce dell’autrice è stata un’esperienza molto forte. Fortunatamente qualcuno affronta certi temi e certi toni, non le solite margheritine da montefeltro. tornerò con più calma. grazie a r.m. per il post. la pietà evidentemente si esprime in vari modi. Il pietismo è un’altra cosa e la Carnaroli ne è immune: “pietà pietà pietosa,/ miei tabù, tabù folletti, / ospiti ingrati di molti letti” (D.B.)

  3. i carabinieri le hanno detto che è meglio se cambia aria quello fuori smette di prendere i sedatavi s’incazza ancora le mette di nuovo le mani al collo la prende tra la porta e la finestra dove fa fresco. sua figlia dice che è un uomo malato, quindi presto torna. è iniziata così, con una donna che non ha sporto denuncia. poi il trafiletto. repubblica cronaca il raptus di follia, uccide per gelosia. Malato di troppo amore, la scaraventa.
    quando mi accusano di scrivere di donne e violenza per facilità un po’ è vero. è facile l’effetto pugno nello stomaco. viene per forza, fica non siamo mica mostri! mi manca ancora qualche trafiletto, ho perso il conto qualche testa l’ho saltata, di altre tipo quella buttata dal viadotto ho detto perché abita vicino a casa mia, quest’anno forse mi trasferiscono lì, ci insegno.
    si parla di violenza degli uomini sulle donne a onde, si monta e poi scende, bagna si perde, lascia qualche legno storto, un osso la scatola di donna. volevo scrivere tonno, ma tanto è. del resto siamo cani che ci piace rosicchiare pelle finché ci turba, ci molesta. poi basta. sbaviamo sulla foto della gonna stretta, la lama che s’incarna, l’alfetta lei di lui l’amante costretta. c’è chi accusa la vittima di essere una teresa vispetta, una lolita tentatrice, una moglie vecchia, chi accetta, chi aspetta che la giustizia faccia il suo corso, chi scappa perché il centro antiviolenza chiude e ci si attacca. Non sono le poesie la soluzione, deve esserci una presa di posizione politica, sociale e culturale. la donna oggetto ci fa bene, ci piace. è la pancia fertile che perde sempre. nel silenzio. perché si conta, si canta e poi ci si scorda. quante ne sono morte dall’inizio dell’anno? una marea storta. c’è una donna bellissima che dice che parlare dei morti non serve, serve spiegare alla vittima di violenza che se ti pisciano addosso non è amore per sempre. serve spiegare ad un prete sereno che baciare una tredicenne è violenza gravissima. perché nel suo carcere quell’uomo è convinto che il raptus oggi, qui, italia basta a salvargli le palle.

  4. nella scrittura in versi può entrare tutto, anzi, dovrebbe entrarci di tutto. mi meraviglio quando i benpensanti si meravigliano: come se nella vita queste cose non accadessero, e come se nella scrittura si dovesse sempre continuare a fare finta che non accadano: ecco allora le scritture araldiche, improbabili, imponderabili: i fiori all’occhiello per un giardino di Armida fasullo e ipocrita, i gran tour da un capo all’altro della propria stanzetta, le nuotatine nella pozzetta delle proprie lacrime.

    La scrittura della Carnaroli è tutto tranne che ovvia, si percepisce il lavoro e la cura, nei ritorni sonori. Qualcuno potrà anche sentirsi offeso da tanta violenza sbattuta nei versi: ma sappia che la violenza non è di chi ne scrive o di chi la registra. La violenza, la prevaricazione, l’abuso è negli uomini, da sempre, e oggi forse di più. Non di certo nelle parole. Certo, è più facile parlare di fantascienza, è più agevole raccontare del proprio male ombelicale, della propria inettitudine pulviscolare. Molto più difficile assumere in sè, e su di sè, il testimone di un affronto, l’affronto della voce.

  5. In poesia – nell’arte in generale- si può fare di tutto (tutto ciò che regge al giudizio estetico).
    Quel che mi lascia perplessa è la schema mentale che evoca i benpensanti, schema che evidentemente si riferisce a questioni extratestuali.
    Non esistono più i benpensanti o borghesi di una volta, gente che era così bello e giusto scioccare. Quelli che vi sono subentrati hanno perloppiù la pellaccia o se ne fottono, specie se sono davvero classe dominante e non prof di lettere o simili (senza offesa). Non solo dell’arte, ma delle cosidette istanze civili ecc.
    Quel che mi sembra di rilevare in molti commenti è un posizionamento più radicale della sinistra di un certo tipo: “buonista”, “moralista”, Repubblica e Se non ora quando, per riprendere due nomi-chiave fatti nella stessa poesia.
    E’legittimo, anche condivisibile nei singoli contenuti.
    Ma secondo me può diventare un errore vero, un errore POLITICO, pensare che quelli da cui occorre smarcarsi principalmente, o detto più brutalmente, quelli che stanno più sulle palle sono quelli di quell’area lì.
    Il fatto che, alla fine, questo esito sia stato evitato nell’occasione delle grandi manifestazioni delle donne mi pare ancora un risultato importante.
    Ed è stato ottenuto perché le femministe più radicali, le prostitute ecc. hanno capito che la destra stava cercando di strumentalizzarle nel giochino del bacchettone contro “libere”.
    Insomma, poesia libera sempre, ma okkio al divide et impera.

    • il suo commento riporta alcune delle critiche che ho ricevuto in queste giorni: mi è stato chiesto perché ci si ostini a farsi “la guerra” tra donne che hanno più o meno gli stessi obiettivi, la lotta al femminicidio, la difesa della 194… il fatto che io sia donna e femminista non può impedirmi di guardare in maniera critica quello che mi circonda. Se posso riconoscere il merito a Repubblica di aver data spazio alla mobilitazione di Snoq, non posso non contestarle la famosa “pornocolonna di destra” o il fatto di utilizzare espressioni come “folle d’amore” o “delitto passionale” nel raccontare un caso di femminicidio o di ignorare completamente i progetti e le rivendicazione di altri collettivi che da anni (e dico anni) lavorano sugli stessi temi di Snoq. L’essere donna e femminista non può farmi dimenticare che dopo il famoso articolo di Fini sulle “vispe terese” vittime di un pastore macedone infoiato, furono pochissime le bloggher che si dissociarono o contestarono le parole del giornalista. Essere donna e femminista non può significare evitare di criticare alcuni punti del progetto “toponomastica femminile” anche se, da quella fatidica critica, sono stata praticamente cancellata dalla mailing list di un famoso blog femminista. far cadere il Vecchio satiro è stato solo il primo passo, ora è necessario portare avanti una una vera e propria rivoluzione culturale, politica e sociale che impegni più fronti: la lotta al femminicidio e agli stereotipi sessisti veicolati dai media, la salvaguardia della 194 e dei medici non obiettori (rari più dei panda…), l’occupazione femminile, la parità salariale, le lettere di dimissioni firmate in bianco… se questi sono gli obiettivi comuni, diversi possono essere i modi per raggiungerli. La diversità di opinione non può essere vista come un attacco o un tentativo si smarcarsi ma come un momento di riflessione. Purtroppo anche questi sono stereotipi: dividere le “femministe radicali” da snoq, Chi ha detto che Sonq e repubblica debbano essere il centro? L’ago della bilancia del movimento femminista? Credo che il femminismo possa essere definito più come un sismografo che rileva le scosse e il movimento continuo di migliaia di donne che ogni giorno si confrontano e portano avanti piccole battaglie indispensabili per mantenere quei diritti che quotidianamente vengono messi in discussione (una fra tutte: le donne dell’Udi Napoli in prima linea contro la chiusura dei centri anti violenza e i processi per violenza e femminicidio). per finire: non leggo Libero ma pretendo che repubblica mi informi correttamente.

  6. Alessandra, non intendevo mettere in dubbio l’utilità della critica, né mi riferivo principalmente alla tua poesia. L’espressione “benpensanti” non l’hai usata tu, per esempio. Volevo solo segnalare il rischio che possano diventare intralcio al mettere insieme forze e pensieri.
    Questo, aggiungo, non dipende dalla diversità anche profonda di vedute, ma dal fatto che esse possano chiudersi troppo.
    Non sono per nulla a favore della consensualità o del conformismo a tutti i costi, magari perché aiuta l’azione comune – un’impostazione funzionale del fare politico, tra l’altro, storicamente contestato dal femminismo con ottime ragioni.
    Ci sono tratti di percorso per cui è facile trovarsi in molti/e e altre riflessioni o istanze che, per il momento, vengono portate avanti in numeri più piccoli. E’ una dialettica che va benissimo.
    Ma qui si tratta di smuovere un macigno culturale enorme per cui la capacità di aggregare (non sempre, non su tutto) è fondamentale.

    • Sicuramente è una macigno quello da far rotolare via… senza estremismi e senza compromessi… la pluralità all’interno di un movimento è cosa necessaria ma molto difficile da mantenere…
      resta l’obiettivo comune, che non può essere la conta delle donne ammazzate ma l’interruzione della spirale di violenza: dobbiamo tenere alta l’attenzione sulla chiusura dei centri antiviolenza, la mancanza di fondi e la tutela della vittima…

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renata morresi
renata morresi
Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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