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Paradossi di Sicilia

da Ferdinando Milone «Sicilia, la natura e l’uomo»  Paolo Boringhieri 1960
da Ferdinando Milone «Sicilia, la natura e l’uomo» Paolo Boringhieri 1960di Evelina Santangelo

di Evelina Santangelo

Un furgone carico di persone e cose si ferma nel cuore della città, in un parcheggio alberato a ridosso del salotto buono.

Sulla piazza si riversa un numero indefinito di rom, uomini, donne, bambini armati di bombola a gas, griglia per arrostire la carne, bidoni d’acqua per lavarsi, sedie, mentre uno di loro estrae una lama di rasoio e si mette a rasare i capelli di un ragazzino a mo’ di barbiere, di quei barbieri che a volte si vedono in certe foto antiche che sembrano ancora più antiche dei loro 50 anni, con quei clienti seduti su sedie di paglia o di legno in qualche slargo a ridosso di un muro di pietra.

Una posteggiatrice abusiva, emancipata in quel suo ruolo tipicamente maschile, si avvicina per capire, la visiera del suo cappellino da baseball calata sugli occhi, il marsupio stretto sotto la pancia, il fischietto in bocca.

«Perché non possiamo stare», dice uno dei rom prima ancora che lei dica qualcosa. La posteggiatrice abusiva guarda per un attimo la scena, non pronuncia verbo, ma si vede che è orgogliosa di essere stata scambiata per un vigile. Quindi li lascia lì, a trafficare con le loro carabattole, le loro bombole a gas sotto il sole, i loro bidoni d’acqua, i loro rasoi antidiluviani. Torna alla sua postazione fischiando a un Suv in cerca di un posteggio all’ombra.

«Fino a che ora volete stare?» chiede in perfetto italiano un altro posteggiatore abusivo, come se stesse parlando con dei «clienti abituali» del parcheggio, che sarebbe un parcheggio a ore, se non fosse che la durata delle «ore» la decidono i parcheggiatori che si alternano sulla piazza in base a una turnazione rigorosa, da fabbrica.

«Fino a stasera, o a domani», risponde il più anziano dei rom.

«Allora, ascolta quello che ti dico io. Ti spiego dove ti devi mettere. Così potete stare tranquilli», indica un posto lungo una siepe. «Là è perfetto», dice con aria professionale.

Intanto arrivano macchine, scendono signore addobbate per un qualche matrimonio o comunione: capelli cotonati, vestiti cotonati, borsette cotonate. Abitanti del quartiere passeggiano placidi i loro cani sotto il sole, raccogliendo le cacche con sacchettini di plastica e palette. I primi avventori s’avviano in camice leggere e jeans o vestitini attillati verso i bar della movida per un aperitivo precoce che fa tanto chic, tanto Palermo-da-bere, mentre in lontananza si scorgono nugoli di bianchi di gabbiani che scendono in città dalla discarica di Bellolampo seguendo una scia di rifiuti che vegetano da giorni lungo i bordi delle strade.

(Palermo 11 maggio 2013)

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13 Commenti

  1. errata corrige: scegliere: nugoli senza ” di” dinanzi a “bianchi” – oppure “bianchi” senza “di” dinanzi a gabbiani
    scia di rifiuti che vegetano. uhm, preferirei all’anglicismo accordare il verbo alla “scia”

    piacevolissima lettura

  2. Infatti quel «di» davanti a «bianchi» è un refuso.
    Riguardo all’accordo del verbo, preferisco la scelta che ho fatto perché, a mio avviso, più immediata nel restituire l’immagine.
    Grazie mille della lettura e delle osservazioni.

  3. Lettura scorrevole, ma camicie si scrive con la i, altrimenti si fa riferimento al “camice” di dottori, infermieri o simili.

  4. Signori, scherziamo? Ci s’è messi a far le maestrine? «Camíce» è scrizione della norma etimologica —il signor Burton avrà letto forse Pirandello—, sicché, sebbene non raccomandabile, non può esser censurato (in letteratura, poi!). Ma anche la critica d’un presunto accordo «anglicizzante» —la Castaldi ci chiarirà di che parla— per una legittima concordanza a senso (che però non si vede: «rifiuti che vegetano»!) lascia perplessi.

    Detta di passaggio, «un piacere tutto siculo» è stata una trovata di cattivissimo gusto. Ma che v’è preso?

    • ma che è preso a lei? essendo “sicula” era un saluto cortesissimo, che rinnovava un apprezzamento espresso a chiare lettere, sa?!
      per quanto riguarda la concordanza, insomma, la “scia” sarebbe il soggetto, che poi oggi sia divenuto uso (s)corretto e comune accordare il verbo al partitivo è altra cosa; io preferisco la prima soluzione, l’autrice la seconda: bene! niente di che litigare, solo osservazioni più che cortesi.
      quanto a camici e camicie, l’osservazione non riguarda me, ma veda lei:
      http://www.grandidizionari.it/Dizionario_Italiano/parola/C/camicia.aspx?query=camicia

      buona serata.

      Sig.ra Santangelo, non era mia intenzione fare la maestrina, c’erano diversii refusi che su poche righe saltavano all’occhio, senza nulla togliere alla sua competenza e alla sua bravura.
      saluti

      • Su «camicie» rimando alla relativa voce del DOP, il piú autorevole dizionario d’ortografia e pronuncia, e a qualsiasi grammatica storica sulla questione del plurale di «cia» e «gia»; quanto alla presunta scorrettezza dell’accordo del verbo col partitivo —che niente impedisce grammaticalmente d’esser poi soggetto della relativa seguente, detto per inciso— e alla concordanza a senso rimando alla grammatica del Serianni (XI.361), di cui riporto il passo: «…con un pronome indefinito seguito da partitivo non è rara la concordanza ‹a senso›, al plurale. Esempi: ‹una piccola folla di uomini, di donne e di bambini erano sulla strada› (Levi, Cristo si è fermato a Eboli)…».

        Insomma, proprio «un piacere tutto siculo»! Mi permetterà, signora Castaldi, che se non cattiva, la trovata è stata proprio goffa.

          • Oddio, perché fa cosí? Non era mia intenzione farle perdere tempo: m’è parso opportuno correggerla come lei ha corretto la signora Santangelo, e citare un dizionario come lei ha fatto rispondendomi.

            Comunque sia, detto di passaggio a chi leggesse, non voglio passare per quello cavilloso e pletorico: io sostengo la massima libertà sintattica e morfologica in arte e non ho mai tollerato la grammatichería leguleica. Perciò mi son voluto permettere —con tutt’i miei limiti, per carità— di riprendere regole inventate o mal digerite.

  5. gli abusivi, i posteggiatori; l’ibrido civile incivile del meridione; talvolta ènpure servizio sociale con remunerazione libera. ma questa vita del sud, bisognerebbe raccontarla oltre lo stravagante o il paradosso; cerrte pratiche sono assoutamente fastidiose, ma ormai accettate e coneivise. Qui non trovare il posteggiatore è cosa bizzarra e pericolosa! penserei a un bel romanzo in cui si ipotizza che un gerarca della democrazia teutonica scenda in Sicilia per mettere ordine alle cose pubbliche.

  6. Compatto e molto bello.
    Tra macchine e persone e gabbiani che vanno e vengono, io leggo, vedo, una immobilità quasi surreale.

  7. Mi dispiace aver suscitato questo vespaio. Il testo è stato scritto abbastanza di getto, in seguito a un’impressione forte che volevo fissare in poche righe. Poi mi è venuto di pubblicarlo qui, facendo l’errore di non rivederlo per bene. Per esperienza diretta, so benissimo infatti che, quando si scrive al computer, a volte scappano refusi di cui al momento non ci si rende conto nemmeno a una rilettura (soprattutto se il testo è «fresco», diciamo, cioè ancora vivo nel pensiero e nello stato d’animo che lo ha generato).

    Ho dunque apprezzato le osservazioni di chi ha colto questi refusi, rivendicando lì dove lo ritenevo opportuno (nel caso dell’accordo) la libertà di cercare l’espressione che fosse più esatta sul piano espressivo appunto, sul piano della sensazione che intendevo evocare piuttosto che sul piano sintattico o grammaticale.

    Dico a Francesco che, per inciso, io sul Sud ho scritto tutto un romanzo cercando di cogliere aspetti molto diversi e spesso incompatibili tra loro. E l’ho fatto con l’idea che quella compresenza di civiltà e inciviltà, di consapevolezza dello stato di diritto e di violazione dello stato di diritto, quella compresenza inestricabile di modernità, provincialismo, grettezza culturale, combattività mai sopita, rassegnazione… sia la cifra di questo nostro paese, e non solo.

    Per il resto, credo che le cose vadano prese per quello che sono. Volevo condividere con Nazione Indiana una circostanza che mi sembrava avesse dell’irreale, ma che in qualche modo desse la misura di un piccolo universo in cui i confini tra centro e periferia, tra diritto e abuso non sono mai così chiari. Una piccola cosa. Niente di più.

  8. Colgo questa occasione per dire anche una cosa che mi sta molto a cuore: sarebbe bello se si cominciasse, tutti quanti, ad accogliere le osservazioni degli altri in modo sereno, senza l’atteggiamento di chi debba difendere come un bastione accerchiato la propria credibilità.
    Si possono commettere errori ed è giusto che si facciano notare, come è altrettanto giusto che si argomentino scelte che potrebbero essere percepite come errori. Credo che da un confronto libero, sereno, serrato si possano solo trarre dei benefici.

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