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Del sentimento

Ron Mueck – ‘Ron Birth’.

di Livio Borriello

uno spettro si aggira fra i libri: il sentimento

qual è il pericolo che incombe sul mondo secondo una certa categoria di letterati? pare che sia il sentimento. non cito toto cutugno, ma l’inumano nietzsche: i pensieri sono le ombre dei sentimenti: sempre più oscuri, più vani, più semplici di questi.

in altre parole, il complesso processo di frattura, di dislocazione e contrazione temporale, di riarticolazione del linguaggio su un altro corpo non presente, e sui suoi multipli e stratificati meccanismi, che produce ad esempio il sentimento della nostalgia, è assai più ricco e interessante della sua concettualizzazione in un’analisi storica o psicanalitica, che consiste in poco più che una semplice registrazione e composizione secondo una regola meccanica (un po’ nel modo in cui una melodia è più complessa, e ricca di informazione e di scarto inventivo di un virtuosismo strumentale).

ecco la ragione per cui un babbuino e pare anche un’otaria può comporre parole e numeri, ma non potrà mai commuoversi per la fioraia cieca di chaplin e nemmeno per un’otaria cieca (semmai, solo, in qualche modo, piangere).

tuttavia, fare critica (infatti, sì, loro suppongono che esista la “poesia”, la “letteratura”, e quindi la “critica”) per questa compagnia di giro consiste pressappoco nel dare stellette e palline agli scritti più esangui e incorporei, più raggelati e naturalmente (bella forza) ineccepibili e inattaccabili, ma inevitabilmente più noiosi e insignificanti. uno scritto significa infatti sempre il corpo per cui sta o che estende, e privo di quello, resta un simulacro e un feticcio. che cosa significa un testo, se non significa un corpo che traspare nella sua indecenza e nudità, nella sua vulnerabile e rischiosa esposizione? che cosa deve dire il linguaggio, se non la non significanza, se non la carne sfigurata, se non l’imbarazzante, ridicola e oscena nudità degli affetti umani? la scommessa naturalmente è consolidare in qualche modo questo materiale in una forma, o detto con un noto paradosso, che però resta una boutade piuttosto puritana, ricrearlo artificialmente per esprimerlo con efficacia. ma come nella nevrosi il significante inghiotte il significato, nella letteratura gli stanchi epigoni delle vive esplorazioni concettuali di 50 anni fa si mettono al sicuro da ogni rischio, da ogni vertigine, con l’alibi del controllo formale.

il problema come sempre è preliminare. questa comunità o combriccola, che si potrebbe definire con qualche approssimazione dei vetero-avanguardisti e degli asemantici, o solo dei neo-feticisti, che generalmente passano la vita ad animare premi (che si assegnano infallibilmente l’un l’altro), compilare antologie, scalare accademie e redazioni e azionare i muscoli sopracciliari, non assumono in realtà una prospettiva radicalmente etica (semmai addizionano all’azione letteraria un impegno sociale che ne resta estraneo, e agisce parallelamente con tutt’altri linguaggi), ma di fatto prevalentemente agonistica e feticistica. i 2 atteggiamenti sono connessi. il testo è ridotto a un feticcio che esaurisce in sé il suo significato. il testo, essendo in rapporto solo con altri feticci, esistendo solo in una dimensione orizzontale, non offre altro interesse che quello del confronto formale e quantitativo con altri testi. per prospettiva etica, intendo qualcosa di più che responsabile, semmai responsabile di uno spazio che ben al di là del perimetro e dello spessore letterario, comprende tutto il percepibile fino a forzarne i confini.

cercano il testo di buon gusto, (ma “assolutamente moderno”!), caro ai borghesi e ai formalisti e neo-parnassiani e neo-accademici di tutte le ere. si pongono davanti allo scritto con l’occhio sopraffino di michele l’intenditore, quando faceva ruotare il whisky nel cristallo, e dai sentori che ne sprigionavano e vagliando i riflessi e gli archetti (!), emetteva la sua squisita sentenza, fra i gridolini di ammirazione dei convitati: michele! lui sì che se ne intende. a questo hanno ridotto la parola, e cioè l’essenza costitutiva della specie uomo.

in sostanza questi intenditori che non se ne intendono, inùmano il testo prima che nasca, quando è ancora feto. producono e inducono testi già morti, prima ancora di svolgere la propria funzione, che è quella di agire nel mondo, produrre effetti, entrare nella circolazione di passioni, pulsioni, repulsioni e revulsioni, desideri, spasmi, conati, aneliti, in una parola sentimenti, che anima e costituisce la comunità di pezzi di carne sperduti di cui siamo parte, e nel cui campo può assumere qualche vago senso la parola. per svolgere questa funzione, il testo non deve essere ancora testo… lo diventerà per i posteri, se posteri ci saranno, lo diventerà nei cimiteri delle antologie, lì dove la cultura viva e gramscianamente coinvolta nelle cose umane, si riduce a pezzi inerti di sillabe e concetti… questa inevitabile fase obitoriale loro la pretendono dal linguaggio appena emesso dalla carne, nei fiotti ancora caldi, nelle secrezioni necessariamente ancora aromatiche, grevi, sporche, scomposte.

il risultato di tutto ciò, è che se la letteratura non ha mai interessato nessuno, ora non l’interessa colpevolmente, perché non ha nulla da dire e guarda caso non dice nulla. la poesia di questi anni è diventata un cortese o spesso scortese scambio fra addetti ai lavori, una gara a chi esegue con più destrezza l’esercizio assegnato, una profluvie di finezze che non fanno ridere e non fanno piangere, da ammirare più che da amare, o da amare con i recettori letterari sensibili al potere e alla forza. non per niente credo che le uniche espressioni artistiche di questi anni che in qualche modo resteranno, non siano affatto quelle che vi aspiravano, ma semmai certo rock, certi video e certe performance di comici come corrado guzzanti. poesie di questi qui, no di certo. se non, forse, in alcuni casi, loro malgrado.

mi si obietterà: ma tutto il “contemporaneo” trae il suo senso proprio dal non aver nulla da dire, e da un certo significato che questo svuotamento produce, o quantomeno si dispone nel vuoto scavato da questo paradosso, da questa estrazione di senso. infatti questi intenditori che depreco non hanno realmente nulla da dire, essi dicono incessantemente che dicono meglio degli altri di non aver nulla da dire, e dunque dicono qualcosa, questa cosa, che però non è interessante. in altri termini, la loro finalità è sentirsi intelligenti, proposito che però quasi mai coincide con l’esserlo.

a questo fine adoperano una lingua posticcia, una lingua di sintesi, un tessuto tecnico, che non userebbero mai per fare la rivoluzione, per spiegare al medico come non farli morire, o per persuadere il partner ad accoppiarsi, ma nemmeno nel sogno, nella preghiera o nella possessione. è una lingua che esiste solo nella dimensione pellicolare della carta.

ci sono alternative che restino rigorose a questo tipo di scritture? direi di sì, e sono scritture ben consapevoli del fatto che il sentimento è un’elaborazione linguistica complessa come il concetto è una modalità percettiva e sensoriale. valerio magrelli, che ha letto probabilmente più libri di tutti gli “intenditori” messi insieme e ha una scrittura assai più disorientante e graffiante della loro, ci ha consegnato con Geologia di un padre un libro straniato, cruento, quanto sentimentale. peter handke ha scritto capolavori sulla figlia e sulla madre suicida, valère novarina racconta un uomo tanto disaderente quanto corporeo, istintuale, tattile e sensoriale. franco arminio chiama il suo ultimo libro “geografia commossa dell’italia interna”, ma naturalmente gli intenditori apprezzano la sua produzione meno vertiginosa, forse tarata proprio sulla loro vacuità. mariangela gualtieri recupera risonanze emotive desuete e antimoderne, e ci parla senza remore di abbracci, di amore, di natura. mi viene in mente anche un piccolo capolavoro di ivano ferrari, macello, dove apparentemente non si trova un grammo di sentimento, e tuttavia lo dice. roberto saviano produce una scrittura la cui verità è garantita dal suo corpo e dal suo modo di situarsi nel mondo, un’opera che non si sostanzia semplicemente di questa innervatura etica, ma ne è fatta, consiste appunto in questo rapporto di un corpo al mondo, ed ha in tal senso una portata molto più ampia dei ghirigori e arabeschi che appena scalfiscono il foglio di certi sussiegosi poeti. qualche volta cade nella retorica e scade nello stile giornalistico? questo è un problema di michele.

ma infine, se ci poniamo di fronte alla questione con radicale e virile franchezza, cosa autorizza il gratuito e volgare snobismo nei confronti di tante produzioni popolari sentimentali, da certe canzoni di claudio baglioni (intendo le 2-3- più riuscite) ai trottolini amorosi di non ricordo (concedo) quale cherubica ugola? dovrebbe bastare la coscienza della labilità dei confini psichici individuali, del comune attingimento alla grande falda del linguaggio, per comprendere che i sentimenti posti in circolazione da queste opere, non solo non producono qualsivoglia danno, ma sostengono e strutturano insostituibilmente il tessuto sociale, e hanno dunque una funzione etica primaria.

senza il movimento eccentrico dell’emozione e della commozione, senza l’estasi romantica che porta fuori da sé, senza l’esposizione e la vulnerabilità che levinas descriveva come costitutiva dell’eros, l’etica si ridurrebbe al contratto sociale, la solidarietà umana a una voce della retorica della sinistra, e l’idea stessa di umanità a una specie di casuale accolita che si sorregge vicendevolmente per pura convenienza gregaria, non molto differente dalla babbuinità e dalla vermità.

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48 Commenti

  1. anche la ragione si può commuovere davanti alla limpidezza del proprio pensiero espresso e interpretato magistralmente da un altro, addirittura per iscritto!?! (roba da non crederci!)
    Borriello, piacere puro leggerla oggi.

  2. in maniera non teorica, ma istintuale, sostengo da tempo che stile e passione sono quello che cerco quando faccio narrativa.

  3. Grande sintonia. Avrei da ridire forse sulla corporeità “sentimentale” di Saviano ma non ha importanza. Mi sembra di notare però delle discrepanze tra le posizioni su letteratura, musica e cinema e quelle sull'”Arte”, che se non è concettuale è da buttare, e il sentimento disturba. Forse però, hai modificato le tue posizioni (l’opera che vedo almeno rappresenta un corpo – anzi due).

  4. Scrivere è ritrovare la sensualità della lingua. Il vincolo tra il corpo e la madre lingua, tra il corpo e il mondo.
    Si inventa la lingua.

    La poesia è arrivata a un livello di distacco, di alta performance che non mi corrisponde.
    A volte.

    Quando leggo una poesia, cerco da scoprire l’incanto, la musica del corpo lingue e il centro vivo dell’emozione.
    Toccare.

    L’autobiografia nella poesia. La traccia autobiografica.

    Franco Buffoni, Andrea Raos, Andrea Inglese, Franco Arminio…Dimostrano perfezione nella lingua, ma non fanno numero d’acrobazia. Sono poeti.

    Leggendo, posso fare la differenza tra artificio e verità.

    Roberto Saviano scrive dal suo corpo prigioniero per raggiungere un luogo dove le parole sono libertà, aria e luce.

  5. Era inevitabile constatarlo: alla lunga il gioco puramente verbale sulla parola sospesa al di sopra del senso, a lasciato la parola appesa a sé stessa e il senso in sospeso.

  6. […]
    Merde! Cercare di spiegare come vanno

    le cose della lingua, senza inferire
    concomitanze politiche! unità
    linguistica senza ragioni di vile

    interesse, senza l’insensibilità
    di una classe che non sa nulla di elezione
    gergale-letteraria! Professori del ca.,

    neo o paleo patrioti, teste coglione
    in tanta scienza, che dal xii al xiv secolo
    vedono solo testi in funzione

    di altri testi…Basta: cieco
    amore mio! Ti eserciterò in ricerche
    translinguistiche, […]

    P.P. Pasolini, Progetto di opere future (in Poesie in forma di rosa)

    Giusto ieri leggevo questi versi di Pasolini e mi sembrano adatti a commentare questo scritto. Laddove Pasolini rivendicava “concomitanze politiche” sento risuonare la prospettiva etica invocata da Borriello. “La Rivoluzione non è più che un sentimento” concludeva il Poeta in quel magmatico poema, oggi forse una memoria sbiadita di qualcosa che chiamavamo sentimento.

  7. Ooops… stavo dicendo ..leggete MICA ME e troverete rabbia dolore stupore autoironia “ragione analitica” al cubo innervata sempre di “sentimento”, nel senso etimo/logico del termine….cioè “sentire in atto” con una lingua aforistica…spezzettata…da “pensiero senziente” in atto , appunto…e vi accorgerete di come rimarrete avvinghiati al testo fino alla fine e poi, una volta in fondo, direte “cazzo!…qua bisogna ricominciare da capo…e in mezzo in mezzo” e ci ritornerete e rileggerete, più e più volte. A patto di essere disposti a dimenticarvi della fretta e della superfice sdrucciola delle cose ( e degli atteggiamenti).Provare per verificare.

  8. Sono ot: un abbraccio forte a tutto il Sud provato dalla tragedia a Monteforte Irpino.

    Caro Salvatore, ti scrivo, quando lo posso. Ho cambiato di indirizzo mail.

  9. Mah, detta così sembra quasi che un commando di necrofili antisentimentali abbiano (attraverso mezzi ignoti) “preso il potere” operando un incantesimo malvagio sull’intero campo letterario. I capi d’accusa mi ricordano molto “The semiotic Anti-Subject” di Donald Kuspit (con il quale simpatizzo) e dunque ne dedurrei che sotto accusa è una certa “deriva semiotica”. Se è così, allora il discorso – qui lasciato inespresso – dell'”altra parte” sarebbe sintetizzabile dalle seguenti parole di Umberto Eco, il che, mi pare, prefigurerebbe un problema dagli esiti meno scontati di quanto i commenti precedenti lascerebbero supporre, specie considerando ciò che Internet sta rivelando riguardo ai limiti, piuttosto severi, del “general intellect”. (le maiuscole sono mie)

    “[..] vedere la vita della cultura come tessuto di codici e come richiamo continuo da codice a codice ha significato cercare, in qualche modo, delle regole per l’attività della semiosi. Anche quando le regole sono state semplificate, è stato importante cercarle. La battaglia per il codice è stata UNA BATTAGLIA CONTRO L’INEFFABILE. Se vi è regola vi è istituzione e vi è società e dunque vi è un MECCANISMO in qualche modo costruibile e decostruibile. Parlare di codice ha significato vedere la cultura come fatto di interazione regolata, l’arte, la lingua, i manufatti, la percezione stessa come fenomeni di interazione collettiva retti da leggi esplicitabili. LA VITA CULTURALE NON È STATA PIÙ VISTA COME CREAZIONE LIBERA, PRODOTTO E OGGETTO DI INTUIZIONI MISTICHE, LUOGO DELL’INEFFABILE, PURA EMANAZIONE DI ENERGIA CREATRICE, TEATRO DI UNA RAPPRESENTAZIONE DIONISIACA RETTA DA FORZE CHE LA PRECEDONO E SU CUI L’ANALISI NON HA PRESA. La vita della cultura è vita di testi retti da leggi intertestuali dove ogni <> agisce come regola possibile. Il già detto costituisce il tesoro dell’enciclopedia. Si è affermato, con la nozione di codice, che anche là dove si verificano fenomeni per ora gran parte sconosciuti, non vi è per principio dell’inconoscibile, perché qualcosa rimane oggetto di indagine, ed è il sistema delle regole, per quanto profonde, per quanto intrecciate secondo il modello della rete, del labirinto, e per quanto possano essere labili, transitorie, superficiali, dipendenti dai contesti e dalle circostanze. Da questo punto di vista l’enfasi e l’entusiasmo (diciamo pure la fretta) con cui il post-strutturalismo ha cercato di far giustizia dei codici e dei loro sistemi, sostituendo alla regola il vortice, la béance, la differenza pura, la deriva, la possibilità di una decostruzione sottratta ad ogni controllo, non va salutata con troppo entusiasmo. Non costituisce un passo avanti, bensì un RITORNO ALL’ORGIA DELL’INEFFABILITÀ.

  10. cavolo, nemmeno un attacco polemico, non so se preoccuparmi… forse ho perso affilatezza… grazie a salvatore, lettore sintonico di mica me… grazie a antnio per la pertinente e bella citazione di ppp…di daniele v. e natalia c. immaginavo la condivisione… @ veronique v: condivido i nomi che escludi dall’attaco, ma ne potrei citare tanti anche nell’area “asemantica” (in cui direi che inglese e raos possono rientrare…così come, per esempio, novarina che cito nel pezzo) @ elio p. : ma io non voglio tagliare il concettuale nemmeno dalla letteratura..sostengo solo che la suggestione che produce un’opera di kosuth rappresenta un comtenuto “corporeo” allo stesso titolo dell’attacco di 100anni di solitudine, e in qualche senso anche dell’erezione che procura un film porno… sulla musica sono forse più critico, amo alcune cose di stockhausen o messiaen, ma credo proprio che molta produzione comtemporanea dodecafonica e post rompa i corbelli a tutti…

  11. Questo articolo ha solo il difetto d’essere mal scritto, mescolando senso e sentimento. Commentato da sciocchi commentatori, in ordine nc e dv. Se volete del senso-sentimento con la S maiuscola, andate “al cinema”, magari vi scappa anche una lacrimuccia e sarete contenti. Oppure c’è il rosa, il giallo e il nero. Avete tutti i colori a disposizione. Per fortuna la letteratura è un’altra cosa e non fa lacrimare o commuovere. Se ne fotte e strafotte di uomini e affetti umani, di corpi più o meno sfatti o disfatti. La letteratura non vuole agire sul mondo e non vuole interessare nessuno. Ora, l’autore di questo articolo non mi farà mai credere che Novarina interessa ai suoi commentatori desiderosi di senso e sentimento e di carne umana sofferente. Qual è il “sentimento della carne” s’interroga un personaggio di Novarina… uno dei tanti, uno degli innumerevoli… e scopre che non ha niente a che vedere con il concreto del corpo, ma con una nuvola di passaggio, con il vuoto. Ma se si crede, come qui si fa credere, che il linguaggio sia uno e sgorghi da una grande falda, e serva al tessuto sociale, a cementarlo insieme ai buoni sentimenti, siete altrove che nella letteratura.

    • Salve ar.
      Ho tirato una riga nel tuo commento. Sono benvenute le osservazioni sul testo, quelle espresse con rispetto e volte a creare un dialogo. Non sono benvenuti i commenti aggressivi, soprattutto quelli irrelati, che continuano screzi passati e che qui non hanno diritto di cittadinanza.

      • “Lasciando stare Alfredo Riponi e le sue sciocchezze…” (dv). Qui, caro Domenico, nessuno ha tirato un rigo… Come vedi il diritto di cittadinanza… per qualche commento aggressivo c’è… quando la cittadinanza coincide con l’essere gregario…

        • Certo che non ho tirato un rigo, l’offesa partiva da chi firma “ar” (e non sono tenuto, ogni volta, a ricostruire l’identità di uno pseudonimo o di una sigla).
          Mi auguro, lo ripeto, che si rimanga sul testo. Le ruggini tra i commentatori vorrei che restassero fuori da questo spazio.

          • ho sorriso leggendo l’articolo, di certe conventicole che si premiano e si incensano reciprocamente, del leggere politicamente corretto di certi autori che non puoi non ever letto e non recensire, di un domino di recensioni e recensori che sono sempre la stessa solfa, che si ribbloggano all’infinito, sull’onda dell’ultimo evento letterario.
            non sono stata d’accordo sugli autori che poi borriello cita, non sono tra i miei preferiti, mi sarei aspettata altri nomi, ma tant’è.
            quello che mi ha fatto rabbrividire sono i commenti di @ar, insulti gratuiti, OT, rimandi farraginosi ad asti personali e ad altri commentari, stizziti, sterili. la conferma di una deriva della rete, che mi fa davvero orrore

  12. “La letteratura non vuole agire sul mondo e non vuole interessare nessuno”

    un po’ come lei, e le sue ossessioni; si rilassi magari rileggendo “Sense and sensibility”

    • Anche se non accetto consigli di lettura da rotocalco femminile, il giorno che si metteranno d’accordo almeno sulla traduzione del titolo… me lo scriva in italiano… e le rispondo, alla posta del cuore…

      • oh, ma io mi rimettevo alla sua nota e acuta sensibilità di traduttore…)); per il resto Jane Austen sopravvive e sopravviverà anche a noi, dr. Riponi, mi spiace per il suo, di cuore, mi stia bene

        • Sarebbe così semplice se ognuno fosse libero d’esprimersi, senza trovarsi ogni volta di fronte a congreghe d’amici, difensori d’ufficio improvvisati e damigelle d’onore…

  13. grazie a elio copetti, che delinea con acutezza la questione (ma gradirei delucidazioni su kuspit)… è forse come dici un problema di deriva semiotica…quel che io contesto (sulla base soprattutto di merleau-ponty), però, è che questa autonomia del codice non sia insensata, illusoria e superificiale (il che si traduce popolarmente in “intellettualistica”)…d’altronde eco, che qui si esprime da par suo, sappiamo che prodotti estetici discutibili e vuoti ci offre (né come critico letterario mi entusiasma)… replicando anche ad ar, io assimilo senso, sentimento, e persino concetto… “le strutture dell’affettività…sono già quelle delle conoscenza, essendo quelle del linguaggio” (merl.ponty) ogni concetto presuppone una fede percettiva, una postura corporea, è uno stato corporeo (per cui ar si scalda tanto…) …è un sentimento, essendo presenza al mondo attraverso il corpo…dire 2+2+=4, è provare un certo sentimento del 2, del +, dell’uguale e del 4…

    • @Livio
      Si tratta di un saggio ancora disponibile in rete ( http://www.artnet.com/magazine/features/kuspit/kuspit4-20-01.asp ) che talvolta segnalo in quanto mi sembra “fare il punto” in maniera particolarmente stimolante. Certo fra contesto artistico e letterario vi sono vari sfasamenti, direi che nel primo certe dinamiche “postmoderne” si sono rivelate precocemente, o almeno in maniera più evidente. Comunque vi troverai degli argomenti che sostanzialmente corroborano i tuoi, specialmente riguardo alla polarità profondità/superficie, rispetto alla quale, però, penso sia utile tener presente anche la concezione (di sentimento, diciamo così, opposto a quello di Kuspit) che Baricco sviluppa ne “i barbari”.

  14. cao ar abbiamo presentato Novarina a Torino io e Livio alla galleria libreria Voyelles di Torino a Maggio. molte emozioni, molto sentimento,molto corpo en fait. la prossima volta invitiamo anche te. effeffe

  15. sostanzialmente d’accordo con borriello. tuttavia, le scritture italiane del sentimento – non dico quelle citate – a volte soffrono di un male peggiore: la stucchevole retorica.

  16. elio c., ti dirò, non è che poi io sia tanto contento del fatto che le mie idee convengano con quelle di un accademico americano, di baricco e ahimè di fazio ….ma d’altronde la questione si gioca sulle sfumature… io non dico che l’arte deve rappresentare solo stati soggettivi (di cui in verità nego l’esistenza) come kuspit, o che baglioni è un genio indiscutibile … mi sembra piuttosto che la mia posizione oltrepassi certo puritanesimo vetero-ideologico che si vorrebbe spacciare per paradigma – partendo da artaud, passando per il 77, e arrivando a autori come novarina (che scoprii in una bella traduzione di andrea raos proprio su NI), il quale ha scritto un testo fatto solo di nomi propri, ma al contempo articoli su luis de funes e la potenza del riso e della comicità (e come dice effeffe, a conoscerlo di persona, mi pare il contrario che uno scipito prodotto della deriva semiotica…quelle di n., sono “le parole che scrive il mondo nella nostra carne”, scrissi http://livioborriello.blogspot.it/2013/05/novarina-o-luomo-disaderente.html )… il tutto, partendo da una radicale ridefinizione dei concetti di percezione e rappresentazione, di soggetto e oggetto, di corpo e lingua…
    @ celeste…questo è anche vero… non voglio certo difendere il dilagante “poetese” che invade la rete e le redazioni editoriali… ma se la ferita fa pus, la miglior cura non è dissanguare il paziente…

    • Secondo me, caro Livio, si dovrebbero abbattere molte barriere in merito al concetto letterario. Quello che voglio dire è che spesso mi sembra di percepire una divisione immaginaria tra generi letterari cosiddetti “alti” e da “sottobosco” che non sempre coincide con il loro reale valore, ma più con una presunzione di appartenenza da élite, che non tende all’incontro ma allo scontro e, nello scontro, trova la sua unica forma di condivisione, la realizzazione del suo stupido interesse.
      Questo vale anche per la pittura, per la musica, etc, ad esempio citi Baglioni e allora ti dico: non amo Baglioni ma so ascoltare anche Baglioni, così come ascolto Capossela e non sempre con reale piacere, ma perché si ascolta Capossela così si è intellettualmente “fighi”, e allora per dire che non mi piace Capossela quantomeno ascolto Capossela e da non figa dico “che noia, madonna!” e resta un giudizio meramente personale; questo per fare un esempio e per dire che in quell’anche forse risiede la differenza tra spocchiosità nostrana e letteratura straniera.
      Un poeta come Simic, per fare solo un nome a me particolarmente caro, secondo me sorriderebbe proprio di tante beghette di press-untuose vanità tutte italiane. ma forse mi sbaglio e forse non ho capito proprio niente.
      Qianto al sentimeno, il sentimento non è certo da rintracciare nel poetese e nell’immagine delle brume al tramotar del sole, il sentimento è la spinta, la reale pulsione alla scrittura e all’arte che non può nutrirsi esclusivamente di tecnicismo ma deve ridurlo al suo servizio semmai, altrimenti tanto vale dedicarsi alla soluzione di un buon sudoku (almeno per me, è chiaro).
      ciao.
      n.

    • un semi OT per farti capire meglio cosa intendo. Tempo fa un caro amico, un chitarrista di quelli tosti davvero, mi raccontava di aver incontrato Pat Metheny in un pub e di aver bevuto con lui parlando come amici di vecchia data, suonando insieme per un’intera serata (forse qui il sentimento coincide con la vita e con l’arte?), mentre in un’altra occasione di aver rivolto la parola a un nostrano da due soldi incontrato in aeroporto (non lo nomino per ovvie ragioni) e di essersi sentito rispondere “a quest’ora sono ancora stanco, non mi scocciare”; credo sia questo l’atteggiamento italico in buona sintesi, salvo rare eccezioni, ovviamente.

  17. @Livio

    Ah! capisco. Niente in contrario, davvero, l’idea di fondo è suggestiva e probabilmente letterariamente feconda – un salto oltre il limite del segno che non ritorna sull’antiquato “simbolo” romantico, bensì ne scompiglia l’ontologia, molto bene direi. Penso però che questo discorso si ponga su di un altro piano rispetto a quelli di Eco e di Kuspit, o anche di Baricco: recidendo alcuni tiranti fondamentali e “condivisi”, la teoria si affloscia, diventa gualdrappa, ritagliabile ed indossabile singolarmente, in una foggia atta ad affascinare, non a persuadere. E non è la stessa cosa: che 2+2=4 sia prima di tutto “provare un certo sentimento” del 2 raddoppiato è verissimo ed importante, ma altrettanta importanza sta nel poter venire estratto da tale sensazione primigenia e trasferito affidabilmente ad un foglio excel, che se ne occuperà senza più richiederci ulteriori verifiche sentimentali. Basta quindi mettersi d’accordo su cosa si intenda per “teoria”: posso considerare Von Neumann un pazzo antipaticissimo e pericoloso, però entro gli assiomi e le regole della sua disciplina non posso rifiutarne le costruzioni: per far questo dovrei rinunciare a troppe cose preziose. Inversamente, penso che la “teoria” di Novarina faccia estremo affidamento sull’imprinting carismatico, feronomesco, sull’affascinata “compartecipazione” al suo mito. Dovessero le mie narici avvertirlo viroso, anziché soave, null’altro (o solo qualche inconcepibile opportunismo) mi costringerebbe a sconfessarle.

  18. In ogni caso, non credo che l’articolo esprima un attacco alla semiologia o alla possibilità di spiegare la testualità iuxta propria et semiotica principia.

    Più che altro, sembra una compiuta analisi del milieu culturale italiano in cui si commercia il vuoto spinto autoreferenziale: una analisi condotta peraltro tramite la forma volutamente semplificata del banale principio semiologico che i segni stanno sempre per qualcosa di extrasegnico, anche quando apparentemente rimandano ad altri segni.

    Una compiuta analisi del milieu culturale italiano con il suo compiacimento del nulla atteggiato a una maschera di finta ironia. Un ethos a cui non crede più nessuno.

  19. @natalia e @daniele : quelle che ponete potrebbero sembrare questioni di galateo, e invece sono letterarie, se come sapeva kraus un mezzo uomo non potrà mai scrivere una riga intera… ricordo una recente polemica in cui un tipico “intenditore” attaccava un geniale redattore di NI, e infine al fondo delle argomentazioni trovava frasi del tipo “tu non sai chi sono io…, tu non sei nessuno”… insomma con una preoccupante frequenza questo tipo di persone, appena perdono un po’ il controllo, rivelano quell’agonismo, e quindi quella grettezza di fondo di cui si diceva…ma se il fondo è quello, che possono scrivere? sono troppo convinti di essere qualcosa, a volte perfino qualcuno, non sanno di essere poco più che tubi di diverso peso, calibro e profilo attraversati da tutti i linguaggi che li hanno preceduti… ecco che in tal modo il problema si lega a quello posto d@ elio-copetti, con cui sono sostanzialmente d’accordo… sono d’accordo paradossalmente anche con eco che cita, ma quando fa il semiologo, non certo quando propina gialletti addizionati di intelligenza e erudizione…
    fatemi infine segnalare anche un mio tipo di proposta… http://livioborriello.blogspot.it/2012/10/la-suora-nella-500-che-pensa.html

    • Infatti siamo d’accordo (forse mi ero espresso in modo criptico): in realtà il vuoto spinto autoreferenziale diffuso, per non parlare della melassa smerciata al grande pubblico (con rare eccezioni) sono una questione del fare letterario calato in un contesto sociale -deteriorato.

  20. Mi dispiace aver scoperto l’articolo solo oggi. Sono sostan-zialmente d’accordo con i presupposti teorici di Livio Borriello, ma non con la polemica in sé che, perlomeno circoscritta al panorama italiano, non mi sembra necessaria. Se guardo alla poesia degli ultimi 30 anni (partirei, visto che è stato citato Magrelli e anche per pensare a un primo distacco dalla linea della neo-avanguardia, all’uscita de La Parola Innamorata) mi sembra che gli autori veramente importanti e letti siano (se ci concediamo grossolanamente questa distinzione) più dalla parte del “sentimento” che non da quella di una “scrittura fredda”, che comunque, pensando anche al Magrelli di Ora Serrata Retinae e di Nature e Venature, anche quando presente andrebbe analizzata più come scelta stilistica che altro. Tanto per fare degli altri nomi a caso, spostandomi fino a esperienze più recenti: Milo De Angelis, Umberto Fiori, Mario Benedetti, Antonella Anedda, Claudio Damiani, Stefano Dal Bianco; ma anche, una generazione avanti, Guido Mazzoni, Gabriel Del Sarto, Igor De Marchi e Italo Testa (a modo suo).
    Ora, se ci pensiamo un po’, non sto semplicemente citando, nel caso dei più vecchi, alcuni importanti poeti italiani, ma anche i massimi esponenti della poesia lirica pura e propriamente detta, che mi sembra attualmente la linea predominante. Le eccezioni importanti ci sono, e sono forse qualitativamente circoscrivibili ai lavori di Giampiero Neri e di GAMMM, che negli esiti più alti, pur lavorando a livello non solo stilistico ma anche teorico (cosa non maligna, laddove necessaria, e veramente necessaria, a parer mio, oggi), ha proposto una poesia diversa ma comunque di alta qualità – non solo per e dal punto di vista “accademico”: penso soprattutto ad Alessandro Broggi e Gherardo Bortolotti. Altri eventuali casi o esempi mi sembrano irrilevanti o ininfluenti, dunque poco fastidiosi.
    Il problema quindi è forse più nella critica e negli apparati critici che non nei poeti veri, che sanno essere poeti con tutta l’umiltà e le prudenze e i rischi necessari. Anzi, pensando a un autore che ho avuto la fortuna di approfondire e pubblicare recentemente, Lorenzo Carlucci, mi sembra che la ricerca di una poesia consapevole, che si basi sulle emozioni ma non cada nel tranello delle effusioni (in tutti i sensi, anche di un superamento vero del romanticismo: tentativo che, essendo più teorico che stilistico, meriterebbe un dibattito più vivo, e di diverso tono) sia una delle strade contemporanee più promettenti, e purtroppo ancora poco battuta.

  21. burratti, non conosco a sufficienza vari autori che nomini…le etichette tipo parola innamorata lo sai bene sono insidiose…credo c’entrasse conte che non mi piace molto… qualcuno ci mette, pare, viviani, che invece amo ma mi sembra assolutamente tutt’altro…su bortolotti che citi ci ritroviamo, mi sembra la sua una scrittura gelida ma che “sta per” un corpo e una percezione necessaria… sul fatto che la polemica non serva…converrai almeno però che tutte queste scritture non circolano, che il circuito comunicativo è strozzato, è in ipossia, e ci si dovrebbe chiedere almeno perchè…

  22. Se non è di cattivo gusto toccare qualche altro spunto, pensavo che la dicotomia, la lotta fra i due poli qui delineati può essere ricondotta a diversi temperamenti gaussianamente diffusi nella popolazione. Banalizzando di necessità: fra chi ama più (o chi può amare) corpo-vita-passione-sensi e chi invece ordine-riflessione-schema-concetto-astratto-distillato. Per il primo polo, la maledizione è un accumulo senza integrazione: tutte queste storie vere ed esemplari e proprio per questo irriducibili, irrapportabili, tutte potenzialmente inesauribili: ogni significato si estenua nella sovrabbondanza di istanze, nella ridondanza di amori-morti-affetti&nostalgie. L’esito obbligato: il campione arbitrario (e la corrispondente massa di -ingiustamente- esclusi). Dall’altra parte, un’architettura concettuale a complessità crescente promette un’efficace gerarchizzazione: già arrivare in cima al cantiere della torre di Babele, passo necessario per incrementarla, è impresa altamente selettiva: fuori dai piedi tutti quanti i dilettanti e tutti gli illusi sui presunti diritti della “natura umana”. La maledizione, qui, è che questi ultimi se ne vadano del tutto, rifiutino l’amo, e di farsi pubblico.

  23. Scrivere, perchè ho qualcosa dentro…appunto un sentimento.
    E poi se vogliamo parlare di ricordi:se non dono perdo tutto, tutto quanto
    la vita si consuma,rimane il ricordo. Con qualche scritto riesco ancora a intrappolare ed arrestare così quello che era e che oggi posso solo ancora
    respirare.Ecco perchè scrivo sentimenti! Ciao da Sara…il mio blog è: sarapederzani.blogspot.com

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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