un buco nella rete

diderot

 

Quando i gioielli sono discreti: per un’estetica della vulva

di
Marilisa Moccia

Chi avrebbe mai pensato ad una estetica della vulva? Eppure, la sempre maggiore esposizione cui sono sottoposti gli organi genitali, di qualsiasi sorta di esposizione si tratti, sembra proprio aver fatto nascere l’esigenza di una vagina che è chiamata a rispondere a rigidi dettami di bellezza come estrema pratica igienica. Via tutti i peli, per lasciar vedere più dettagli e soprattutto via le piccole labbra troppo lunghe e pendenti si ricorre infatti alla chirurgia estetica per aggiustare le imperfezioni di una vulva “in disordine”, dalle labbra troppo lunghe o irregolari. Il diktat estetico imposto dall’industria del porno a cui molte donne si rifanno, e rifanno, seguendone gli stilemi, anche il look alla propria vagina, impone che la vulva debba, insomma, somigliare sempre più a quella delle bambine, glabra e nelle cui grandi labbra tutto possa racchiudersi e nulla fuoriuscire. Le pratiche di bellezza di repressione autodisciplinante approdano all’autolesionismo. Il corpo è consacrato nella sua astrazione asettica, quasi asessuata.

courbet
In passato, fatta eccezione per Courbet, a nessuno interessava cosa ci fosse là sotto. Nel Rinascimento non esisteva un termine anatomico per descrivere nei particolari il sesso femminile. La vagina veniva percepita come una variante rovesciata del sesso maschile, composta dagli stessi organi ma disposti in maniera differente. E se fino all’avvento massiccio dell’immagine pornografica la vagina era relegata  “là sotto” come una questione poco interessante se non nella sua funzione di “buco” (nei porno degli anni 80 il pube è peloso), adesso tutti sanno come è fatta e in cosa differiscono le une dalle altre. L’invasione delle immagini ha sdoganato il processo di un’operazione di giudizio e paragone che ciascuno può operare tra ciò che si possiede e ciò che appartiene agli altri. Esibizione d’altronde rima con inibizione.

Il problema però non è il porno di per sé ma il modello di identificazione che dalle immagini scaturisce nella spettacolarizzazione della vulva, poiché come ci ha insegnato Debord «lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini». La novità di questi ultimi anni è che l’identificazione, processo rimasto per anni appannaggio maschile, ora sta cedendo lo scettro (per restare in tema di simbologia fallica) al gentil sesso. Per le donne il problema dell’identificazione è forse maggiore rispetto agli uomini. Non c’è molta possibilità di confrontare la forma della propria vulva con quella delle altre donne, data la conformazione anatomica,  mentre per i maschi il rapporto di paragone è molto più naturale e quotidiano, si pensi alle docce dopo le partite di calcetto. Ciò sta a significare che l’unica occasione data alle donne per vedere altre vagine è soltanto quella dell’immagine pornografica.

bild
In Australia è nato un blog , in cui sono state raccolte foto di vulve inviate da donne da ogni parte del mondo. La maggior parte di esse ringrazia per aver posto l’attenzione sull’argomento poiché non immaginavano che l’irregolarità delle loro labbra fosse “normale”.
Così, al ritmo crescente del 20% ogni anno, sempre più donne, nell’occidente lontano dal fantasma dell’infibulazione, ricorrono a interventi di labioplastica. A sentire i medici che pubblicizzano da youtube con una certa nonchalance e compiacenza i prodigi del bisturi corregge l’ipertrofia delle piccole labbra “fastidiose perché non consentono di indossare biancheria intima”, viene veramente da chiedersi: sì, ma chi l’ha deciso che sono troppo lunghe? I commenti ai video si dividono fra quelli di alcune donne che trovano assurda la pratica chirurgica e le “estasiate”, tra cui alcune che chiedono se è possibile farsi praticare la labioplastica pur essendo minorenni. Il target è nettamente diviso in fasce d’età: fra adolescenti disposte alle pratiche narcisistiche più estreme e le loro “sorelle maggiori”, formatesi evidentemente in un clima ancora post sessantottino secondo cui la legittima riappropriazione del corpo rispondeva a pratiche secolari di oscurantismo.

Liberati i corpi dalle censure interiori, è cominciata la loro colonizzazione. Nel 1970 Baudrillard scriveva «occorre che l’individuo si assuma lui stesso come oggetto, come il più bello degli oggetti come il più prezioso materiale di scambio, perché si possa istituire al livello del corpo distrutto, della sessualità distrutta, un processo economico di redditività»
Ciò che sembra essere accaduto negli ultimi anni è un mutamento del narcisismo che non risponde più ad una logica diretta: IO  CORPO, ma è diventato indotto: DIKTAT DELL’IMMAGINARIO SOCIALE  IO  CORPO, in cui il soggetto non è altro che un mediatore/esecutore ed ha il compito di agire per modificare e uniformare. Il paradosso della labioplastica è che standardizza i genitali esterni rendendoli simili a quelli degli altri mammiferi, le piccole labbra sono infatti il tratto distintivo della specie umana. Viene da chiedersi se, prima di vedere il video, prima che la figura del chirurgo genitale contribuisse alla costruzione di una doxa estetizzante, qualcuna di quelle donne che richiede per sé l’intervento di labioplastica si era mai posta il problema dell’eccessiva lunghezza delle proprie labbra.
Troppo semplice chiamare in causa la violenza simbolica e il dominio maschile, le donne imitano le donne o meglio, «si dà da consumare la Donna alla donna», la questione si fa più sottile e al contempo più sfuggente. Le pratiche narcisistiche paiono rispondere ad una sola logica: quella del capitale, non un capitale economico, ma un capitale estetico che potrebbe essere così formulato: il mio corpo vale le cure che gli propino.  Il taglio delle piccole labbra rientra allora in un – assurdo –  processo di capitalizzazione del corpo. Le labbra vengono immolate in nome del dio dell’estetica, del capitale estetico supplementare, che a quanto pare diventa più potente addirittura del piacere. Tagliare una parte delle labbra, ricche di terminazioni nervose e vasi sanguigni, vuol dire, infatti, ridurre inevitabilmente la porzione di superficie sensibile.
In quest’ottica la presenza dell’altro da sé lungi dall’essere sminuita, si rafforza: l’altro non è più qualcuno con cui condividere il piacere erotico ma lo spettatore di un corpo monadico, sempre più individualizzato, che basta sempre più a se stesso.
Poco male, dunque, se i “gioielli” sono bruttini e discreti, li si può sempre depilare, impreziosire con Swarovski (altra pratica che sta prendendo piede), trasformare chirurgicamente. Il fine ultimo non ha nulla a che vedere col potenziamento del piacere che dovrebbe essere il solo a interessare un sano rapporto col proprio organo genitale. Cosa resta allora della libera fruizione del corpo e del proprio piacere se non appena la vulva è stata liberata subito le si è costruito intorno una gabbia di costrizioni estetiche? Sembra che il concetto di “corpo” si sia evoluto secondo una parabola che va dal narcisismo alla medicalizzazione. Il corpo è diventato un feticcio che richiede un continuo intervento di manutenzione fatto di diete, fitness e autodisciplinamento. Il medico è colui che supervisiona l’operato dell’individuo e coopera al suo miglioramento e alla sua trasformazione estetica.

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L’epoca moderna, che ha avuto il grande merito di liberare l’uomo dalla superstizione e da quella che Bauman ha definito «perdurante influenza della tradizione», ha formulato una religione del corpo, una sua sacralizzazione che travalica i confini dell’amor proprio trasformandosi in un amore malato che giunge fino alla nevrosi, all’autolesionismo, alla mutilazione.

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15 Commenti

  1. “I gioielli indiscreti” sono protagonisti del primo romanzo di Diderot. Quelli parlavano, e ne veniva fuori un ritratto impietoso della società dell’epoca; questi, trattati e in mostra, fanno altrettanto!

  2. Ma si può scrivere un articolo così poco e inutile nelle argomentazioni, avendo a disposizione un tema tanto interessante?! “Per le donne il problema dell’identificazione è forse maggiore rispetto agli uomini. Non c’è molta possibilità di confrontare la forma della propria vulva con quella delle altre donne, data la conformazione anatomica, mentre per i maschi il rapporto di paragone è molto più naturale e quotidiano, si pensi alle docce dopo le partite di calcetto. Ciò sta a significare che l’unica occasione data alle donne per vedere altre vagine è soltanto quella dell’immagine pornografica”. Povero Debord, citato un attimo prima…

    • no, non si può (non si dovrebbe). a meno di non essere francesco forlani. che, per fortuna appesta solo nazione indiana.

      • tutto appesto? cioè svegliata male? intanto la ringrazio per l’attribuzione, per l’attributo no, non essendo l’autore dell’articolo. per quanto riguarda il resto non penso che ce ne sia, di resto, al massimo rimasugli, residuati bellici, una guya scienza senza conoscenza. effeffe

    • Cara Ponti, la ringrazio per il commento, mi permette di fare una precisazione: l’immagine porno ha avuto il grande merito di mostrare alle donne le donne. Poi, è riuscita a imporsi nell’immaginario fino a veicolare dei diktat estetici, come la depilazione totale e l’immagine di donne adulte con organi prepuberali in linea col culto giovanilistico, e proprio in coerenza con quanto sostenuto da Debord,quando i gioielli sono percepiti come “discreti”, cioè non all’altezza dell’immaginario estetico predominante, si interviene e si ricorre alla chirurgia.

      Marilisa Moccia

      • Cara Moccia, ma lei davvero crede che Debord sarebbe stato con d’accordo con lei nell’affermare che l’immagine pornografica diventa la prima occasione di visibilità della vagina per le donne? Non era così banalmente borghese il francese e alla performatività dell’immagine nell’età di quella che i francofortesi chiamavano l’industria culturale attribuiva un’assai più complessa articolazione. Che mi dice, ad esempio, di quella precedente familiarità delle donne a vedere vagine causa diretta del loro essere mammane, delle loro pratiche abortive casalinghe? Il suo Debord sembra venir fuori da un buco astorico – quello sì reale e non simbolico -, scaturigine di uno pseudo Hegel che poi non fa i conti con Marx. Ad ogni modo, le consiglio un’approfondita lettura della ‘Storia della sessualità’ di Foucault. Buone cose

        • Pina Ponti il Debord “lettriste” non avrebbe apprezzato di certo il suo intervento, ma credo nemmeno quello situazionista che tutti conosciamo. a me sembra che lei cerchi il pelo ove non c’è più. effeffe ps sul rapporto tra pornografia e maggio francese, revolution sexuelle et politique sarebbero molte le cose da dire non in contrasto per carità con la “grave” dimensione sociale delle pratiche abortiste clandestine, insomma più alla Deleuze-Guattari di Foucault, per capirci

          • Non capisco affatto il suo intervento, dall’inizio alla fine, dottor Forlani. Io proprio a posizioni lettriste, prima ancora che situazioniste, mi richiamavo. Come si fa quindi a snaturare, nello scrivere un articolo, un prodotto, un sintoma dal contesto storico materiale che lo produce? e come si fa, nel farlo, obliterare qualsiesi analisi storico genealogica sensata? Mi spieghi perché il suo Debord lettrista si sarebbe discostato dal mio richiamo. Ma argomenti la prego, seppur di sorvolo. Mi pare che sia un’abitudine che non le appartiene.

          • gentile Pina Ponti la facevo debordiana e invece la leggo debordante. è troppo sull’offensiva, cosa tipica di chi non ha argomenti. come del resto nel suo primo intervento: “Ma si può scrivere un articolo così poco e inutile nelle argomentazioni, avendo a disposizione un tema tanto interessante?” mi dice dove ha argomentato? mi pare che non abbia nemmeno fatto attenzione ai refusi. per il resto ho solo una richiesta da farle, non mi chiami dottore, o se proprio non ce la fa ( dalle prime parole che ha scritto ho sentito quel profumo inconfondibile dell’aria rarefatta che si respira nelle facoltà umanistiche del paese) dica dottore in niente, alla Debord SVP effeffe

  3. Ecco cosa scriveva H.Miller in Tropico del Cancro sullo stesso argomento:

    <> E mi racconta come fu che, incuriosito, scese dal letto, e andò a cercare la lampadina a pila. <>

    Henry Miller, Tropico del Cancro

  4. Ah non lo so, 15 anni fa si parlava di rinoplastica e tette al silicone, 10 anni fa di liposuzione. Il tema è l’aderire a canoni estetici imposti dai media? Ci leggo qualcosa di male nell’articolo…non lo so, in queste analisi sociologiche ci sento sempre sotto del moralismo che si tenta in tutti i modi di nascondere coprendolo con un plaid sempre troppo corto. E le cose peggiori le leggo sempre in riferimento all’universo femminile. Siamo sempre il maggior animale più studiato dagli uomini per parafrasare la Woolf?

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francesco forlani
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Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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