Targhe e monumenti. Arroganza e bullismo della memoria fascista

di Giacomo Verri

fascismo

Non s’intitola una via, un monumento, un ponte con leggerezza e superficialità. Non lo si fa perché piace o perché a un’amministrazione comunale va così. E infatti non credo che il proliferare di targhe e targhette dedicate a militi e marescialli fascistissimi discenda da decisioni prese con avventatezza. Si tratta piuttosto di casi balordi di revisionismo tenace, quando va bene, o di scura arroganza, di provocazione beota, negli altri casi. C’è dunque da sbizzarrirsi; ed è difficile dire quale delle due cose sia peggio.

La Storia della Repubblica Italiana, la Storia con la S maiuscola, fatta di tante storie relative, ma così importanti da diventare somme, discende solo da chi, per esistere, ha Resistito (scrisse il partigiano Beppe Fenoglio: “partigiano, come poeta, è parola assoluta”, non ammette le gradazioni, non sente le scalfitture, non teme i distinguo, né quelli doverosi portati dalla ricerca storica, né quelli arbitrari e degenerati avanzati dai revisionismi). Ed è la Storia stessa a insegnare perché è giusto celebrare cinque partigiani e non venti repubblichini. Non solo, come scrisse una volta Alberto Asor Rosa, parafrasando Italo Calvino, perché “dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; [mentre] dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, ché di queste non ce ne sono”; non solo perché le camicie nere seguitarono a combattere a fianco di una potenza, o forse sarebbe meglio dire ai piedi di una potenza, quella tedesca, entrata da invasore in territorio italiano; non è giusto – non dico ricordarli, ché quello si può anche fare, ma celebrarli – perché i militi che decisero di intraprendere la via più nera, non volevano l’Italia del 25 aprile, del 2 giugno, della Costituzione, non volevano un posto libero, pacifico, democratico. Volevano ancora obbedire e odiare perché ai loro occhi quello era l’insegnamento più gagliardo che avessero mai ricevuto. Alcuni, coi decenni, se ne pentirono. Fortunati quelli che hanno provato vergogna e hanno sofferto nelle loro coscienze. Ma spazio per celebrarli non ce n’è.

Il giurista e filosofo tedesco Carl Schmitt, che pure fu iscritto al Partito Nazista, seppe scorgere con asciutta precisione alcuni agghiaccianti aspetti di quella guerra che vollero le alte gerarchie tedesche e alla quale furono costretti i partigiani, una “guerra dell’inimicizia assoluta”, una guerra che “non conosce alcuna limitazione. Trova il suo senso e la sua legittimità proprio nella volontà di arrivare alle estreme conseguenze”. E ancora: “Il partigiano moderno non si aspetta dal nemico né diritto né pietà. Egli si è posto al di fuori dell’inimicizia convenzionale della guerra controllata e circoscritta, trasferendosi in un’altra dimensione: quella della vera inimicizia, che attraverso il terrore e le misure antiterroristiche cresce continuamente fino alla volontà di annientamento”. Quelle furono le condizioni. Anche in Italia: i militi della RSI, asserviti alle divisioni tedesche, vollero una lotta che non ebbe più nulla di umano, niente regole, niente misericordia, nessuna norma bellica. Basti pensare alla infame e spietata violenza che seppero perpetrare anche verso i civili. Si calcola che furono tra i dieci e i quindicimila quelli uccisi dai militari tedeschi o della Repubblica Sociale tra il 1943 e il 1945. Solo dell’agosto ’44 – e pesco quasi a caso – si possono ricordare diversi episodi che dimostrano la schifosa perversione nazifascista: dall’abietto informatore olandese della Gestapo che il 4 agosto comunica alle forze naziste il nascondiglio della famiglia di Anna Frank; alla fucilazione senza processo, sei giorni dopo, in piazzale Loreto a Milano, di quindici partigiani prelevati dal carcere di San Vittore (a sparare furono i militi della Legione Ettore Muti); a una delle più spaventose tragedie dell’umanità: il massacro di Sant’Anna di Stazzema, 12 luglio 1944, oltre 500 civili trucidati dalla sedicesima divisione delle SS.

Bene. E cosa si fa oggi in Italia? Si preserva, certo, il ricordo di chi ha dato la vita per Resistere. Ma non si fa abbastanza per tenere a freno chi sputa su quella memoria, e soprattutto chi bellamente vuole affiancarvi altre memorie, più torve e non degne di essere innalzate al pubblico ricordo. C’è allora chi genericamente vuole incidere targhe a ‘martiri’ fascisti. Ma già in termini filologici la questione non sta in piedi: martire è colui che per testimoniare una fede immola la propria vita in presenza di una forma di persecuzione. E durante il Ventennio, e anche dopo, sotto la vergognosa Repubblica Sociale, quale persecuzione hanno mai subito questi ‘martiri’?

La faccenda diventa particolarmente grave quando la celebrazione, anziché procedere da qualche fanatico (come a Girifalco, provincia di Catanzaro, dove ai piedi della madonna di Monte Covello è apparsa, nell’agosto del 2012, una targa dedicata ai martiri fascisti; e pochi giorni or sono la locale sezione della Fiamma Tricolore ha organizzato una lugubre manifestazione con tanto di saluto romano e magliette con lo slogan: ‘fiero di essere dalla parte sbagliata’), è coltivata pubblicamente dalle amministrazioni comunali. A Voghera, a esempio, dove nel 2010 la giunta Pdl e il sindaco ‘afflissero’ la popolazione con una targa in memoria di sei repubblichini, appiccicata, guarda caso, proprio sul muro del Castello Visconteo, che durante la Resistenza fu una gattabuia per partigiani e antifascisti.

Ma poi c’è Cremona dove la giunta comunale, sempre nel 2010, ha intitolato una via a Aldo Protti che, oltre a essere stato un buon baritono, con quella sua voce fece il fascista fanatico, in Val di Susa, e cantò allegramente accompagnando la marcia delle camicie nere che salivano a fare i rastrellamenti – più di quaranta, per inciso – su ordine di quello squadrista di Roberto Farinacci.

Avanti. Ci sono comuni più o meno grandi dove le amministrazioni amano tirare fuori dai bauli ferrati vecchi cimeli e altre anticaglie: nel piccolo paese di Salle, in Abruzzo, il sindaco, Florindo Colangelo, ha deciso di rispolverare a pochi giorni dalla Festa della Liberazione un marmo del 1933 col quale il Municipio ringraziava ‘l’uomo del destino’ per avere ricostruito il paese dopo il terremoto (come se ricostruzione rimasse, anziché con atto dovuto, con dono elargito).

A Brescia, poi, s’è tentato di fare le cose più in grande. Fin dal 2011 infatti la giunta comunale aveva proposto, dopo un restauro che è infine costato 150.000 euro, la ricollocazione in Piazza Vittorio del Bigio, il colosso realizzato da Arturo Dazzi nel 1932, un bolide che venne elogiato da Mussolini come raffigurazione dell’Era fascista. Figuriamoci! Poi son venute le proteste, l’ANPI ci ha messo anima e corpo e il colosso alto sette metri e mezzo per ora se ne sta nei sotterranei. Ma Emilio del Bono, sindaco di Brescia dal 10 giungo scorso, non ha intenzione di buttare alle ortiche i soldi spesi per far bello il Bigio.

E di palanche (poche o tante che siano) spese male ce ne sono molte altre. Solo al massacratore di partigiani Giorgio Almirante sono stati dedicati, in giro per lo stivale, 40 strade, 5 piazze, 2 parchi, 1 ponte e 1 busto bronzeo. Quest’ultimo ad Affile, 1600 abitanti, in provincia di Roma, là dove la giunta comunale s’è data alla gioia pazza e ha inaugurato anche un sacrario a quel bel tomo di superfascista che fu Rodolfo Graziani (tirato in piedi con 130.000 euro sborsati dalla Regione Lazio). Brava persona, maestro di stragi e di perversioni, assieme a quell’altro gerarca, Ugo Cavallero, maresciallo d’Italia, al quale la giunta di Casale Monferrato, nel 2011, ha intitolato i Giardini Pubblici: per entrambi sarebbe sufficiente ricordare il ‘nobile’ comportamento tenuto durante la guerra d’Etiopia, quando non esitarono a adoperare su donne, bambini e vecchi, alcuni gas tossici non previsti dalle convenzioni internazionali.

Tant’è. Questo non è revisionismo. Peggio. Queste intitolazioni sono atti di provocazione, sono marche d’arroganza di una politica ‘bulla’ e smargiassa che calpesta ciò che ostacola il suo borioso cammino. Sono brutali e stolide dimostrazioni di forza che assomigliano a una pernacchia o alla idiota ostentazione di un paio di chiappe in mezzo alla strada. Ma hanno ben altro peso. Purtroppo. Gravano sulla memoria e la insudiciano come la bava molle di uno sputo in cima alla nostra Costituzione.

Che dire, infine? Che almeno sappiamo con chi si ha a che fare.

Print Friendly, PDF & Email

21 Commenti

  1. Certe commemorazioni,a spese della comunità,andrebbero sanzionate da chi(?) controlla l’impiego delle risorse pubbliche. Ma non sembra che i cittadini se ne indignino.
    Il revisionismo superficiale di molti, anche in alto loco, stravolge un criterio fondamentale del giudizio storico. Gli atti di violenza, comunque esecrabili, possono avere alla base l’esigenza di libertà e democrazia, oppure il suo contrario. Ciò non li giustifica, ma differenzia.

  2. Elenco duro da leggere, da digerire, ma dovuto.
    Propongo di creare una pagina, un luogo che rimanga, dove trascrivere questo elenco ed aggiungere tutte le voci che mancano e che purtroppo ancora verranno.

  3. Un catasto nero relativo alle opere dedicate ai cultori della vanagloria,della morte e dei campi di concentramento(con tutti i distinguo,certo)? Si potrebbe fare.il problema e`che poi magari pansa userebbe la cosa per farci un aggiornamento del sangue dei vinti.e gli scaffali delle librerie sono gia` zeppi di libri malmostosi,e inutili

  4. Ok, ora farò arrabbiare tutti… sapete che a me il periodo del fascismo non dà tutti i problemi che dà a voi? Io sono di sinistra, non fraintendetemi, ma nel 2013 sinceramente mi sembra che sia passata abbastanza acqua sotto i ponti per mettere da parte i dogmi antifascisti e iniziare l’elaborazione del lutto storico che ancora ci portiamo dietro. IMHO.

    • Di solito l’elaborazione del lutto spetta a parenti e amici, e questi pare che non ne siano capaci, infatti erigono monumenti alla memoria ovunque, il problema è che lo fanno a spese nostre.

    • Infatti non è il periodo del fascismo – in questo caso – a dare problemi. E’ la condotta di alcuni nostalgici (se nostalgici sono) a preoccupare. E, si badi, non è solo il contenuto delle loro trovare a lasciare perplessi, ma l’arroganza con cui vengono imposte.

      • Del resto non vedo quale “elaborazione del lutto” possa esserci in un monumento al massacratore d’Abissinia Graziani. Siamo seri: queste operazioni non fanno che accrescere – per dirne il meno peggio possibile – l’infantilismo storico degli italiani: un tessuto di lacune, oblio, disinformazione, rimozioni individuali e collettive. Non siamo neppure nel controverso, seppure legittimo, terreno dell’uso pubblico della storia. Siamo nell’abuso puro e semplice.

      • La questione per me non è lo spreco di denaro pubblico (sul quale la pensiamo allo stesso modo, in un periodo come questo), quanto il fatto che la gente rabbrividisca al solo sentir parlare di fascismo o di nostalgici fascisti. Mio nonno è stato partigiano e finché è stato in vita era un nostalgico comunista, ma da quando ho compiuto 19 anni e ho iniziato a guardare la storia con una prospettiva più matura e meno italocentrica mi sono reso conto che l’atteggiamento che dovremmo salutarmente adottare verso fascismo e comunismo dovrebbe essere esattamente lo stesso. Non lo è, e mi sembra sciocco.

        • @Alessandro: mi pare che qui stiamo parlando di quello che è stato il fascismo per l’Italia. I partigiani non erano soltanto comunisti, e quelli che lo erano, come tuo nonno e il mio, combattevano per un certo tipo di ideali, che non vanno confusi con quella che è stata l’ideologia comunista elevata a sistema in alcuni paesi.

          • Sono d’accordo, Simone: il problema è che mi sembra che a livello di ideali siano tutti buoni uguali, ma che ogni volta che qualcuno abbia provato a costruire uno stato basandosi su di essi, presto o tardi si sia ugualmente giunti a sangue, prevaricazioni ideologiche e/o etniche o religiose. Ne più ne meno. Proprio per questo mi sembra sciocco prendersela con il fascismo più che con il comunismo o la chiesa cristiana, come invece facciamo in Italia. Mi sembrano tutte allo stesso livello.

        • Mah… che le ideologie siano arrivate al capolinea lo dice la Storia. Che le ideologie siano sovente degenerate in catastrofi politiche anche. Che le ideologie siano tutte uguali…no

          • @Alessandro: elaborare la storia non significa certo rimuoverla. Come ha giustamente specificato giacomo, le ideologie non sono affatto tutte uguali. Io non sono neanche d’accordo sul fatto che le ideologie siano arrivate al capolinea, figurati. Semplicemente si sono spostate dal politico ad altri ambiti, diventando persino più persuasive che in passato.

  5. Lo chiedo senza alcuna volontà polemica ma per avere informazioni.

    Su wikipedia non ho trovato niente riguardo ai rastrellamenti di Aldo Protti. Su internet ho trovato un articolo del *Corriere della Sera* in cui viene detto «non è stata dimostrata una partecipazione dell’ artista ad alcun rastrellamento».

    Volevo avere un riferimento sui rastrellamenti del baritono…

  6. E c’è di peggio in giro. Un negoziante qui nella mia città ha tenuto per anni in vetrina frasi che inneggiavano al nazismo. Poi le ha tolte (solo) dalla vetrina. Però entrando nel suo negozio quelle scritte e quei simboli tremendi rimangono. Un folle… che ha un negozio in pieno centro frequentato dalla folla. E nessuno s’indigna. maledizione.
    ps grazie giacomo per questo pezzo.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Il maiale Kras

di Giorgio Kralkowski
Le urla si sono quasi dissolte sopra le tegole del casale e al fumo dei camini, si sono infilate tra l’erba alta e hanno forse raggiunto gli uomini nei campi più lontani, appena prima delle acque del fiume, che inghiottono le voci di chi vi parla appena accanto. Adesso al loro posto i fruscii del lavoro, i rumori umidi delle mani e della carne, il tremare del metallo dei coltelli

Note di lettura a «Invernale»

di Valentina Durante
Un figlio racconta gli ultimi anni di vita del padre, macellaio di Porta Palazzo, Torino, a partire da una malattia susseguente a un infortunio sul lavoro. Lo si potrebbe riassumere tutto qui il breve ma intenso romanzo di Dario Voltolini

Riesci a vedere la luce in questa immagine

di Lorenzo Tomasoni
Mentre fotografava una prugna spiaccicata sul pavimento di linoleum di casa sua, durante una sessione di fotografia nei primi giorni di aprile, Colin McRooe fu colto dalla feroce intuizione che non ci sarebbero mai stati criteri oggettivi o inquadrature luminose artificiali che avrebbero potuto inchiodarla per sempre alla realtà

“Quando nulla avrà più importanza”, la fine mondo raccontata da Alessia Principe

di Antonella Falco
È un romanzo breve, o, se preferite, un racconto lungo di genere distopico che ruota interamente intorno alla figura della sua protagonista, Caterina

Cento di questi anni Lisetta Carmi

di Anna Toscano
Per ricordare il centenario della nascita di Lisetta Carmi ho provato ad andare con la memoria al tempo trascorso insieme, lei non c’era già più, novantottenne aveva lasciato il cielo con le nuvole veloci dietro di lei a Cisternino e tutto il resto di questo mondo

Le epifanie allo specchio di Graziano Graziani

di Lidia Tecchiati
Girolamo vaga tra i vicoli della sua città così come tra i vicoli della sua memoria, cercando di districare una matassa di ricordi che non riesce a sbrogliare e collocare nel giusto ordine cronologico. Si sofferma sulle assenze, su ciò che una volta c’era e ora velocemente è scomparso, assenze e sostituzioni che hanno completamente cambiato la geografia del suo passato insieme alle abitudini di una vita
davide orecchio
davide orecchio
Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012). Provo a leggere i testi inviati, e se mi piacciono li pubblico, ma non sono in grado di rispondere a tutti. Perciò, mi raccomando, non offendetevi. Del resto il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e assolutamente non professionale. d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com Questo è il mio sito.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: