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Dolores Prato

Come una favola.
Nata e vissuta (tutta la vita) senza punti di riferimento (padre, madre, religione, amici….) scrivere fu giocoforza, fu improrogabile necessità dettata dal bisogno di ritrovare se stessa, di riconoscersi, di darsi nome, connotati, un’identità.
Il titolo del suo capolavoro, Giù la piazza non c’è nessuno, può apparire fuorviante, la scrittrice di fatto popola le settecento pagine incantate di una miriade di personaggioggetticosepiante. La totalità di una vita minuta, vista, osservata, scrutata con i suoi occhi estatici di bimba.
Era una necessità vitale scrivere della sua entrata nel mondo, dei suoi silenzi, dei suoi soliloqui incessanti intorno a personeoggetticosepiante.
Testimonia, riflette quanto osserva, implacabilmente o amorevolmente, senza giudizi di valore. Riporta tutto il tempo della Treja d’antan, tutta l’aria di Treja e tutta la sua gente (vista, sentita, intravista) che rivive o vive come forse mai ha vissuto. Non un tempo ritrovato quanto invece un tempo mai lasciato.
Nel grande, geniale, borghese ventaglio di Proust vi è lo scorrere ininterrotto, senza pause, senza momenti estatici, afasici o indicibili: sfilate militari, salotti bene, conversazioni brillanti e conversari inani, il Padre demiurgo e la Madre onnipresente…..
La Prato non deflette dall’ impellente necessità, necessità perdurata per tutta la sua lunga vita, di narrare mille e mille particolari di quel mondo osservato specularmente, o sorpreso oppure intravisto nella sua infanzia ammutolita, quasi la sua fosse l’infanzia del mondo. Treja: il mondo tutto.
In questa piccola città della mia morte aveva scritto il Leopardi di Recanati, una Treja poco discosta, analogo balcone sull’Adriatico. Il natio borgo selvaggio che ispirò il poeta per tutto l’arco della sua vita. E così Treja, la Treja dell’infanzia di Dolores riportata totalmente intatta ottant’anni dopo.
Che cosa hanno conservato gli occhi, le percezioni, le registrazioni minuziose e nello stesso tempo incantate di una bimba attonita, assolutamente partecipe e insieme avulsa dal mondo a cavallo del secolo? Treja assurgeva a simbolo e come si era conservato intatta…
La riproduzione, la conservazione non pedissequa ma sapiente, questo catalogo di usi, di gesti del quotidiano, il sapore non effimero di una vita minuta, velata, intensa, inesauribile, attenta, mai banale, suggellandosi all’eterno.
Una globale restitutio antropologica della vita di Treja e nello stesso tempo l’inatteso, la sorpresa: il dono dello scrivere, la poesia. L’antropologa, la sociologa, la psicologa….. la bambina insomma che ha immancabilmente tutto registrato con la memoria profonda, prodigiosa che tutto registra e che poi seppelliamo. Dolores affidò tutta se stessa allo scrivere, finendo per divenire in questa ininterrotta pratica, una scrittrice col dono dell’unicità.
E io che fui? una bambina un po’ dolorosa, un po’ curiosa potrebbe dire chi la guarda dal buco del Portone del Priorato, una bastarda dirà chi la guarda dal disincanto. Bastarda integrale dico io. Spuntata da un ramo di antichissima nobiltà, innestata con un poderoso ramo israelita, io che sono? Quel bocciolo di melanconia che era dentro di me sin da piccina, spuntato dal plurimillenario dolore ebraico…..un pudding di elementi millenari ed occasionali messi a lievitare nella piccola madia della madre…. Così concludendo scrive di sé nell’appendice.
Le storie tutte stanno lì appese e aspettano. Lo scrittore (di storie) buca l’involucro e’narra’. Sono involucri a diversa altezza, giusta la qualità della storia, il grado di conoscenza che la storia può dare. Gli involucri bassi sono piuttosto dozzinali, inutili, come la tele. Poi ci sono gli scrittori (pochi) che narrano (quando sanno narrare) sempre o quasi dei propri accadimenti. Kerouac ad esempio, anche ossessivamente. E la Prato? Di lei conosco solo questo libro unico del quale ho provato a dire qualcosa.

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daniele ventre
daniele ventre
Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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