Articolo precedente
Articolo successivo

Blues di West End

di Filippo Tuena

(Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore e dell’editore, un estratto da “Quanto lunghi i tuoi secoli”, Armando Dadò Editore – Pro Grigioni Italiano 2014. Un’*archeologia personale* di Tuena che raccoglie testi inediti e sparsi in prosa e in versi, nonché alcuni esempi di scrittura teatrale e recensioni letterarie che coprono più di un ventennio di attività sempre più indirizzata da un lato verso l’auto-fiction e dall’altro verso la saggistica narrativa. In Italia si può acquistare andando sul sito dell’editore.)

tuena Il tram di St. Charles faceva capolinea sul lago Pontchartrian alla stazione denominata West End. Di domenica era punto di ritrovo per la gente di colore. Sulle sponde del lago dopo la messa si riunivano per i pic–nic, concerti improvvisati, danze, storie d’amore che si consumavano tra i cespugli o semplicemente in luoghi appartati, poco lontani dalla folla. Poi, poco prima del tramonto raccoglievano gli avanzi e si mettevano in cammino verso la stazione dei tram dove si formava una lunghissima fila che a stento i tram in partenza riuscivano a smaltire. Poco alla volta tornavano verso sud, la domenica stava terminando, il tram li riportava a casa.

Quando Louis Armstrong nel 1922 raggiunse Joe Oliver a Chicago, per entrare come seconda cornetta della band, i picnic del Pontchartrian entrarono nel novero delle memorie di casa, assieme alle prostitute di cui s’innamorava, ai pranzi della madre, alle passeggiate lungo il Mississippi. C’impiegò alcuni anni per formare un suo complesso – gli Hot Five a volte Hot Seven – e il 28 giugno 1928 registrò la composizione più sentita del suo maestro: West End Blues.

Esordisce con uno spaventoso lamento della sua tromba, una cadenza abissale, galattica, che distilla sangue e lacrime, che grida e piange straziando l’animo dell’ascoltatore prima che il tema accompagnato da una ritmica asciutta si distenda sul rassicurante giro armonico del blues. Alla seconda strofa Armstrong canta, ma non il canto scat che appare in molti altri suoi brani a ritmo più serrato. È piuttosto una nenia, articolata su fonemi realizzati esclusivamente con vocali – ua ua uaa, ua ua uaa. È sale intriso di miele, è tempo struggente che ritorna; sono memorie che non appassiscono neanche a migliaia di miglia di distanza, sulle rive dei grandi laghi, nella città del vento freddo, nella città ostile. L’unico musicista originario della Lousiana che lo accompagni in quel brano è il batterista Zuggy Singleton e il lavoro che compie sui piatti – colpi secchi, asciutti, implacabili – la dice lunga sul sentimento che lo avvolge mentre suona e ascolta l’assolo di tromba del leader. Soltanto Zuggy sa che cosa Louis sta raccontando, ricorda perfettamente quel tram stracolmo, le occasioni mancate che assaporava mentre dopo la giornata festiva se ne tornava verso casa. Ricorda i volti di ragazze rimaste laggiù, ormai appassiti, svaniti, irrecuperabili.

***

***

Mardi Gras. Si vestivano come regine ed erano regine per davvero: diademi, strascichi lunghi otto metri, merletti ricamati dalle creole. Finita la festa, percorsa Canal street in cima al carro, scucivano lo strascico e lo donavano all’altare della cattedrale. Diventava un arredo sacro ma rimaneva l’odore del Carnevale. Lentamente si mischiava alla cera delle candele, al profumo dell’incenso ma il senso di quella donazione profana non si poteva cancellare. Inginocchiate davanti all’altare, durante il rosario, le beghine ricordavano l’occasione nella quale lo avevano visto la prima volta – il Mardi Gras del ’96, il ballo del Comus del ’902. E ricordavano la regina che lo aveva indossato.

Oggi, la creola che lo supera con passo di gazzella lo porterebbe con grazia infinita, anche se la sfilata ha assunto un carattere spaventoso, perfino volgare. Ma la sua pelle è bronzea e il sorriso meraviglioso. Lei sì che sarebbe una regina perfetta per il prossimo Carnevale.

Percorre spedita la via, scarta i turisti che sono fermi davanti alle vetrine del negozio di chincaglierie e aspettano la guida per lo walking tour. Vorrebbe seguirla ma non sa dove lo condurrebbe. Forse nella parte della città off-limits, nell’inferno dei diseredati, tra gli zombi del dopo uragano, così pigri, così inafferrabili da mettere paura. Una paura infinita pari alla sua grazia.

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Discorso di Capo Orso Scalciante

a cura di Silvano Panella
La terra sta invecchiando. La renderò nuova per voi, per voi e per i fantasmi dei vostri padri, delle vostre madri, dei vostri fratelli, dei vostri cugini, delle vostre mogli. Lo farò per tutti quelli che accoglieranno le mie parole

«La fortuna del Greco», storia di un italiano

di Antonella Falco
Antonio il Greco è un sopravvissuto, impastato di tenacia, fatalismo e dignità. Deve il suo soprannome alla somiglianza con uno dei due Bronzi di Riace, «quello con un occhio solo, il vecchio guerriero»

Il maiale Kras

di Giorgio Kralkowski
Le urla si sono quasi dissolte sopra le tegole del casale e al fumo dei camini, si sono infilate tra l’erba alta e hanno forse raggiunto gli uomini nei campi più lontani, appena prima delle acque del fiume, che inghiottono le voci di chi vi parla appena accanto. Adesso al loro posto i fruscii del lavoro, i rumori umidi delle mani e della carne, il tremare del metallo dei coltelli

Note di lettura a «Invernale»

di Valentina Durante
Un figlio racconta gli ultimi anni di vita del padre, macellaio di Porta Palazzo, Torino, a partire da una malattia susseguente a un infortunio sul lavoro. Lo si potrebbe riassumere tutto qui il breve ma intenso romanzo di Dario Voltolini

Riesci a vedere la luce in questa immagine

di Lorenzo Tomasoni
Mentre fotografava una prugna spiaccicata sul pavimento di linoleum di casa sua, durante una sessione di fotografia nei primi giorni di aprile, Colin McRooe fu colto dalla feroce intuizione che non ci sarebbero mai stati criteri oggettivi o inquadrature luminose artificiali che avrebbero potuto inchiodarla per sempre alla realtà

“Quando nulla avrà più importanza”, la fine mondo raccontata da Alessia Principe

di Antonella Falco
È un romanzo breve, o, se preferite, un racconto lungo di genere distopico che ruota interamente intorno alla figura della sua protagonista, Caterina
davide orecchio
davide orecchio
Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012). Provo a leggere i testi inviati, e se mi piacciono li pubblico, ma non sono in grado di rispondere a tutti. Perciò, mi raccomando, non offendetevi. Del resto il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e assolutamente non professionale. d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com Questo è il mio sito.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: