Condominio Oltremare: Falco e Ragucci sulla riviera romagnola

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di: Francesca Fiorletta

Intorpidito dai pensieri, insensibile alla scomodità delle scarpe che paiono muoversi autonomamente, arrivo nell’atrio e mi rendo conto di non ricordare dov’è la cantina. Sono a disagio in quella parte comune, che si vorrebbe neutrale Per quanto sia improbabile, temo di incontrare qualcuno con cui parlare. Certo, qui non c’è nessuno, ma per alcuni versi è peggio, mi sembra di essere, se non un ladro, almeno un impostore, uno che è qui senza un motivo specifico: niente famiglia e figli, nessuna moglie o amante da cui scappare.

Otto piani, eppure quando esco dal condominio ho l’impressione di essere sceso da un grattacielo, alcuni raggi di sole fendono la nebbia, tanto che, guardando in alto, vedo la sagoma del balcone. In cortile non ci sono box, soltanto posti auto, le strisce bianche quasi cancellate. Poco oltre il giardinetto condominiale inizia la piscina di venticinque metri. Vuota sembra molto più piccola di quanto ricordassi mentre vi nuotavo da bambino. Giro intorno al palazzo, riconosco la porta che conduce alle cantine. È chiusa, provo la chiave che ho in tasca, la porta si apre. Sono incerto se scendere davvero. La luce cade sui primi gradini, sull’angolo del muro dove un grosso ragno, sorpreso dall’evento, cerca di scappare più in alto, scontrandosi con la barriera della parete e del soffitto, che compongono il suo mondo, e ora, lo opprimono. La lampadina illumina il ragno che le è accanto, discendo verso il luogo dell’approvvigionamento, della scorta di futuro, che si svelava dopo aver acceso le piccole luci cimiteriali sui barattoli e le bottiglie di vino in penombra. Come fai a vivere senza cantina? domandava mio padre. Una serie di porte, alluminio leggero, silenzio, nemmeno il gocciolio di un tubo, lo scatto di piccoli topi. Provo la chiave in tutti i lucchetti, fino a quando una porta si apre.

E si apre sull’incantevole riviera romagnola, si apre sulle immagini selezionate dall’ottima fotografa Sabrina Ragucci, si apre sul movimento lento e precisissimo della scrittura di Giorgio Falco, che in questo libro delicato, Condominio Oltremare, che L’orma editore ha pubblicato il 18 settembre nella collana fuoriformato diretta da Andrea Cortellessa, arriva a pungere corde assai intime, enigmatiche e molto, molto acute.

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Ancora, fortissimo, emerge il sentimento di impostura, la percezione di ritrovarsi ad essere fuori posto, fuori tempo massimo, lo sforzo teso a riconsiderare se stessi come un’entità troppo poco naturale, circondata selvaggiamente, barbaricamente quasi, da un universo (concettuale o meno) invece troppo naturalizzato, appiattito, disconnesso.
Il disagio supremo di riscoprirsi completamente da soli, il terrore antico di non riuscire a maturare uno scambio proficuo coi propri simili, (perché dei simili potranno mai esistere? Così come potrà mai esistere una zona realmente franca?) percorrono interamente il condominio fantasmatico, amniotico, cimiteriale, che è questo nostro Oltremare, che serba in nuce tutto il desiderio d’evasione di chi lo vuole raccontare, e che cela già nel nome il suo altrove più vagheggiato.
Poi invece, inaspettatamente, lo sguardo-finestra si spalanca a picco su una luminosità d’avorio, che a tratti sembra posticcia, a tratti si mescola nei sogni più cupi, a volte sa dispiegarsi vivida nella quotidianità di una piscina reale, altre volte riesce solo a camuffarsi in un mare disegnato, emaciato, preimpostato e come lasciato lì, a girare a vuoto, tra gli ingranaggi inceppati di una stanca macchina da presa.
Le immagini e le parole prendono linfa vitale in uno strettissimo rapporto di interdipendenza, non didascalica ma piuttosto analitica, consustanziale, amalgamando il discorso ultimo dietro una trincea geometrica che sembra, invero, non possedere confini.

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La finestra, appunto, quella finestra che vediamo in copertina, protegge e allontana, conchiude e disvela, ed è sì una serratura forzata sul mare, è un raggomitolarsi viscerale sulle prospettive più ombelicali, ma al contempo è l’arma da taglio potentissima, è il divisorio netto da attraversare, la berlina da cui e con cui farsi scudo nel mondo, il disarmo di un innato desiderio di alterità.
Questo sentimento di libertà estrema, che è, come spesso accade, paura e desiderio insieme, bisogno e indolenza, proiezione dentro e fuori da sé, mi sembra oltretutto una costante fondamentale della scrittura di Giorgio Falco, come pure è costante, e abbiamo ancora fresca nella memoria La gemella H, recente finalista al Premio Campiello, la commistione necessaria fra presente e passato, la ricerca mai conclusa di quelle radici che sono sì, dei puri radicamenti personali, ma che si esplicano più sinceramente nella rilettura dei ricordi e delle ferite ancora aperte di un intero paese, di un’intera generazione.
Ripercorrendo quindi le tappe di un passato in continuo defluire, assistiamo alla paralisi (epperò strenuamente vitale) del protagonista, annoiato e confuso dalla troppo ingombrante vita cittadina milanese, in cerca di una plausibile via di salvezza, in fuga da tutto ciò che sa, o che crede di sapere, o meglio che crede di aver sempre saputo, ritrovandosi poi al dunque attonito, al cospetto di un paesaggio lucidamente mistico.
Assistiamo quindi allo straniamento più che consapevole di un protagonista che decide di provare a perdersi, con echi di notissima memoria, nel bel mezzo di una selva perniciosa, volontariamente intrappolato in un Condominio della mente che è puro e profondissimo abisso.

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Non c’è Ripellino, con l’astuzia ingenua della sua Praga magica, e non c’è Ghirri, coi suoi scatti lungimiranti e salubri, rubati alle spiagge deserte di Rimini. Sguardo e atmosfere sono del tutto allucinate, distorte da una patina di evidentissima”normalità”, popolate da una macroscopica quantità di spunti quotidiani che un andamento troppo avvezzo al vivere quotidiano non sembra più in grado di percepire sul serio.
La bravura risiede tutta, appunto, nello spalancare chiudendo, nel mostrarsi celandosi quasi completamente, nel perfetto gioco di equilibrio degli ossimori. Perché ciò che davvero conta, in questo libro, è l’esperienza visiva, è l’atto del guardare, del saper riconoscere le cose, di riuscire a infilare la giusta chiave nella toppa, di riuscire a chiamare padre un padre, a comprendere le ragioni di una famiglia per quanto realmente possano valere; ciò che si vuole, veramente, è provare a riconoscere un tempo storico per la sua stessa storia, e quindi imparare a prendere misura e coscienza di questa prospettiva sempre ellittica, chirurgica, sentimentale, che è la vita.

J’amerais qu’il existe des lieux stables, immobiles, intangibles,
intouchés et presque intouchables, immuables, enracinés;
des lieux qui seraient des références, des points de départ, des sources.
Georges Perec

Condominio Oltremare– Video.

[Slide show delle fotografie e un intervento-presentazione del libro
dal titolo: Italian East Co(a)st
Sabato 27 settembre 2014, ore 11
Venezia, Corderie dell’Arsenale, palco E]

 

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4 Commenti

  1. […] «La bravura risiede tutta, appunto, nello spalancare chiudendo, nel mostrarsi celandosi quasi completamente, nel perfetto gioco di equilibrio degli ossimori. Perché ciò che davvero conta, in questo libro, è l’esperienza visiva, è l’atto del guardare, del saper riconoscere le cose, di riuscire a infilare la giusta chiave nella toppa, di riuscire a chiamare padre un padre, a comprendere le ragioni di una famiglia per quanto realmente possano valere; ciò che si vuole, veramente, è provare a riconoscere un tempo storico per la sua stessa storia, e quindi imparare a prendere misura e coscienza di questa prospettiva sempre ellittica, chirurgica, sentimentale, che è la vita.» [Francesca Fiorletta, Nazione Indiana] […]

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