Miti Moderni/3: catturare l’attenzione

Henri Cartier-Bresson, “Gestapo Informer”, Dessau, Germany, April 1945

di: Francesca Fiorletta

L’attenzione non si cattura, non si suscita, non si solletica, l’attenzione è un concetto innaturale, transitorio, pieghevole, un organismo fluido, un lento dipanar, l’attenzione, non si solidifica, non si incancrenisce, non salta di palo in frasca, non si abbevera alla fonte, non segue necessariamente un percorso espositivo, l’attenzione, non è di preferenza un’attitudine oppositiva, l’attenzione, tanto spesso, non c’è.

L’attenzione al suolo pubblico, al tessuto urbano, l’attenzione alla raccolta differenziata, agli odori della plastica bagnata dalla pioggia, dai residuati bellici del cibo in scatola, precotto, la plastica delle televendite della terza ora del pomeriggio, quando l’allerta volge alla quarta, e poi alla quinta, ora, della tua attenzione non importa niente a nessuno, di quell’attenzione che vaga s’inalbera, s’incunea sotto i cuscini piumati del divano, e palmata sparisce di polvere, all’ora del tè. 

L’attenzione pubblica e quella privata, l’attenzione biodegradabile per la moda dei costumi da piscina, per le sedute collettive spiritiche, per quei croissant emaciati e fetenti, impastati d’ocarina, di farina di farro e carcadè, l’attenzione per i massaggi dall’erborista, per le dentiere del gommista, mentre saluti quel tuo amico nuovo che ha già fatto il biglietto, che ti racconta che adesso parte, e poi invece non parte più, che prima si ammala, e poi muore per sempre.

L’attenzione che devi fare, alle scelte sbagliate, e quelle che ti cambiano la vita, quando la vita non si muove mai, non prende una posizione, rimane attaccata agli stracci ruvidi del silenzio, e tu non esci più di casa da sei mesi, sarà un anno, non ti ricordi neanche più com’è fatta una strada, un portone, un citofono epilettico, ma ti consigliano ugualmente di fare molta attenzione, noi sì che ti vogliamo bene, l’attenzione a tutto, a stare in piedi e a sederti, a quello che bevi e che dormi, se vai a letto presto, svegliati all’alba, ma fai attenzione a muoverti, a fare qualcosa anche solo per il gusto di farlo, che poi te ne penti.

E fai attenzione a quanto scrivi e a quanto leggi, e a quando ti pesi sei volte al giorno, e a quando piangi dietro il rubinetto del lavandino, e tieni occupata la toilette dei grandi magazzini, e non ti dimenticare di prestare molta attenzione agli sconti, ai saldi, alle super offerte, gran regalo, che quasi sempre sono truffe, sono zuffe tra poveri, i parolieri inconcludenti, il vecchio marketing aziendale, e del resto chi ci va più, ai saldi dei grandi magazzini, tu stai sempre in casa, saranno due anni che non metti il naso fuori dalle pareti ottuse della finestra, i vetri rotti, lo spray anti zanzare, quanti anni sono, che non lanci una moneta nel cappello, che non obliteri un lasciapassare, che non indaghi le forme e le resistenze di quella vecchia lanterna a gas, che non ti lasci apostrofare dai lucernari di un pub, e perciò allora, proprio per questo: fai attenzione.

L’attenzione si misura in decibel, in “do you like me?”, “yes I can”, in ipotassi da bazar, al mercatino delle pulci, nei trafiletti pubblicitari del detrito elettorale, l’attenzione si riserva una tregua, nella pausa caffè, negli interstizi subliminali lasciati aperti da quel gioco da tavolo che sa tanto di passato, la piuma d’oca, il piumino per l’inverno, le coperte della nonna, e prendi le matite da disegno, gli inquilini orizzontali, unisci le cattedrali con lo zoo, la melodia cantante dei campanili al tramonto, il trillo del messaggio che non hai ancora letto, l’allarme che riparte ogni dieci minuti: fai attenzione, devi leggere tutti i messaggi.

Devi leggere tutti i libri del mese, più di cento a settimana, guardare tutti i film in uscita, e poi andare a teatro, le rassegne, catalogare le multe e le bollette, passare in fila gli scontrini, i documentari sulle battaglie in parlamento, ai salotti in tv, su quel caso della ragazzina scomparsa nell’ ’86, che forse sono stati i Servizi Segreti, forse un volgare picciotto, la consecutio temporum non è farina del tuo sacco, avevi appena un anno e la stessa voglia di gridare che hai adesso, solamente non sapevi camminare, ancora, ma uscivi già molto più spesso di casa, ti portava sulle spalle papà.

Avevi paura della banda di paese, degli omogeneizzati al prosciutto cotto e degli uomini coi baffi, ti dicevano che avresti dovuto fare più attenzione, molta attenzione, alle formiche che correvano in giardino, ai termosifoni troppo caldi la sera, a non andare a dormire con le cuffiette nelle orecchie, e poi, crescendo, attenzione agli stupri di gruppo, alla droga leggera venduta nei bar, agli infarti pesanti del gioco d’azzardo, ma l’attenzione non la governi, non la imponi sulla pelle, non ti si imprime nella mente, non è un concetto oppositivo, non è un’elencazione di maniera, non è avida di futuro, non si accontenta del sapere, l’attenzione, anzi, quanto più spesso, la eviti.

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14 Commenti

  1. insomma è l’attenzione che cattura noi. Che ci intrappola, che ci tiene in ostaggio. Bel pezzo. E’ una sequenza che rivela molte giuste osservazioni, segno (dunque) sei molto attenta – e (dunque) sei in trappola. E se lo nota (dunque) anche chi legge.
    Non se ne esce.
    Miti moderni: da Sisifo al Criceto. :-)

    • “Cancella spesso, se vuoi scrivere qualcosa che meriti di essere riletto, e non preoccuparti dell’ammirazione della folla ma accontentati di pochi lettori.”?
      grazie mille, diamonds, che bella cosa.
      Non so se potrà valere o meno (anche) per questi miei piccoli Miti Moderni, ma per il resto è tutto vero, senz’alto. :)
      (e adesso m’ascolto l’yddish!)
      grazie ancora

  2. Che bello questo pezzo, Francesca. Da leggere con attenzione – o dimenticandosi che è necessario averla. A volte, necessario disimpararla.

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