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Il discount delle sirene

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Ma a quante cose servono le Sirene?
Appunti per giornalisti (e per i loro direttori)

di Gigi Spina

Sono più di dieci anni che mi occupo di Sirene e non riesco a smettere, e non so perché. “E ci mancherebbe”, mi obietterete, “il loro fascino è proprio questo: attirarti, prenderti e non mollarti più, fino alla consunzione”. Messa così, non fa una piega ma, visto che l’esperto sono io, mi permetterete, anonimi obiettori, di condurre il gioco.
E quindi partirò da una domanda, come si dice facesse l’imperatore Tiberio (14-37 d.C.) quando chiedeva ai professori del tempo: “Che cosa cantavano di solito le Sirene?”. La mia domanda sarà un’altra, quella del titolo: a quante cose servono le Sirene? Per la risposta, però, lasciamo da parte il mito e l’antichità classica, meglio non rischiare, visto che si è appena celebrato a Torino, il 14 novembre, un processo al liceo classico, in cui pare che i migliori accusatori siano stati proprio i difensori (un po’ come quando segna un terzino).

Veniamo all’oggi, invece: ai giornali (e ai loro direttori).
Non c’è giorno che sui quotidiani non si parli di una Sirena (Sirene) ‘di’ qualcosa o qualcuno. Gli esempi non si contano, ormai, ne ha raccolto un certo numero Innocenzo Mazzini, a p. 70 di un interessante volumetto intitolato La mitologia che parliamo. Personaggi ed episodi mitologici dell’italiano contemporaneo, Macerata 2014. Non voglio però elencarli, ma analizzarne la struttura e la funzione.
In genere si dà la qualifica di Sirena a un qualche elemento o personaggio che sembra promettere qualcosa di positivo, tale da attirare e convincere della sua bontà, ma che invece va tenuto lontano, va evitato, perché da quella illusoria bontà nascerà sicuramente un pericolo, un danno esiziale. Per questo, i giornalisti si danno da fare per individuare, nelle diverse situazioni politiche, nazionali e internazionali, chi fa da Sirena e chi da incauto marinaio, al quale si consiglia di non cedere a quella Sirena particolare (oppure si denunzia il fatto che ha già ceduto). Le Sirene così definite attraversano tutti gli schieramenti politici, sociali, economici, senza differenza di genere, di etnia, di religione: insomma, sono figure assolutamente prive di ideologia e di connotazione fisse; le assumono solo quando un giornalista costruisce la scena su cui disegna una Sirena e un incauto marinaio: di lì comincia la sfida.

Ora, quando si maneggiano i miti, bisogna fare un po’ di attenzione, perché i miti sono sempre più complicati di quello a cui vengono ridotti. Faccio un solo esempio: il re Mida, mitico/storico re di Frigia. Quante volte, anche sui giornali, ma non solo, avrete sentito dire di uno che è un re Mida, nel senso che trasforma in oro tutto quello che tocca. L’impressione che se ne ha è che si parli sempre (magari con un po’ di invidia) di qualcuno molto bravo, anche spregiudicato, affarista nato, che sa intraprendere bene. Perfetto. E però la storia di Mida non è così lineare: intanto ce ne sono due, di storie legate a Mida. Una riguarda un giudizio non richiesto, quando Mida volle indicare come vincitore di una gara di canto fra Apollo e Pan quest’ultimo e non il dio. Il quale subito gli fece spuntare delle orecchie d’asino. Ora, è vero che nel nostro immaginario Pinocchio assorbe tutte le possibili orecchie d’asino della narrativa; ed è anche vero che dire a un giurato del festival di Sanremo o di una qualsiasi gara canora che ha giudicato come un re Mida costituirebbe un messaggio difficile da capire; ma anche la faccenda del tocco d’oro, cioè della richiesta che Mida fece a un dio di ricevere questo dono, non si ferma qui. Noi usiamo, in realtà, solo la prima metà del racconto, forse perché le conseguenze del tocco d’oro ci spaventano. Mida non riuscì più a mangiare e a bere, perché qualsiasi cosa toccasse si trasformava in oro, perfino una figlia, che fu aggiunta al mito da un narratore dell’Ottocento, Nathaniel Hawthorne. Per questo, lo ‘sfortunato’ re chiese al dio di perdere quello che gli era sembrato un potere perfetto. Complicazioni del mito, certo, ma da tenere presenti quando le si vuole usare nella comunicazione quotidiana.

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E allora torniamo alle Sirene. Come molti ricorderanno, per superare l’ostacolo delle Sirene, ma senza ignorarlo del tutto, Ulisse è costretto a ricorrere a un doppio stratagemma, rivelatogli da Circe, la maga che avrebbe voluto trattenerlo presso di sé (anche lei, come le Sirene). I marinai avrebbero visto l’isola delle Sirene, ma non udito il loro canto, perché Ulisse avrebbe ricoperto le loro orecchie di cera; Ulisse avrebbe udito, ma non avrebbe potuto muoversi, perché i marinai lo avrebbero preventivamente legato all’albero della nave. Non è, dunque, così facile rifiutare il fascino delle Sirene, che in fin dei conti promettono cose credibili e davvero allettanti: la conoscenza, secondo Omero, come giustamente notava Cicerone, oppure il sesso, secondo l’interpretazione cristiana – sempre la stessa ossessione! Bisogna avere le contromisure giuste, o i consiglieri giusti per sconfiggere il loro fascino, che sembra partire da promesse realistiche.

Quello che mi sentirei di consigliare ai giornalisti (e ai loro direttori) è, dunque, una maggiore articolazione nell’uso delle Sirene, un uso che le faccia comunque servire ad approfondire l’oggetto del loro fascino e delle loro promesse e i mezzi plausibili con cui evitarle. Servirà a tutti, a quelli che vogliono ignorarle e a quelli che, incuranti del pericolo, vorranno andare fino in fondo nella loro conoscenza.
E per fare questo, mi permetto di indicare due testi e due scrittori che, pur a distanza di qualche secolo, avevano individuato una funzione originale per le Sirene. Il primo, purtroppo, è solo un titolo (l’autore è anonimo), il Liber monstrorum, il libro delle mostruosità, dell’extra-umano, potremmo dire. Risale all’VIII/IX secolo ed è il primo testo che, nel descrivere le Sirene, le definisca donne fino all’ombelico e pesci nella parte inferiore, mentre fino ad allora, almeno a nostra conoscenza – e volendo essere sintetici – le Sirene erano state descritte e raffigurate come donne con ali e corpo d’uccello. La configurazione di donna-pesce è quella più riconoscibile e familiare, almeno dopo la favola di Andersen e la trasposizione cinematografica nel cartone animato disneyano. Ebbene, questa configurazione sembra cominciare col Liber monstrorum e c’è chi studia ancora questo problema per capirne tutti gli aspetti. Ora, nel prologo di questa enciclopedia delle mostruosità, l’autore sfrutta la forma ibrida della Sirena (che descriverà nella sesta sezione) per definire il carattere stesso della sua opera e della sua narrazione, quasi la stessa struttura del suo liber. Sa che alcuni dei suoi racconti potranno risultare incredibili e falsi; per questo, dice, inizierà dai racconti credibili, che rappresentano la parte superiore, la testa del suo volume (sto parafrasando), prima di addentrarsi nei meandri della parte seguente, quella più oscura, che, come la parte inferiore del corpo di una Sirena, è costituita da zone ispide e piene di squame.

La Sirena, per l’anonimo del Liber, non è, dunque, solo uno dei monstra che descriverà, è la forma che assume un’indagine, un reportage sulla realtà complessa fatta di parti umane e parti mostruose, si comincia dalla superficie, dalla zona umana, per scendere fino negli abissi della vita che ci circonda.
Tre secoli più tardi, all’incirca, Eustazio, arcivescovo di Tessalonica (1115-1195/97), raffinato intellettuale e retore, lavorava a un monumentale commento erudito dei poemi omerici. Anche Eustazio non si accontentava di spiegare minuziosamente i versi del XII libro dell’Odissea nel quale appaiono le Sirene, ma faceva di quelle creature dal misterioso fascino una metafora della sua impresa letteraria. In premessa al commento dell’Iliade, infatti, scriveva così: “Dalle Sirene di Omero sarebbe forse bene star lontani proprio dall’inizio, o ungendosi le orecchie di cera o scegliendo un’altra direzione per sfuggirne l’incantesimo. Se, invece, non si riesce a star lontani, anzi si vuole attraversare quel canto, allora penso che non ci si possa allontanare facilmente, neppure se protetti da molti legami, e d’altra parte, se anche si riuscisse ad allontanarsi, non sarebbe poi così piacevole”.

Il fascino di Omero è come quello delle sue Sirene, accostarsi alla sua opera rappresenta un pericolo, quello di non potersene staccare più. Non serviranno allora cera o corde: anzi, ed è l’affermazione più forte di Eustazio, allontanarsene non sarà motivo di gioia.
Ecco, dunque, la sostanza del mio consiglio. In ogni Sirena ‘di’, della quale a cuor leggero parlano i giornalisti, si cela un problema, una prospettiva reale, i cui pericoli devono essere attentamente vagliati, anche perché non sappiamo se per caso non ci vengano prospettati da chi (come Circe) magari vuole ingannarci al posto delle Sirene. È una sfida, insomma, in cui contano volontà, esperienza, chiarezza di idee e determinazione nell’affrontare i pericoli. I giornalisti, e i loro direttori, farebbero bene a informarci meglio, con cognizione di causa, sulle prospettive e sulle eventuali conseguenze dannose – questo, mi sembra, dovrebbe essere ancora l’essenza del loro mestiere –, dandoci tutti gli elementi per una scelta, che sarà sempre personale, affidata alla nostra responsabilità.

E a proposito di giornalisti, ricordate il mio inizio, con gli anonimi obiettori (“E ci mancherebbe”, mi obietterete …)? Verso la fine di ottobre, sul Corriere della Sera, un giornalista provava ad analizzare il modo di comunicare di Matteo Renzi, che usa spesso l’obiettore anonimo nei suoi discorsi. Solo che questa tecnica retorica non si può definire parlare di sé in terza persona (o autopassaggio, neoconio del giornalista). Il parlare di sé in terza persona si avrebbe se Renzi dicesse: “Il Presidente del Consiglio pensa” ecc. Quando, invece, ci si immagina e si introduce nel proprio discorso un interlocutore fittizio che fa delle obiezioni, tipo: “Matteo, come tu l’hai presa larga quest’anno” o cose del genere, allora si tratta di una figura retorica: la sermocinatio, troppo difficile, o il dialogismo, un po’ più facile; poi, a voler proprio essere precisi, anche parlare di sé in terza persona è una figura retorica: l’enallage, una figura di sostituzione (non sono più io a parlare ma è un anonimo obiettore, io gli presto la voce).
Insomma, direttori di giornale e giornalisti hanno un gran lavoro da fare, e non solo sulle Sirene, se vogliono informare come meritiamo.

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2 Commenti

  1. buongiorno .volevo comunicare che noi della ditta laboratorio olfattivo abbiamo creato la linea di essenze dedicato alle sirene del mediterraneo e ne prendono il nome,poi abbiamo creato le essenze ulisse,penelope,circe dando un valore aggiuntivo al nostro territorio,e l’essenza alla rosa di paestum ,ogni essenza è accompagnata dalla sua storia.leggendo il suo articolo mi è piaciuto moltissimo.

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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