La strega espiatoria

#BadMommyDay1

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di Helena Janeczek

“Senza pietà” anzi di “indole malvagia” è la donna sospettata di aver strangolato il figlio che, davanti al giudice, “tace perché è colpevole”. Questi stralci riportati da tutti i telegiornali e giornali con grande risonanza, sono tratti dall’Ordinanza di Custodia Cautelare che, secondo regole mai rispettate in Italia, non dovrebbe diventare di dominio pubblico. L’amplificazione mediatica ha invece sancito la trasformazione di un’indagine aperta in un processo inquisitorio.
Sin dai tempi di quell’altra madre infanticida con la casa di Cogne ricostruita dal plastico esibito da Bruno Vespa, ci siamo abituati al dilagare dell’infotainment che spolpa i casi più eclatanti di cronaca nera. Ma allora il paese era diviso tra colpevolisti e innocentisti, come è sempre accaduto con i delitti misteriosi che sollecitano la curiosità dell’opinione pubblica.
Qui, invece, la condanna preventiva è unanime.
Si esprime riconoscendosi in parole che, passate dalle carte giudiziarie ai notiziari, riverberano un retaggio risalente ai tempi delle streghe e degli inquisitori. Femmine di indole malvagia, capaci d’ogni efferatezza, incluso il gesto abominevole dell’infanticidio. Tra la strega e l’infanticida c’è sempre stato un legame stretto. La strega – inutile dirlo – è colpevole fino a prova contraria. Ma la prova contraria è nelle mani della Divina Provvidenza e non degli uomini.
La piena di quell’immaginario ancestrale rigetta ai margini tutti gli elementi contrapposti. Il fatto che Veronica Panarello è molto giovane, di estrazione sociale bassa, cresciuta in un famiglia problematica e confinata in un paese siciliano, ma soprattutto le evidenze di seri disturbi psichici di cui è costellata la sua storia, non costituiscono appigli capaci di riavvicinare la visione predominante a parametri di giustizia meno arcaici. Cancellata ogni domanda su chi compie un crimine e che cosa lo spinge a compierlo, persino la più antica Unde malum?
Una donna che strangola il proprio figlio in età scolastica senza confessare il delitto non può che essere il male incarnato. Cercare di contestualizzarlo, analizzarlo, capire come sia potuto accadere (se è accaduto nei termini di cui parla l’accusa) e persino riflettere come si sarebbe potuto evitarlo, equivale a una giustificazione inaccettabile. Non si può fare altro che esorcizzare, espellere, esporre la colpevole a accensioni di violenza verbale come sostituto di un rogo purificatore. Il sostrato che ne emerge non è solo maschilista, ma misogino. È paura scaricata in odio e aggressività, paura che trova il suo oggetto paranoico in un potere femminile che, celato dietro il sembiante della madre, mostra un volto maligno e mortale.
L’obiezione prevedibile è che, non credendo più alle streghe, nessuno ha intenzione di rappresentare una donna come tale. I media agiscono per fare audience dando alla gente ciò che vuole: qui erano sulle tracce di un mostro pedofilo, si sono trovati la madre-mostro e ci sono andati a nozze. Ma il linguaggio parla e agisce sempre aldilà delle intenzioni razionali (anche di quelle ciniche), e qui quegli stereotipi medievali sono palesi come non era mai accaduto prima. Cosa che, tra l’altro, rivela con particolare evidenza come l’amplificazione dell’orrore costituisca a sua volta una forma di violenza di cui nessuno si fa carico. In questo caso ne sono investiti, oltre alla colpevole presunta, un numero imprecisabile di innocenti per definizione: non solo i compagni del povero Loris, i cui incubi notturni sono stati naturalmente dati in pasto ai media, ma tutti i bambini che da un telegiornale vengono a sapere che esistono mamme che uccidono i figli sospinte da un’indole malvagia.
Non c’è dubbio che l’infanticidio tocchi le corde più profonde e venga percepito come un crimine contro la nostra specie e come una frattura metafisica. Un bambino che muore per mano di chi l’ha messo al mondo è un mondo che muore. Esiste però da sempre: ha cause concrete – economiche, sociali, culturali, psicologiche – e affonda le radici nell’ambivalenza del materno. L’odio in conflitto con l’amore, la cura con la distruttività, il bene con il male. Quasi sempre, ossia in misura infinitamente superiore a quel che avviene per altre specie animali, prevale la “madre buona”. Quasi mai accadono fatti come quelli che la pubblica accusa sta attribuendo a Veronica Panarello.
In un periodo in cui non passa giorno senza che un uomo ammazzi una donna, un figlio o se stesso, la madre feroce infanticida vale “uomo morde cane” mentre quegli atti estremi somigliano sempre di più alla normalità del cane che morde l’uomo. Ma proprio in tale aumento epidemico si manifesta il sintomo di una “malattia sociale” che travalica la dimensione singola, e su questo fenomeno e le sue cause (che non sono un’originaria “malvagità” o innata violenza del uomo) ci sarebbe da interrogarsi. La scena invece è riempita da un caso assolutamente eccezionale che con il nostro vivere comune c’entra pochissimo. Perché?
La diffusione sensazionalistica dei fatti di cronaca è diventata arma – politica – di distrazione di massa in epoca berlusconiana. Per assolvere a questa funzione il caso prescelto deve essere lontano a quanto avvertiamo possa toccarci da vicino. Veronica Panarello è perfetta perché consente di raffigurarla come radicalmente altra: un’aliena o “alienata”, secondo l’espressione usata da sua madre. Solo che oggi gli spettatori non sembrano più principalmente distrarsi, come accadde nel 2002 con il caso Franzoni, quando l’Italia non era ancora un paese marcio e moribondo. La violenta passione che suscita la mamma di Loris appare quasi lo specchio simbolico di una regressione in cui rabbie e paure collettive, in mancanza di altri sbocchi, finiscono sempre più spesso per sfogarsi sui più deboli o disgraziati: profughi, rom, donne, ragazzi grassi o froci, poveri, vecchi, disadattati. Lei è povera, donna, terrona, “alienata” e per giunta, grazie al suo gesto efferato, anche sicuramente “di indole malvagia”. Cosa c’è di meglio che poter proiettare tutto il male addosso a una strega espiatoria?

Con questo articolo, apriamo una riflessione sui lati oscuri del materno che verrà approfondita da un estratto del saggio storico-antropologico di Francesca Matteoni sul “famiglio” delle streghe nell’Inghilterra moderna, e da uno da “Rogo” di Giacomo Sartori, romanzo dedicato al tema dell’infanticidio. hj

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89 Commenti

  1. “In un periodo in cui non passa giorno senza che un uomo ammazzi una donna, un figlio o se stesso, la madre feroce infanticida vale “uomo morde cane” mentre quegli atti estremi somigliano sempre di più alla normalità del cane che morde l’uomo. Ma proprio in tale aumento epidemico si manifesta il sintomo di una “malattia sociale” che travalica la dimensione singola, e su questo fenomeno e le sue cause (che non sono un’originaria “malvagità” o innata violenza del uomo) ci sarebbe da interrogarsi. La scena invece è riempita da un caso assolutamente eccezionale che con il nostro vivere comune c’entra pochissimo. Perché?”

    Però ecco, di quale aumento epidemico si sta parlando? Come è possibile scrivere un articolo che parte dalla critica del linguaggio per usare a un certo punto il termine “epidemico” per descrivere una situazione che di epidemico non ha nulla?

    Poi vorrei capire che riflessione si vuole fare sul materno e sui suoi lati, che di oscuro non hanno proprio nulla. nelle società tribali ogni tanto si ammazzano i bambini di troppo, però non è che ci imbastiscono sopra chissà quale discorso. Così come qualche animale si ciba dei propri venuti male.

  2. “Aumento epidemico” qui vale “esponenziale”: se l’uso molto standard della metafora ti turba, puoi sostituirlo. Sul fatto che corrisponda a un dato reale esistono dei rilievi statistici. http://www.repubblica.it/cronaca/2014/11/19/news/femminicidio_2013_anno_nero_ogni_due_giorni_morta_una_donna-100931548/
    Per la questione, in realtà, nuova e preoccupante, dell’aumento del figlicidio posso rimandarti a Iaia Caputo, “Il Silenzio degli Uomini”, Feltrinelli, libro che a sua volta dialoga con il saggio “Il gesto di Ettore” dello psicoanalista junghiano Luigi Zoia.
    Del lato oscuro o ambivalente del femminile e del materno, si sono occupati storici, antropologi, sociologi, psicoanalisti, e questo da almeno un secolo.

    • Helena, esponenziale è peggio, non c’è nessun aumento che possa essere ricondotto a una qualche specifica causa. gli omicidi in generale sono in calo in tutto l’occidente da decenni, i suicidi pure. i tassi dei femminicidi sono stabili e il tasso italiano è fra i più bassi d’europa.

      Nello specifico il rapporto che citi è pure sbagliato, perché dentro ci sono vittime che non andrebbero conteggiate come femminicidi. questo è ot e pure spiacevole, ma questo è.

      Mi turba proprio l’uso in sé della metafora, non capisco perché usare le metafore quando ci sono le parole per nominare le cose. tutta questa attenzione ai fatti di cronaca è semplicemente assurda, stiamo vivendo nell’epoca più pacifica e meno violenta della storia, così come nella più salutare (e guardacaso mai siamo stati così preoccupati della nostra salute, al punto da medicalizzare cose che non andrebbero medicalizzate).

      Per quanto riguarda il lato oscuro il fatto che se ne occupino da un secole un sacco di persone, come Zoia, che ha scritto un libro pieno di inesattezze sulle quali fonda la sua teoria scriteriata e continua a diffondere scemenze, bisogna vedere come se ne occupano. la psicoanalisi ha fatto più danni che altro, poi non lamentiamoci dei discorsi comuni.

      Già parlare di materno come fosse un’entità è una sciocchezza, attribuirgli lati oscuri cosa dovrebbe significare? le persone fanno varie cose, tra cui impazzire, fare del male eccetera. cosa c’è di oscuro? solo perché qualcuno si è inventato definizioni strampalate di materno o di femminile.

      Questi sono i miei rilievi al libro di Zoja. nelle parentesi quadre i concetti di zoja, il quale usa nella prima parte del suo libro come base la biologia evoluzionista senza averla capita.

      [Continuità naturale del femminile].

      Non si capisce perché il maschile invece sarebbe discontinuo. L’elemento materno non si sviluppa a partire dai mammiferi, come l’esempio che Zoja steso fa degli uccelli dovrebbe fargli capire.

      [la natura ha predisposto nel maschio solo la capacità di fecondare la femmina, non quella di accudire e proteggere la prole]

      Completamente sbagliato. Le cure paterne variano in intensità da specie a specie. Basta leggersi un qualsiasi libro divulgativo in materia. Consiglio quelli di Jared Diamond. Ma la cosa curiosa è che Zoja stesso nel suo libro Il gesto di Ettore cita libri nei quali avrebbe trovato la smentita a ciò che dice.
      Non si capisce poi in che modo si possa inferire dalla radice di una parola la conferma di una qualsiasi condizione naturale.
      Il fatto che ci sono delle eccezioni monogamiche nei mammiferi e nelle scimmie antropomorfe dovrebbe suggerire che la sua idea di sviluppo monogamico culturale non ha senso. Così come l’idea che solo il maschio più forte e più grosso ha successo riproduttivo, senza contare che i rapporti fra le dimensioni maschili e femminili non sono sempre in favore dei primi.
      Dal momento che la struttura monogamica è presente in varie specie, parlare di salto per passare a l’uomo è sbagliato. Il ruolo paterno non è dunque comparso con l’uomo e non è un tratto culturale.
      cito da “perché il sesso è divertente?” di jared diamond:
      “nella minoranza di mammiferi maschi adulti che prodigano cure paterne ai piccoli si contano i poliginici zebra e gorilla ( che possiedono harem di femmine ), il gibbone (che forma una coppia solitaria con la femmina) e il tamarino ( piccola scimmia la cui femmina adulta poliandrica dispone di un harem di due maschi ). I maschi di alcune specie di pesci, come l’ippocampo e lo spinarello, e i maschi di alcuni anfibi, accudiscono le uova nel nido o prendendole nella bocca, in una sacca o sul dorso. ”
      “L’anatomia, la fisiologia e gli istinti alla base delle cure parentali sono programmati geneticamente dalla selezione naturale. Collettivamente, essi fanno parte di ciò che i biologi chiamano “strategia riproduttiva”. la selezione naturale può essere una lotta anche fra genitori e figli oppure fra i membri di una coppia, perché gli interessi dei genitori possono non coincidere con quelli dei figli e gli interessi del padre con quelli della madre. Questi risultati così diversi ( ovvero se le cure sono prevalentemente o esclusivamente o egualmente materne o paterne ) dipendono da tre ordini di fattori fra loro correlati, le cui differenze tra i sessi variano da specie a specie: investimento nell’embrione o nell’uovo già fecondato; possibilità alternative che verrebbero precluse dalla prestazione di ulteriori cure parentali; certezza della paternità o della maternità riguardo all’embrione o all’uovo.”

      • Non ho idea se l’intervento di Tiziana, con i suoi richiami a studi entologici, contenga qualche elemento che possa interessarti.
        Perché se non vado errata, per te è fuffa l’intera psicologia moderna (e anche la psichiatria), litigiosa su tutto ma concorde nelle sue svariate scuole e diramazioni, a pensare che “una madre sufficientemente buona” (Winnicot)non sia un’esito così scontato.
        Il che mi fa un po’ l’effetto di parlare con qualcuno ancora convinto che il sole ruota intorno alla terra.

        • Helena, io ho un modo stronzo di intervenire, però scrivo chiaro, e non ho scritto che la psicologia moderna sia tutta fuffa. Sto leggendo Jervis, per dire. Ho preso nota del libro di Iaia Caputo (en passant pure quello di Costanza; tanto per smentire la Caputo, gli uomini parlano e leggono pure; la smettiamo di generalizzare?), che leggerò. L’intervento di Tiziana lo leggo, ma volendo ci sono delle cose che proprio non mi tornano (si può dire che siano le donne a essere quelle più civilizzate nel senso freudiano? ma siete sicure che il senso freudiano del disagio della civiltà sia valido?; poi: non si può liquidare l’arcaico con due secoli di civiltà? ma che è l’arcaico, un tratto genetico? io chiedo un minimo di aderenza fra le intuizioni e la realtà. La realtà è che le madri che uccidono i figli non hanno nulla di speciale, sono lo 0,000… che ogni tanto ammazzano degli esserini straccia-cazzi-ovaie. I padri uccidono i figli per colpire la madre, così come i maschi leoni o altri primati ammazzano i figli delle femmine in modo che poi queste si accoppiano con loro. Alla base ci sono le motivazioni. Alla base del patriarcato c’è l’evoluzione. Ne scrive l’antropologa barbara Smuts
          http://isites.harvard.edu/fs/docs/icb.topic1001965.files/Course%20Materials_Week%205/Evolution%20of%20Patriarchy%20Smuts%201995.pdf
          . Io capisco la costruzione del mondo simbolico in certe latitudini, in Italia la capisco di meno), ma non è un problema. Io ho avanzato una critica specifica nel merito del linguaggio. Proprio mentre contesti i mass media usi dei termini che mi paiono inappropriati, eppure sei una valente scrittrice.

          Poi, tu mi hai citato un autore, psicanalista. Uno che basa una teoria su un dato sbagliato, il paterno come tratto culturale e il materno come dato biologico. Sbagliato punto, non sbagliato così così. Uno che è capace nel suo libro di citare Konrad Lorenz a proposito del fatto che l’infanticidio era un comportamento solo umano, quando nella bibliografia sono presenti gli studi di Goodall sui primati che lo smentiscono. Non si è manco letto i libri che cita.

          • Come vedi sotto non sono una fan acritica di Zoia, e condivido le tue riserve.
            Il leone che ammazza il maschio piccolo non lo fa per punire la leonessa o per vendicarsi. E’ qui, dove occorre avere memoria, che entriamo nei rapporti di potere tra essere umani che poggiano sul culturale e sul simbolico. Un padre, in pieno patriarcato, non ha bisogno di uccidere i figli, perché oltre a rappresentare la sua progenie, sono SUOI (vedi il termine “patria potestà”).
            Lo dico anch’io che il numero di donne che uccidono i figli è risibile: ma allora perché lo viviamo come un’orrore minaccioso? Ti rimando al pezzo di Costanza con le sue riflessioni sulla capacità di dare vita e morte delle donne. Su facebook, l’amica Alessandra Sarchi cita a proposito il modo di dire emiliano “come ti ho fatto, così ti posso sguastare”. (che esiste anche in altre varianti). La cultura, dalla più antica, ha cercato a dare forma e contenimento a questo conflitto, e ci è riuscita. Visto che ti piace l’etologia, le femmine (e i maschi) umani che fanno fuori la progenitura sono, appunto, quasi nulli rispetto a ciò che accade tra altri mammiferi.

          • vabbè che poi pare che ho fatto a botte co Zoja.

            Io mi ritrovo molto nel finale del pezzo di zauber-Costanza e sono per desacralizzare tutto. Mi lascio ovviamente il dubbio sulle cose che non conosco, ovvero la tesi dell’invidia maschile per la capacità di generare. Capisco il fatto che simbolicamente e culturalmente la madre che genera e uccide fornisce materiale a iosa, però appunto, facciamo un passo a lato, oltretutto che oggi questi racconti non ci sono manco più utili. Le storie delle streghe mi pare servissero anche come momento di emancipazione narrativa per le donne, e c’è pure un aspetto bello per carità. Sul piano mediatico e boh psicodinamico sociale della caccia alle streghe vi seguo pure, penso c’entri anche lo scarso livello culturale tutto, di chi guarda la tv, ma pure di chi la fa (Vespa probabilmente ci si mas****a di suo). Ciò che mi lascia insensibile è l’infanticidio. A me le madri in questione fanno solo pena, nel senso che mi dispiace per loro. Dei figli onestamente non mi importa proprio nulla. Anche perché non vedo che differenza ci sia con l’aborto, e sono per il diritto di abortire. Se mia madre mi avesse ammazzato non avrei voluto il comitato di quartiere fuori casa.

            su padri, leoni eccetera. beh, il potere direi che viene plasmato a livello culturale e simbolico, ma poggia come per gli animali sul conflitto di interessi. I leoni maschi (quelli sconfitti) uccidono i cuccioli altrui perché è una strategia che a volte si rivela efficace per accoppiarsi. Fra gli scimpanzè ci sono gli stessi meccanismi di potere, strategie, vendette, ritorsioni eccetera che ci sono fra gli uomini. e hanno una struttura che potremmo definire patriarcale. E usano il potere per avere il controllo riproduttivo. Mentre i Bonobo hanno una struttura matriarcale, e usano il sesso per mediare i rapporti di potere, ma pure per altre robe, cioè un po’ per tutto (e dicono non sia male, e infatti sono molto meno violenti). Gli uomini in certi casi lo fanno perché è l’unico modo che hanno non solo per punire la madre, ma nel momento in cui i figli possono essere loro sottratti (allora io ci metto Un giorno perfetto di Melania Mazzucco). in questo caso il padre non è più padrone. Poi ovvio, non sto sovrapponendo le situazioni, ci sono tutte le casistiche varie con vari disturbi e tutto, però mi sembra che noi ci carichiamo sopra dei significati ulteriori, il male in qualche modo lo rendiamo speciale. La mantide stacca la testa al poretto in pieno coito, perché pare che la testa lo inibisce (maschio timido). La mantide però è solo una mantide, un regista giapponese ci potrebbe tirare fuori un filmone.

          • h, la differenza con l’aborto è che un feto non è una persona, il bambino sì. Un bambino non vive dentro il corpo di un’altra persona, il feto sì

          • sì, ho scritto senza spiegare. intendo una cosa del tutto personale, data la particolarità dei casi, io non faccio differenza.

  3. Cara Helena,
    grazie per questo tuo intervento che dà voce ai pensieri di molte di noi in questi giorni. Provo a rilanciare alcuni spunti del tuo discorso. Tu ti chiedi e ci chiedi: perché il discorso sulle donne devianti si associa così facilmente all’arcaico, in questo caso al Medioevo delle streghe? Ecco, partirei da qui: dalla necessità di riscattare l’arcaico dal carnevale massmediatico, di trovare le sue radici antropologiche. Bruce Lincoln – uno storico delle religioni – ha fatto in un suo bellissimo libro (Diventare dea) una importante distinzione tra i riti di iniziazione femminili e quelli maschili. Nelle società pre-moderne, i riti di iniziazione maschile (in particolare i riti che segnano il passaggio dalla adolescenza ala maturità) sono riti verticali: implicano un passaggio di status, un mutamento di posizione nella gerarchia sociale. Le iniziazione femminili, invece, non conoscono questa dimensione verticale, per la semplice ragione che, nel premoderno, «le donne non fanno mai propriamente parte di una gerarchia sociale, né hanno una posizione indipendente di qualche rilievo». Tuttavia i riti di iniziazione femminile esistono eccome e sono un repertorio ricchissimo, fondativo anzi della cultura occidentale. Il punto è che questi riti, sradicati quindi da ogni cornice sociale ma profondamente connessi con il potere biologico femminile, attribuiscono alla donna una funzione cosmico-simbolica: l’inizianda viene divinizzata dalla sua capacità biologica e magica di portatrice di vita e di civiltà. Ora, parlare della vita in termini cosmico-simbolici significa anche parlare di ciò che la contiene implicitamente: la morte. Così questi riti di iniziazione raccontano spesso anche il lato oscuro, di figure femminili ferme sulla soglia del rito di passaggio, inibite al transito, alla metamorfosi. Vergini morte prima del matrimonio, madri che hanno perso il loro bambino: tutte, e indistintamente, portatrici di morte anziché di vita, streghe ante litteram, fantasmi persecutori da esorcizzare con offerte espiatorie. Dobbiamo sapere che questa costruzione culturale è l’arcaico del mondo occidentale. E l’arcaico non si liquida con due stentati secoli di ambigua civilizzazione e modernità. Dobbiamo anche tenere conto del fatto che questa costruzione culturale si è fondata su una potenzialità biologica reale del corpo femminile: il nostro potere riproduttivo. Quindi il materno è sempre anche un ritorno a questo mondo assoluto, mtico, pieno di ambivalenze. Fino a quando si continua a parlare di istinto materno si nega ciò che tutti (le madri e i figli) universalmente hanno vissuto: il materno non è il mondo dell’istinto e della donazione gratuita di sé, ma un percorso complesso in cui natura e cultura, odio e amore si mescolano e si contaminano. Nella nostra modernità, poi, sono proprio le donne a essere le figure più civilizzate (nel senso freudiano del Disagio della civiltà): sono cioè quelle che scontano il conflitto e la posizione di confine, di soglia tra l’eamcipazione tipicamente umana dagli istinti e il radicamento inevitabile nel corpo e nella sua animalità che è la procreazione. In questo senso libri anche interessanti come quello di Zoja (Il gesto di Ettore) non ci aiutano, perché sono costruiti su un dualismo tra padre e cultura vs madre e istinto. E non ci aiuta neanche il pensiero femminista della differenza, molto diffuso tra le studiose italiane: per Luisa Muraro, l’ordine simbolico della madre e la rivalutazione della genealogia femminile sono valori fondati su una differenza essenzialista, che distinguerebbe nettamente le donne, biologicamente votate alla cura, dagli uomini (con un effetto boomerang di regressione al ruolo subordinato di nutrici, quindi). Ci aiutano invece le scrittrici come te, Helena. Per esempio, una delle ragioni del successo di Elena Ferrante (una autrice dall’identità anonima cui l’immaginario italiano tende – guarda un po’ – ad attribuire una appartenenza di sesso maschile…) sta proprio secondo i me nel fare i conti con questo arcaico. Soprattutto nei suoi primi tre romanzi, Ferrante racconta la storia di tre donne autonome, indipendenti, colte, che ad un certo punto della loro vita affrontano improvvisamente – per una ragione o per l’altra – una profonda crisi esistenziale. A quel punto, vengono subito abitate dal fantasma della propria madre e più in generale da un mondo arcaico che credevano ormai lontanissimo. «Il tempo del dolore» – per queste tre donne – è il tempo della resurrezione di questo arcaico. Ecco, concludo queste mie riflessioni con una citazione da Ferrante, dalla Frantumaglia: «il dolore ci sprofonda tra le antenate unicellulari, tra i borbottii rissosi o terrorizzati dentro le caverne, tra le divinità femminili ricacciate nel buio della terra, pur tenendoci ancorate – mettiamo – al computer su cui stiamo scrivendo».

  4. Ho intravisto persone condannate per aver cambiato il colore dei capelli come reazione a un orrore troppo grande per non impazzire o buttarsi dalla tromba delle scale.Ho visto figli di famiglie complicate costituirsi preventivamente alle procure sobillate dallo strologare variegato di profiler mascherati da comparse di porta a porta, o friggere sulla sedia elettrica per avere tenuto nascosto un tentato suicidio per un amor fou(come possono sembrare tutti gli amori quando si hanno sedici anni). Ho visto reporter invocare la presunzione d’innocenza per qualcuno quando il giorno prima si erano fatti accreditare per l’ordalia con la bava alla bocca. Ne ho visto di cose…

  5. Grazie, Tiziana, per il tuo prezioso intervento.
    Sono d’accordo con te quando affermi “sono proprio le donne a essere le figure più civilizzate (nel senso freudiano del Disagio della civiltà): sono cioè quelle che scontano il conflitto e la posizione di confine, di soglia tra l’eamcipazione tipicamente umana dagli istinti e il radicamento inevitabile nel corpo e nella sua animalità che è la procreazione”.
    Infatti l’infanticidio è tragico (nel senso sia greco di Medea che delle tragedie moderne di “carattere” perché nasce dall’esplosione di un conflitto.
    Zoia lo citavo in riferimento alla questione del paterno e maschile, ma concordo con le tue riserve sull’altro lato, così come le perplessità sulla Muraro. Restano tuttavia, a mio avviso, autori di un pensiero con cui vale la pena confrontarsi.
    Segnalo a te e a tutti con un link il bel intervento di Costanza Jesurum, incentrato proprio sul poter di vita e morte della madre.
    https://beizauberei.wordpress.com/2014/12/16/blimunda-2-0/

  6. Sì, l’intervento di Costanza Jesurum è molto interessante!
    E naturalmente non proponevo una lista dei cattivi e dei buoni, Zoja e muraro vs le scrittrici. No, spero di non avere dato questa impressione. Anche io ho letto con molto interesse quei due libri, anche io – come te – li cito. Però la scrittura letteraria ha una libertà che evidentemente certe strutture ideologiche non conoscono… Il senso del mio discorso su Zoja e Muraro era quello di ricostruire il panorama culturale italiano in cui ci troviamo e in cui mi pare ci sia in questo momento, per le ragioni che spiegavo, un vuoto di pensiero, di elaborazione di fronte a questi eventi. Ma mettiamoci in cammino…

  7. Condivido in pieno l’analisi di Helena.
    Le modalità della diffusione mediatica di questa storia rispecchiano la regressione della capacità critica in una società in cui è sempre più comune tornare a credere agli untori, scaricare sugli emarginati la rabbia repressa.
    Non c’è nessuna intenzione di analizzare i fatti o le cause: ciò significherebbe mettersi in gioco, riconoscere indirettamente anche le proprie debolezze. Creare mostri in cui la gente “normale” non si possa identificare, distrattori di massa per far continuare a credere che i problemi siano localizzati in singoli invece che in dinamiche dove i singoli agiscono e sono responsabili del loro agire, ovviamente, ma da cui sono fortemente condizionati.
    Nessuno vuole giustificare atti del genere, ma non bisognerebbe nemmeno giustificare l’uso strumentale che di questi si fa per distogliere da problemi molto più radicali e inquietanti, che ci riguardano tutti.

  8. mi scusi, ma il suo pezzo è la summna di luoghi comuni e non azzarda alcuna ipotesi nuova o originale, e nemmeno una analisi che aggiunga qualcosa.

  9. sì, certo, le scrittrici, gli scrittori;

    devo però confessare che, quando ho provato a interessarmi a queste cose – sempre da dilettante, o per meglio dire da scrivente che aveva bisogno di elementi per le proprie narrazioni – le risposte le ho trovate, pur amando molto i testi che citate, più sul lato della teoria e degli addetti al mestiere, che nella narrativa, che ci parla sempre di casi individuali (e certo, lì sta la sua forza); del resto se si parla di figlicidi sembrerebbe quasi che la narrativa esitasse a “invadere” questo campo così truculento, e anche lontano dalle idee comuni, così poco “conformista”(ma certo si potrebbero citare molto eccezioni, non sto sostenendo il contrario);

    tra gli altri mi sono stati utilissimi molti testi (purtroppo francesi) che parlano, partendo da osservazioni cliniche, della difficoltà di diventare e essere madri, come per esempio:

    – Catherine Bergeret-Amselek, “Le mystère des mères” (Desclée de Brouwer, 2005)
    – Sophie Marinopoulos, “Dans l’intime des mères” (Fayard, 2005)

    ma anche testi più propriamente sulle infanticide, e in primo luogo:

    – Odile Vershooot, “Ils ont tué leurs enfants” (Imago, 2007); l’autrice, psicologa clinica, riassume la propria esperienza nella Castiglione dello Stiviere francese (anche lì c’è una struttura dove finiscono le infanticide), e mi ha colpito come molte costanti descritte dall’autrice siano presenti – nonostante le condizioni siano in realtà molto diverse – anche in tante
    infanticide italiane;

    ma certo le persone che sono intervenute conoscono meglio di me la bibliografia (sull’infanticidio in italiano io però avevo trovato molto poco, e non mi aveva aiutato, quindi non cito)

  10. L’articolo offre delle occasioni di riflessioni davvero importanti sebbene anch’io sarei più prudente nell’affermare che simili atti di violenza domestica siano epidemici o in fortissimo aumento. Spulciando nei siti Istat ed Eures il numero di omicidi volontari sono in diminuzione da alcuni anni , tra i quali l’infanticidio e il figlicidio. Diverso invece il caso del femminicidio che a tutt’oggi non ha una fonte di dati precisa ed univoca. Per i dati non ci si può basare su quelli diffusi dai giornali, a mio modesto parere.

    • @M e H: ho seguito un po’ di tempo fa le accesissime discussioni circa le valutazioni statstiche sul cosidetto femminicidio. Ne ho tratto che la tendenza è in crescita costante: non solo in Italia, anzi ancora di più in paesi più “evoluti”, da tempi più lontani abituati a considerare l’uccisione di una donna qualcosa di diverso da un “delitto passionale” o “d’onore” depenalizzato in Italia (se non sbaglio) fino agli anni sessanta.
      Credo di ricordare correttamente anche il dato che ribadisce come sul numero in diminuzione degli omicidi quelli in famiglia siano invece in aumento.
      Andare a ripescare tutte le fonti mi è ora difficile.
      Se volete, però, vi dico ciò che penso a prescindere: credo che certe ricorrenti forme di violenza degli uomini (adulti) – inclusi i suicidi, specie quelli più violenti – sono spie di una crisi che oltrepassa un ridimensionamento del ruolo patriarcale inaugurata dall’emancipazione femminile. Penso che in queste dinamiche entra anche la crisi economica, i debiti, il lavoro in bilico o che manca: tutto ciò attraverso il quale l’uomo occidentale sta sperimentando un declino del suo ruolo e potere secolare e, talvolta, la sua totale impotenza. E non lo dico compiaciuta e giudicante.

      • sulle cifre volevo fare un discorso di questo tipo: su base annua abbiamo visto degli aumenti, però starei attento a farne un discorso fenomenico unitario e non penso sia saggia tutta questa attenzione alle cifre e dal punto di vista mediatico la morbosità e il tono emergenziale (non parlo del richiesto osservatorio per la corretta documentazione e ovviamente delle giuste richieste di fondi per i centri). Se ci fosse una buona politica di prevenzione e poi ugualmente degli aumenti di femminicidi ne dovremmo trarre che allora non sono buone politiche? Oppure: se nei prossimi due anni le cifre diminuiscono ci fermiamo alle sole leggi fatte finora?

        Circa il ruolo maschile, dal punto di vista sociologico ti seguo. A volte mi pare però che si sovrappongano un po’ i piani, e mi trovo un po’ dubbioso verso i discorsi sulla crisi del maschio. Proprio perché il patriarcato è un insieme di rapporti di potere e cultura, gli uomini stessi nel frattempo sono cresciuti in un ambiente diverso e sono appunto diversi. Mentre a volte è come se si considerassero gli uomini di oggi con la mentalità di ieri in difficoltà perché sono cambiate le cose e hanno perso il privilegio-potere di un tempo.

        Sul piano dell’immaginario ad esempio, ma questo è ot come un balcone, trovo insopportabile vedere i lavoratori in protesta che urlano “ci avete tolto la dignità”. Come se una persona fosse degna in quanto lavoratore e non di per sé. Penso che sia un pensiero introiettato che fa male anzitutto a chi lavora.

      • Così a pelle anch’io mi sento di affermare che il disagio maschile è aumentato ma ai possibili “detrattori” o qualsivoglia difensori questa è una condizione non sufficiente. I numeri, si sa, si possono piegare a diversi usi o spettacolari dimostrazioni ma sono comunque fondementali anche per indicare un fenomeno emergente. Questo lo dico perchè da ignorante quale sono, avverto una profonda stanchezza nella lettura dei giornali e dei siti specializzati in tematiche di genere. Stanchezza per la mancanza di analisi documentate con fonti precise, in generale si grida allo scandalo, si guarda dal buco della serratura… Un po’ ot, immagino.
        Grazie comunque.

  11. ps: mi sono dimenticato di (ri)complimentarmi con helena, perchè l’avevo in realtà già fatto in privato; ma molto bella anche la nota di de Rogatis;

  12. Detto un po’ a tutti: abbiamo scelto di pubblicare questo pezzo insieme a due post che non hanno nulla a che fare con la cronaca.
    Quello di Francesca contiene la testimonianza di una strega piuttosto recente in cui si racconta sia diventata tale dopo la morte di quasi tutti i figli.
    Quello di Giacomo è qualche pagina di un romanzo, ossia proprio quel confronto con le esperienze umane più tremende e “inenarrabili” che può giungere attraverso la letteratura, come diceva @Tiziana de Rogatis. Magari può sembrare inopportuno sottolinearlo, ma apprezzo molto il coraggio anche letterario di uno scrittore che si cala in una donna infanticidia.

  13. No alla spettacolarizzazione mediatica dell’orrore. No alle trasmissioni sugli omicidi dei bambini.

    Con l’omicidio del piccolo Loris, è iniziata nuovamente l’esposizione mediatica di episodi criminosi che coinvolgono emozioni intime e sofferenze psicopatologiche di estrema gravità, attraverso trasmissioni televisive come “Porta a Porta” di Bruno Vespa, che già in passato si sono distinte, soprattutto nel caso del delitto di Cogne, per aver prodotto una vera e propria spettacolarizzazione dell’orrore, tentando di mettere a nudo sentimenti delicatissimi e complessi, quali le eventuali pulsioni infanticide di una madre, sentimenti solitamente soggetti a fenomeni di dissociazione psichica, che possono tornare a essere presenti alla coscienza, con tutto il dolore che ciò comporta, soltanto grazie a un delicato e prolungato lavoro clinico che può realizzarsi solo in un clima di rigorosa intimità fra il paziente e il suo psicoterapeuta.

    Viceversa, il bombardamento mediatico e l’incivile intrusione in aree tanto personali e delicate del Sé costituiscono un atto di violenza su assetti mentali già gravemente compromessi per esperienze traumatiche pregresse o per condizioni gravemente luttuose, rischiando altresì di vanificare il lavoro clinico di chi ne abbia il compito, attraverso la cristallizzazione di “verità” mediaticamente costruite, inevitabilmente superficiali e false, che si instaurano anche a prescindere dalle migliori intenzioni e dalla buona fede di registi e conduttori televisivi.

    Il raggiungimento della consapevolezza intima di desideri, pulsioni e dolori inaccessibili alla coscienza non può che essere frutto di percorsi di sensibilizzazione estremamente difficili e dolorosi; di fronte a questa prospettiva la “celebrità” che deriva dall’iperesposizione mediatica, per il fatto di rappresentare una gratificazione narcisistica derivante da uno stato di indicibile dolore e di eventuale inconfessabile colpa, non può che creare confusione e persino cronicizzazione degli stati dissociativi che sono all’origine di siffatte azioni criminose.

    Si chiede pertanto alla RAI di far cessare tali trasmissioni.

    Aderite alla petizione su Change.Org:
    https://www.change.org/p/rai-professionisti-della-salute-mentale-no-alla-spettacolarizzazione-mediatica-dell-orrore-no-alle-trasmissioni-sugli-omicidi-dei-bambini?recruiter=41241356&utm_source=share_petition&utm_medium=facebook&utm_campaign=share_facebook_responsive&utm_term=des-lg-no_src-no_msg

    • Grazie, Gianni.
      Non so quanto possa servire una petizione, anche se condivido.
      Però mi fa piacere che in quel testo si rifletta l’esperienza di chi lavora con le persone, e in particolare con le donne, affette da gravi sofferenze psicopatologiche.
      Mi sembra importante – e abbastanza terrificante – il rilievo che la spettacolarizzazione mediatica diventi complice della patologia, e blocchi ogni difficile sforzo di elaborare il lutto e la colpa.

  14. Mi fermo su “Giustizia-streghe e inquisizione”Scrive Sciascia su “la strega e il capitano”Per semplificare.Per accelerare.Per arrivare dritti e spediti alla condanna di Caterina,E’ potuto accadere.E crediamo che accada.Terrificante è stata sempre l’amministrazione della giustizia,e dovunque.Specialmente quando fedi,credenze,superstizioni,ragion di Stato o ragion di fazione la dominano o vi si insinuano.

  15. devo dirlo: le riflessioni su questi casi sono legittime io però non riesco a comprendere un genitore (uomo o donna che sia) che uccide a sangue freddo il proprio figlio nè comprendo i padri che sterminano la famiglia. E non perchè idealizzo questo o quello o esorcizzo il male, il male esiste (come il bene fa parte dell’umano) solo che nessuna spiegazione psicologica, filosofica, religiosa, culturale mi pare esaustiva: so che accanto ad una maggioranza di bravi genitori che amano i loro figli pur in mezzo alle difficoltà, ce ne sono alcuni indegni o tragicamente inadeguati al compito, persino alcuni che odiano i loro figli, ma so anche che la maggioranza di noi, pur con tutti i problemi economici e/o psicologici che possiamo avere, i momenti di rabbia, sconforto, dolore, i pensieri nerissimi che ci possono attraversare la mente, la maggioranza non trucida i propri congiunti o le ex

    • Infatti, nessuno sinora ha trovato spiegazioni esaustive per il male.
      Però abbiamo elaborato qualche strumento e sapere che ci aiuta a capire, e questo non in prospettiva di una discussione filosofica.
      Serve per capire cosa si può fare per arginarlo. Non il Male, ma le sue concrete manifestazioni, così diverse l’una dall’altra.
      Per esempio, il film di Alina Marazzi che racconta la storia di una madre caduta in una pericolosa depressione post-parto, è girato alla Casa del Quartiere di Torino, che è anche un luogo dove le madri in difficoltà possono trovare aiuto. O i centri antiviolenza. O gli asili e asili-nido di cui parla Costanza che sottraggono per un po’ i bambini da ambienti troppo abusivi.
      Non sono la ricetta magica, ma il fare quel che si può. E che andrebbe fatto di più e meglio.

      • e poi soprattutto che il male è in tutti noi, perché nessun essere umano – lasciamo stare qualche raro asceta o yogi o cristo o santone, ci sono anche quelli – è immune dal male, e questi “mostri” che ci appaiono “mostri” ci appaiono “mostri” proprio perchè in loro riconosciamo qualcosa – allo stato puro – che è anche in noi, e in fondo ben conosciamo; non è freudismo a cinque centesimi, anche se è la psicanalisi ce lo ha mostrato, e non possiamo più fingere di ignorarlo, è davvero così, scavando in se stesso ciascuno di noi può accorgersene facilmente, e è ancora più facilmente può osservarlo negli altri;
        certo nessuno di noi che qui commentiamo, Conte Vlad, ha ammazzato il figlio, ma ciascuno di noi ha fatto qualcosa di quell’ordine lì, ha commesso qualche minuto omicidino; è proprio sicuro, Vlad, di avere la coscienza netta?; io no;
        e è proprio questo meccanismo che stigmatizziamo, questo è il nocciolo della questione; è facile prendersela con quella poveraccia, ma è ingiusto, meschino, osceno, immorale, e perverso;
        senza contare, leggiamo i libri che ne parlano, che per nessuna donna è facile fare quel complicato e rischioso salto mortale che le porta a essere madre, per molte è difficile, per molte altre molto difficile, per qualcuna impossibile; in pochi campi della nostra vita comune, mi sembra, il senso comune e le vulgata sono così lontani dalla realtà;
        detto questo finisco il chorizo;

        • non ho mai detto che fare il genitore sia “facile”, non ho certo negato le difficoltà e mi pare anche di averlo scritto (niente è facile a questo mondo, e fare il genitore è una responsabilità che oggi più che mai le persone scelgono di assumersi e nella maggioranza dei casi portano avanti, nè ho mai sostenuto di essere un santo, qui non è questione di coscienza netta, volevo solo fare alcune precisazioni magari banali. ma Sartori: la storia del “siamo tutti un po’ colpevoli = nessun colpevole” non mi convince, alcune colpe sono più gravi di altre.
          Dopodichè tutto ciò di cui parla Costanza Jesurum (sili, centri anti-violenza, welfare eccetera) è giusto e va sostenuto, ma ciò che ho scritto non lo mette in discussione

        • Aggiungo: non ho mai detto che fare il genitore sia “facile”, non ho certo negato le difficoltà e gli errori che ciascuno può commettere e mi pare anche di averlo scritto

  16. Cara Helena, ho letto e riletto. Sia il tuo post, sia i commenti. Qui e su facebook.
    Mi faccio piccola piccola e da modesta operaia del diritto, provo a dire la mia.
    Che è sostanzialmente questa: partendo dal presupposto che i crimini di violenza sulle persone (donne e bambini, innanzitutto) non sono aumentati – come pure faceva rilevare qualcuno in un suo commento su Nazione Indiana – è aumentata di converso la morbosità dell’attenzione mediatica e personale verso il fenomeno. Arma di distrazione di massa, come hai notato tu.
    Ma anche – come precipitato – arma di modifiche legislative di contentino alla pancia dell’elettorato che il Parlamento o, meglio, sempre più spesso il Governo ha prodotto per pulirsi la coscienza.
    Io ho lavorato per anni in un Centro Antiviolenza e comunque da venti anni a questa parte mi occupo del fenomeno della differenza di genere e delle violenze che spesso derivano dalla mancata accettazione del ruolo e dell’identità e della persona del (comunque) diverso.
    Gli atti di violenza sono aumentati?
    Forse no, come dicevo.
    Sono aumentate le denunce, perché esistono strumenti un tantino più efficaci a tutela delle vittime (pensa che la violenza sessuale è diventato reato contro la persona solo nel 1996, prima essendo relegato tra i delitti…contro la morale!), ma – a ben vedere – neanche tanto, solo che loro, le vittime, immaginano che denunciare le tuteli di più che in passato e allora denunciano…
    Per quel che riguarda gli omicidi – i femminicidi, gli omicidi di donne, i matricidi et similia – certo lì il dato reato/processo è automatico, perché una lesione puoi decidere di non denunciarla, un omicidio fa aprire comunque un fascicolo per ricercarne il colpevole…
    Non mi importano le statistiche, cioè non voglio concentrarmi su quelle, ma non credo che l’aumento sia così rilevante da assorbire il problema.
    Il problema, lo dico da sempre, è tutto quello che c’è prima.
    E prima c’è mancanza di cura, di attenzione e di istruzione.
    Lavoro molto nelle scuole, tanto nelle scuole superiori, troppo poco in quelle inferiori.
    Eppure credo bisognerebbe lavorare dai primi anni di scolarizzazione sulle bambine e sui bambini per insegnare loro la diversità, il rispetto, ma anche l’attenzione e la cura.
    Perché il disagio sociale e anche quello psichico proliferano in assenza di attenzione e cura.
    Facci caso, DOPO tutti sono pronti a inquadrare i problemi che PRIMA hanno fatto finta di non vedere.
    Ognuno gira la faccia dall’altro lato, per incapacità di prestare attenzione o per ignoranza?
    Nel dubbio, io lavorerei su tutte e due gli aspetti.
    Con i bambini e a partire da loro.
    DOPO, che un processo mi dica chi sia il colpevole, beh…importa relativamente davvero poco.

    • Grazie, Rossella, per il tuo contributo che arriva come il cacio sui maccheroni. :-)
      Perché fa perfettamente da cerniera ai commenti di @h, @m e @andrea inglese, riprendendo anche le cose che dal suo punto di vista di psicoanalista – anche lei lavora con i centri antiviolenza – dice Costanza Jesurum.
      Magari è vero, come sostieni tu e altri, che la violenza contro donne e bambini non è aumentata. Magari è avvenuto qualcosa di analogo a ciò che è accaduto per la pedofilia, dove sino a poco il tabù era così totale, esprimibile solo con richiami oscuri al “uomo nero” e la raccomandazione di non accettare caramelle dagli sconosciuti, che adesso quando se ne parla anche troppo, sembra ci siano pedofili dietro a ogni angolo. Poi, per dirla tutta, anche in quel contesto alcuni portano avanti la tesi che ci sia stato anche un recente incremento e lo motivano con argomenti che non appaiono del tutto peregrini.
      Comunque sia, una cosa è certa: come mostra anche il quadro legislativo che tu hai ricordato (la legge del 1996), la nostra società – almeno ufficialmente – non è più disposta a accettare la violenza sulle donne e sui bambini.
      Per questo, quelle vittime così frequenti fanno notizia (salvo se sono, per esempio, una prostituta straniera), anche se la ricorrenza in numeri assoluta potrebbe essere inferiore a tempi non lontani quando il “delitto passionale” era una cosa all’ordine del giorno.
      Però qui veniamo di nuovo al punto centrale di questo testo: che l’attenzione mediatica, pur indice di una diversa sensibilità, rischia di avere effetti contraproducenti.
      Perché la risposta, quella a cui tende chi si occupa da vicino del problema, non sta di certo nel mettere prima alla gogna e poi al gabbio un certo numero di mostri o cattivi cattivissimi, acclamando pene più severe a furor di popolo, e inoltre alimentare un insano e talvolta paranoico, bloccante e sviante senso di paura e insicurezza.
      La risposta, come qui mi pare stiamo dicendo tutti, sta nel cercare di intervenire PRIMA. Fornire alle vittime reali o potenziali di violenza tutti i possibili strumenti per essere aiutati e protetti. Lavorare sui meccanismi culturali che le generano, e persino, qualora fosse possibile, intervenire su coloro che sono a rischio di commettere tali abusi e violenze, chiunque essi siano.
      Non mi illudo che con questi sforzi, elimineremo la violenza e il male dalla faccia della terra. Ma per ogni vita salvata o anche solo sottratta in parte a una sofferenza che infligge danni permanenti, ne vale certo la pena.

    • mi era sfuggito il tuo commento, Rossella. Lo condivido in buona parte e te ne ringrazio. A te che lavori in un Centro antiviolenza non potranno dare della “negazionista”. Forse.

      Disagio sociale e soprattutto psichico.
      Famiglie tossiche, relazioni fusionali e/o malate. Degrado materiale e/o morale.

      L’espressione “lavorare sui bambini” la trovo inquietante, però. Se a lavorare sui bambini dovesser essere certe donne e uomini che vedo in giro, non credo che vedremo miglioramenti.
      Direi piuttosto lavorare – ognuno di noi adulti e adulte – su noi stessi. Assumerci la responsabilità della nostra vita, dei nostri errori. Costruire progetti di vita sostenibili. I bambini e la società ci ringrazieranno.

  17. Aggiungo una cosa. Il costruire il mito mediatico della madre-mostro, in questo specifico caso, non costituisce un minimo progresso nei confronti di una realtà tristissima e spaventosa, e che riguarda la violenza esercitata quotidianamente sui bambini, la violenza che spesso diventa sevizie e torture, prima ancora della morte. Su questo tema scriverò un giorno e in modo approfondito. Per ora ricordo solo questo: i santi, sacri, innocenti, amati bambini sono in realtà, per la società TUTTA e le società TUTTE, l’ultimissima preoccupazione. Di fatto, i bambini non contanto nulla: non votano, non hanno potere, non scrivono sui media, non fanno manifestazioni di protesta. E quindi sono, nei fatti, i più esposti alla violenza degli adulti. Oggi, la lotta delle donne contro la violenza su di loro esercitata dagli uomini ha una storia alle spalle, anche se come dimostra il pezzo di Helena questa storia è ancora in atto, la battaglia è quotidiana, e l’esito per nulla certo. Per i bambini, questa battaglia non è ancora veramente cominciata o siamo soltanto agli albori. E la morbosità dell’orrore mediatico non è ovviamente sua alleata. Anzi, come diversi commenti hanno sottolineato: se chi infligge violenza sugli innocenti ed inermi è un mostro, possiamo dormire sonni tranquilli nelle nostre famiglie fatte di brave persone…

    • @andrea inglese scrivi:
      Il costruire il mito mediatico della madre-mostro, in questo specifico caso, non costituisce un minimo progresso nei confronti di una realtà tristissima e spaventosa, e che riguarda la violenza esercitata quotidianamente sui bambini, la violenza che spesso diventa sevizie e torture, prima ancora della morte.

      condivido assolutamente.
      Ma per onestà intellettuale e/o semplice buonsenso, il discorso va esteso al marito-mostro e a tutti gli altri mostri circolanti – di qualsiasi religione, età, ideologia, genere e via dicendo.

      • p.s. lo estendo anche ai mostri antisemiti. Qualcuno sa che il direttore di Charlie Hebdo licenziò il vignettista Siné che aveva firmato una vignetta sul figlio di Sarkozy che sposava una “ricca ebrea” (sottintendendo che lo faceva per motivi di interesse)? Fu giudicata antisemita, e filosofi e intellettuali (oggi libertari) come Bernard Henri-Levy e Claude Lanzmann chiesero la testa di Siné che finì anche in tribunale. (Ma la causa la vinse Siné…)

  18. Allora, se qualcuno mi dice che le narrazioni psicoanalitiche di Bruno Bettelheim sulla ‘madre frigorifero’ siano misogene, non ho nulla da ridire, è evidente si rivolge alle madri come figure patogenetiche.

    Ma in questo caso le espressioni “Senza pietà” “di indole malvagia” “tace perché è colpevole” potrebbero essere riferite a una figura diversa dalla madre, non necessariamente femminile.
    Le espressioni citate sono genderizzate da Helena rifacendosi a narrazioni psicoanalitiche indimostrate/indimostrabili.
    Ma esistono degli articoli da cui, senza ricorre a favole interpretative di qualche tradizione psicoanalitica, si possa evincere che quella genderizzazione stigmatizzante esiste?

    • Non capisco bene, temo, Andrea.
      Bettelheim che citi è uno che ha analizzato proprio quel sostrato da “madri cattive” che si tramanda nelle fiabe e riverbera una paura che esiste per uomini e donne, visto che una madre ce l’abbiamo tutti.
      Questa paura è stata gestita in modo differente dalle diverse società e culture: nel Occidente cristiano con la misoginia che vede nelle donne il ricettacolo del malvagio e le manda al rogo come streghe.
      Ora, o Bettelheim e tutti gli psicologi di diverse scuole, uomini e donne, che si sono occupati dell’ambivalenza del materno sono dei fuffaroli misogini che sparano cazzate indimostrabili, oppure il fatto che le parole “mamma” “senza pietà”, “di indole malvagia” sono messe assieme, crea una rappresentazione genderizzata senza bisogno del mio personale accannimento per travisarle.
      Magari il gip le ha usate come avrebbe fatto per un omicidio efferrato commesso da un uomo eterosessuale e italiano. Non sto cercando un colpevole.
      Sto cercando di capire cosa n’è venuto fuori in quel caso, al dilà delle intenzioni consapevoli di nessuno. E posso anche dirti che ieri sulla bacheca di Michela Murgia c’erano voci, non pochissime, che invocavano seriamente il rogo. Persino uno che voleva vederla bruciare, con un lapus formidabile, come Giovanna D’Arco.

      • Ovviamente non ti ho accusata di accanimento a travisare, ho solo cercato di capire quale giustificazione avesse questa asserzione “parole che, passate dalle carte giudiziarie ai notiziari, riverberano un retaggio risalente ai tempi delle streghe e degli inquisitori”. Il testo così com’è dimostra ciò che presuppone, quindi ho chiesto se c’era altro.
        Viviamo immersi in una cultura genderista che distingue binariamente i sessi e attribuisce prerogative esclusive, quindi è facile che in quella catena di parole “dalle carte giudiziarie ai notiziari” si ritrovino gli stereotipi genderisti. Bisogna descriverli in modo oggettivo, non mi sembra una buona idea rifarsi a narrazioni psicoanalitiche che nascono non per descrivere la realtà ma per fare terapia.

        Bettelheim aveva costruito una ipotesi, che oggi è ritenuta largamente infondata sulla eziopatogenesi dell’autismo. Patogenetico secondo le sue suggestioni era il rapporto con la madre (in sostanza ciò che la madre faceva: la “madre frigorifero”). Queste suggestioni sono state tradotte in protocolli clinici infondati. Oggi si ritiene che le sue diagnosi non fossero corrette. E’ un problema di etica.
        Questo accanimento sulla figura materna, che giudico sessista e misogino, non è stato solo suo, altre fugure della psicoanalisi come Stoller si sono distinte nel ritenere la madre patogena.

        • Va bene, cerchiamo di distinguere. Intanto il Bettelheim a cui ti riferisci (quello che interpreta le fiabe dei fratelli Grimm) è un altro di quello che avevo in mente io. Ma il problema fondamentale è che possono esistere valutazioni delle figura della madre che sono interpretabili come misogine, mentre le difficoltà per una donna di essere “una madre sufficientemente buona” e l’importanza che il suo ruolo riveste per la crescita dei bambini, sono, diversamente declinati, patrimonio dell’intera psicologia moderna e anche della psichiatria quando si occupa di curare la depressione post-parto, per esempio. Detto questo, gli stereotipi culturali di genere a cui mi riferisco sono trattati altrettanto da storici o etnologi ecc.

  19. pessimo articolo, pessima analisi.
    il legame “spettacolarizzazione-berlusconismo” è di una trivialità imbarazzante.
    le stesse cose, gli stessi fenomeni accadono in tutti i paesi del mondo dove l’industria dei media è fortemente radicata e pervasiva.
    prendere un caso assolutamente delicato e peculiare come l’infanticidio di Santa Croce Camerina per farne una dissertazione radical chic, è un’operazione tremenda.

    incommentabile pure l’iniziativa che NI ha costruito sopra.
    i pezzi siglati “bad mommy#”…, senza capo né coda.. diomio… da vergognarsi

    • No. In altri paesi lo sfruttamento mediatico di questi casi, per quanto analogo, verrebbe relegato ai tabloid e a contenitori e format televisivi che occupano spazi molto più delimitati. Non sarebbe spiaccicato ovunque, a partire dai notiziari del servizio pubblico.
      Grazie per l'”operazione radical chic”: l’aggettivo ci mancava.

  20. (a parte associarmi a laserta, chiunque egli o ella sia)

    Oggi la Franzoni se ne sta tranquillona a scontare la sua pena ai domiciliari. Alla faccia della caccia alle streghe, Janacek! Se fosse stata un padre (maschio), col cavolo che la mandavano a casa dopo che aveva ammazzato il figlio fracassandogli il cranio; o in uno di quei carceri dove le povere mamme infanticide – così fragili, e depresse, e lasciate sole… (ad lib.)- fanno terapia di gruppo e lavoretti che le aiutano a “superare il loro dramma”.

    Sì, il LORO dramma, non quello delle loro vittime. Quando sono le madri a uccidere, le vittime spariscono presto dalla “narrazione”.

    Ci vuole veramente un coraggio da leoni, per tirare fuori questa storia delle streghe. Davvero. E’ un insulto all’intelligenza.

    Infine (si fa per dire), vorrei sapere se associare le parole marito-senza pietà-indole malvagia – come avviene regolarmente sui giornali in tutti i casi di femminicidio – le sembra giusto e soprattutto sufficiente a capire quello che succede nella testa di una persona che infierisce su un’altra persona che non può difendersi.

  21. laserta, se è incommentabile, perché commenti? Suvvia, non ti contraddire così, e se ti dà fastidio la dura realtà, lascia stare, non leggere.

    • il problema è che si tratta di un caso macroscopico di sciatteria.
      Nessun numero a supporto della tesi
      Teoria dei media così, diciamo, impressionistica.. (il berlusconismo addirittura! ma perché Sky cos’è, controllato da Mediaset in maniera occulta? Ma avete mai dato un’occhiata a Sky TG24, che ha coperto l’inchiesta ogni giorno con più collegamenti? E senza farne oggetto di infotainment…). Almeno farsi un’idea, prima di scrivere, documentarsi… o è chiedere troppo per un tema del genere?
      La citazione, consapevole, della stregoneria all’interno del pezzo (titolandoci pure) chiamando in causa un fenomeno storico che ha un’origine e un’importanza affatto diversa. Che c’entra, eccome, con la marginalizzazione della donna e del corpo femminile, ma per tutt’altre ragioni…
      Infine, addirittura giocarsi una serie, con un titolo osceno (“bad mommy#”), dove si inseriscono altri pezzi senza una logica e che non contribuiscono in alcun modo a completare, per l’appunto in serie (quindi, in aggiunta), l’articolo in questione.
      Che poi in questi circoli letterari nessuno critichi nessuno, siamo tutti amici, non si sa mai quando toccherà a me… beh, non è un problema dei lettori. ma del circolo “chiuso”, semmai.

  22. vorrei far notare a helena j. che se il fatto ricorda l’ “uomo morde cane” è proprio perchè i media o i blog non parlano mai delle centinaia di casi come questo, mentre ci propinano ogni giorno un delitto dello strego-maschio…parlare di sostrato maschilista mi sembra proprio fuori luogo, perchè queste tragedie evidenziano inequivocabilmente che la ragione degli uni e degli altri delitti non è culturale, ma è nelle oscurità del cuore….e purtoppo soccombe chi è più debole fisicamente…. se il maschio vuole sopprimere la femmina, e la femmina viceversa, prevale il maschio, e ciò spiega perchè sono più numerosi i cosiddetti femminicidi…se questo accade fra madre e bambino, prevale la femmina….e infatti nelle statististiche i numeri si pareggiano…ahimé….
    con ciò non quoto laserta, cui già ho replicato sul pezzo di forlani…

  23. liviobo scrive:
    parlare di sostrato maschilista mi sembra proprio fuori luogo, perchè queste tragedie evidenziano inequivocabilmente che la ragione degli uni e degli altri delitti non è culturale, ma è nelle oscurità del cuore….e purtoppo soccombe chi è più debole fisicamente…

    mi associo aggiungendo alle varie fattispecie anche la violenza domestica tra coppie di adulti dello stesso sesso, che ha dinamiche praticamente identiche.
    Per il resto, questa serie di articoli intitolati badmommyday non è altro che la riproposizione di vecchi stereotipi culturali. E anche qui il problema dei due pesi e due misure si ripropone: in sostanza ci sono stereotipi e stereotipi, certi vanno bene e certi no. Lo stesso vale per le semplificazioni che riconducono tutto a un problema di “genere”.

    Se c’è una categoria, in Italia, assolutamente santificata e privilegiata è quella delle donne-madri. Lo vediamo nei tribunali e fuori. Dall’affido dei figli, alle cause di divorzio, agli omicidi. Poi tutto è perfettibile, per carità, ma questa caccia alle streghe non so proprio dove la vediate.

    Bettelheim era una persona disturbata e tormentata: un uomo crudele e congelato, un bugiardo patologico (come ha rivelato Richard Pollack nella sua biografia di B. che ho trovato stringente). Ma qui non c’entra un bel niente. Per ogni Bettelheim ci sono cento Bollea pronti a giurare che “Una mamma lo sa” e/o “ha sempre ragione”.

    Lasciamoceli alle spalle, questi reperti di un altro secolo, e proviamo a entrarci, almeno, nel duemila. Le neuroscienze, la neurobiolgoia e compagnia bella vanno avanti, al galoppo. E qui ancora a fare battaglie pseudoculturali di retroguardia – roba buona per i filosofi e gli psicoanalisti scamiciati francesi.

    • Al tempo di Bettelheim era la psicoanalisi a andare al galoppo, cioè il fatto che si vada ‘al galoppo’ non garantisce nulla.
      A garantire è come al solito la cosa più faticosa: una critica da più discipline compresa l’etica e soprattutto la partecipazione delle stesse persone che sono oggetto di studio in modo che non siano ‘oggetti’.

  24. penso faccia meglio alla “causa” (?) delle donne la bella e intelligente obiettività di diana che certi dis-femminismi…né c’è nulla che uccida vita più del politically correct mediatico….
    la contro-statistica postata la guarderò meglio, ma mi pare implausibile, feci una ricerca a suo tempo e si parlava di circa 100 casi all’anno di madri che uccidono i figli (infanticidio è ambiguo), che sommati alle compagne che uccidono compagni, pareggiava i femminicidi…
    ad ogni modo che sia una montatura mediatica è evidente deduttivamente, questi femminicidi sono apparsi improvvisamente da qualche anno a questa parte, prendendo il posto delle morti sul lavoro, che ora invece paiono definitivamente eliminate…
    più che bettelhein e bollea, suggerisco winnicot con il concetto di “madre sufficientemente buona”, esempio di approccio profondo, realista, coinvolto al problema…

  25. aggiungo che se residuo maschilista c’è, è in culture “arcaiche” come quella mafiosa, nelle quali guarda caso il “femminicidio” è fuori dal codice d’onore, seppur talvolta praticato…il mafioso “passionale” è considerato un debole, mentre è ammessa la prevaricazione… e appunto certa sottocultura mediatica confonde la violenza (legata non per nulla al sacro) con la prevaricazione, concetti opposti…

  26. Tema fondamentale, e ripartirei proprio da quel «su questo fenomeno e le sue cause (che non sono un’originaria “malvagità” o innata violenza del uomo) ci sarebbe da interrogarsi».
    La lettura di “La prima ferita” di Willi Maurer (2008, ultima ed. 2014) può forse fornire una prima fondamentale risposta. Si parla di come la scissione interiore che la gran parte di noi esseri umani viviamo nei “tempi moderni” sia causata da un mancato imprinting… cesareo praticato in modo indiscriminato con conseguente mancata produzione di ossitocina naturale (“ormone dell’amore”), sostituzione totale o parziale dell’attaccamento madre-figlio/a post-parto con routine ospedaliere, di come tutto quello che viene fatto alla donna e al bambino si ripercuotano moltiplicato per mille sull’intera società.

  27. mi associo a liviobo anche sul nesso tra femminicidio e morti sul lavoro.
    Qualche anno fa è stato il momento della campagna contro il fenomeno in allarmante aumento delle morti sul lavoro, che parlando con un dipendente dell’INAIL ho scoperto che non esisteva. Anzi, il fenomeno era – se mai – in calo costante.

    mi ri-associo anche sull’ambiguità dell’indice “infanticidio”. Comunque, a proposito dei dati statistici riportati da h.: nel giro di due o tre giorni abbiamo letto di due madri che, in Italia, hanno ucciso i propri figli (una rea-confessa, l’altra con gravissimi indizi a suo carico). Una lo ha affogato, l’altra lo avrebbe strangolato. In pochi giorni, non in un anno. Difficile da conciliare con quei numeri.

    • Circa la statistica, se guardate il file c’è una leggera discordanza, perché il link rimanda a un altro documento che comprende segnalazioni ulteriori rispetto a quelle della polizia, non ho capito bene, cmq si tratta di alcune unità in più.

      Poi c’è il rapporto del ministero dell’interno
      http://www.marziobarbagli.com/resources/BarbagliColomboRapportoSullaCriminalitaSicurezzaItalia.pdf

      a pag. 117 c’è la situazione che prende in esame il periodo tra il 1992 e il 2009 ove si vede come le vittime di età inferiore ai 14 anni rappresentano la minoranza sul totale (4,8% in ambito famigliare; 2,1% in generale)

      Capisco Diana (sono quello che si firma jackie brown su lipperatura, ciao) la tua allergia a un certo modo di raccontare queste cose, però non capisco perché parli così di questi casi. Anche Liviobo, pare che la metta sul piano agonistico, addirittura sommare i figli e i compagni così i conti sono pari.

        • Senz’altro. Non penso a una volontà complottista. Vai sul blog del Corriere la 27ora, e nella conta di donne uccise in quanto donne ci trovi bambine uccise da ignoti, donne uccise in rapine (appunto), donne uccise dalle nipoti (donne), madri uccide da figlie, e via dicendo ad lib. Certo, a farle così le conte, si arriva presto a fare tombola.

  28. ah, Jackie Brown. Non ti riconoscevo neanch’io. Perché hai scritto un pezzo come questo? Dove sta – spiegamelo – la caccia alle streghe?

    Non mi interessa fare la cunta de li cunti. Mi interessa denunciare il doppiopesismo di certe analisi, la semplficazione (arcaica, quella sì) di certe narrazioni, e infine – last but not least – l’enorme, immenso tabù che ancora copre, in Italia, la violenza DELLE donne.

    Ti assicuro che a parlarne ti ritrovi nel cassonetto dei troll e bannata da tutti i siti femministi in tre secondi netti. E sì che sono donna, atea e non certo di destra. Su lipperatura sono più le volte che scompaio che quelle che appaio. Desaparecida.
    ciao!

  29. p.s scusa, h. Pensavo che h fosse helena, l’autrice del pezzo. Lo credo che non ti riconoscevo. Ora ho capito. d

  30. Scusate, ero lontana dalla rete per un giorno.
    Vedo, però, che vi siete trovati bene anche in mia assenza.
    Questo pezzo non dice “cattivi i media che demonizzano una povera infanticida, mentre fanno benissimo a sbattere i mostri maschi in prima pagina!”.
    Mi sarebbe piaciuto, per esempio, che fosse stata altrettanto diffusa l’assoluzione del padre accusato di aver ucciso i due fratelli di Gravina, al quale è stato di recente persino riconosciuto un risarcimento.
    Forse verrà fuori che l’omicidio di Loris è davvero il caso rarissimo di un gesto lucido, volontario e premeditato da parte della madre, ma il diritto prevede che, nella commisurazione della pena, prima si raccolgano le prove e inoltre si contemplino tutti gli aspetti che portano al compimento di un reato. Cosa del tutto diversa dalla volontà di assolvere, giustificare, trasformare i carnefici in vittime, ma forse non condividiamo questo concetto di giustiza – che vale per donne e uomini – che informa la legge italiana.
    Se preferite, ritenete pure l’uccisione del più debole un fatto ineluttabile, e quindi inutile cercare di farci niente, negate l’esistenza della depressione post-parto, convinti che disturbi da manuale di psichiatria siano frottole, pensate pure che solo una sinergia isterica tra femministe e media abbia creato il finto problema delle troppe donne ammazzate e così via.

    • Non rivolgere (anche) a me queste parole.
      Il problema di ciò che sta dentro i manuali diagnostici è molto complesso, non puoi banalizzare attribuendo al tuo interlocutore parole come “fuffa” o “frottole”.
      Certo che ci sono delle condizioni di disturbo clinicamente significativo, ma tu parli di streghe e narrazioni psicoanalitiche (che tra l’altro non trovano spazio nei manuali diagnostici che sono ateorici).
      Poi non permetterti di attribuirmi delle idee sulla giustizia che non sono mie (“ritenete pure l’uccisione del più debole un fatto ineluttabile”).
      Infine, dato che rimproveri la misoginia e quindi di sessismo, sarebbe meglio non sostenere che la giustizia vale “per donne e uomini” perché la giustizia deve valere anche per persone come Herculine Barbin, non solo per quelli che tu ritieni i reali esseri umani sessuati.

        • Ti stavi rivolgendo a tutt*, quindi anche a me. Del resto la parola “fuffaroli” l’hai usata in un post per rispondere a me [17 dicembre 2014 alle 14:49].

          • Ma per chiederti se ritenevi misogino solo Bettelheim o tout court tutto ciò che viene dall’ambito della psicologia, psichiatria e psicoanalisi! Ti ho risposto sopra, il tuo precedente commento non l’avevo visto.

        • Ci sono autori in ambito psicoanalitico, e in modo particolare nel tema dell’attaccamento, che hanno costruito delle ipotesi, indimostrate, e anzi falsificate agevolmente negli anni successivi. In questi casi credo ci sia alla base un pregiudizio misogino. Possiamo aggiungere anche Stoller.
          Questi stili di pensiero purtroppo continuano a produrre effetti in costrutti patologizzanti, rigorosamente indimostrati e in voga in ambienti di psicoanalisi/psicodinamica, che sono quelli in cui ci si permette di essere laschi dalla realtà, e che vanno a colpire minoranze sessuali.

          Questa parte della tua domanda “… o tout court tutto ciò che viene dall’ambito della psicologia, psichiatria e psicoanalisi?” implica considerarmi un cretino, perché solo un cretino penserebbe una cosa del genere.

  31. @helena
    Non ho capito: sta paragonando il caso della Franzoni (giudicata colpevole e condannata per l’omicidio del figlio) e quello del padre dei due bambini di Gravina caduti in un pozzo? Il padre – prima del processo – fu additato come mostro fino alla fine, senza che lei ne abbia scritto però.

    Credo che sia questo il punto del discorso che si faceva: non era tanto su chi ammazza più chi, ma sulle narrazioni che accompagnano le morti violente, e sui pregiudizi e dell’ipocrisia che fanno emergere. Un po’ come la storia del #noroghidilibri. No ai roghi, ma solo dei libri che diciamo noi. No alle semplificazioni e alla caccia alle streghe, ma solo se si tratta di donne che uccidono o che potrebbero averlo fatto.

    Cosa c’entri poi il discorso dell’ineluttabilità della violenza del più forte sul più debole, non l’ho capito. Ognuno può avere una sua idea su come affrontare il problema, purché si capisca che il genere non c’entra più di quanto c’entri ognuna delle altre variabili che entrano in gioco, dalla genetica alle relazioni familiari. E come fece notare Alessandra Kustermann (direttrice e fondatrice di uno dei primi centri antiviolenza a Milano), qualche anno fa in un’intervista televisiva, gli uomini abusanti sono stati molto spesso bambini abusati dalle madri – e non dai padri come si credeva. Questo disse la Kustermann, rivolgendosi alle donne presenti (Gruber, Maraini e Mussolini), che però non raccolsero.

    (per inciso, posso ritenere il padre di Gravina di Puglia moralmente corresponsabile – insieme alla ex-moglie – dell’inferno che è stata la vita di Ciccio e Tore. Ma qui il mio giudizio (che è proprio questo) non conta: resta il fatto che non li ha ammazzati lui, e che se è stato diffamato, per legge ha diritto a un risarcimento).

  32. le statistiche di h. mi sembrano assurde, basta aprire in questi giorni (guarda caso) i giornali: c’è la settimana scorsa un infanticidio a imperia, ieri una madre che (pare) ha ucciso 8 figli in australia…io ho trovato dati su 100 casi “stimati”, ed è chiaro che qui esiste una quantità di sommerso e “non comprovato” fuori statistica enorme. segnalo questa sintesi: “Il 90% degli infanticidi commessi in Italia – dichiara l’Avv. to Gian Ettore Gassani, presidente dell’AMI, in base alle statistiche criminali – è commesso dalle madri e le cifre complessive parlano di un fenomeno di dimensioni allarmanti: “dal 1970 al 2008 ci sono stati 378 omicidi di bambini, con una media di circa 10 ogni anno. Le madri sono autrici soprattutto fino ai sei anni di età, i padri tra i 7 e i 12 anni. Ma il numero effettivo dei piccoli soppressi appena nati (ascrivibili ‘all’intervento materno’, n.d.e.) è incalcolabile”.
    e sui femminicidi questo ottimo pezzo di elio paoloni:
    http://eliopaoloni.jimdo.com/2013/04/08/l-invenzione-del-femminicidio/

    • Però scusa, senza polemica davvero, ma non mi puoi tirare in ballo l’Australia :) Poi se prendi i 378 e la relativa media di circa 10 ogni anno le cifre si avvicinano molto di più a quelle da me riportate che alle centinaia da te “stimate”. Il che fa pensare che le mie fonti e quelle dell’avvocato da te citato sono le stesse. Ora, a meno che tu non pretenda che si continui a parlare degli infanticidi avvenuti decenni fa è perlomeno spiegabile il perché si parli con più frequenza dei femminicidi.

      Visto che non ti piace la dicitura ti riporto le definizioni internazionali: intimate femicide or intimate partner homicide come dicono quei buontemponi dell’organizzazione mondiale della salute
      http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/77421/1/WHO_RHR_12.38_eng.pdf

  33. la corsini mi provoca sempre una benefica vasodilatazione della carotide…
    preciso, non che non trovi cmq ben scritto e spesso acuto il pezzo di helena j., è proprio il “sostrato” che non mi convince…
    a me sembra che in un blog non sia obbligatorio restare alla superficie di un facile e per di più parziale sociologismo…il caso in questione potrebbe essere occasione per parlare profondamente dell’intima connessione fra passione e violenza,di quanto la violenza (distinta dalla prevaricazione) sia segno della passione, e spesso ne sia prodotta. bataille ci spiega poi che la passione erotica CONSISTE esclusivamente di violenza, da quella lacerante del denudamento a quella forsennata della penetrazione (la tenerezza, aggiunge poi levinas, produce solo la forma integra che la passione sconvolgerà)…peraltro io sospetto fortemente che sia stata una passione erotica, e un immenso desiderio di felicità, a cui il bambino evidentemente costituiva un ostacolo,il movente del delitto.
    tutto ciò ovviamente (pare sia necessario precisarlo)non significa giustificare o ammettere il delitto…

    • Livio, può darsi, ma per ora non ne sappiamo davvero abbastanza.
      Cmq è interessante il richiamo alla passione. Secondo me il quadro più preciso, sematicamente più ampio, in cui si collocano certi delitti è quello del tragico: inteso come esito di un conflitto insostenibile per chi ne diviene veicolo.
      Però anche qui non è mai il fatto in sé che ce lo dice, qualche che esso sia. Lo sono, in genere, gli infanticidi in senso stretto, quelli in cui la madre poi si rende conto di quel che ha fatto e ne rimane devastata per la vita.
      Lo sono altrettanto diverse stragi di famiglia perpetrate da uomini.
      Poi non nego che esistono persone che invece non patiscono né prima né dopo, ai quali insomma parole come “passione” o “tragedia” non s’attagliano.
      Persone prive di empatia e di sentimenti “passionali” che – giusto per orientarsi – la psichiatria classificherebbe sotto un differente profilo del disturbo di personalità delle prime. Questo non per dire che “tutti gli assassini sono pazzi e quindi irresponsabili”.

  34. @ (h)
    già, però stai certo che le statistiche sul filicidio, e cioè sul delitto più ne-fando (in-dicibile), atroce, infamante, quello che uccide a sua volta socialmente, come quelle del suo corrispondente inverso, l’incesto, saranno sempre le più sottostimate.
    magari 100 è un numero arbitrario… ma proprio perché vogliamo capire “insieme” senza polemica, ti pare in tutta onestà che sia implausibile, su una base 10 di donne condannate, quando ad es. l’evasione fiscale stimata è oltre 10 volte quella accertata?

    @ helena
    bene, mi fa piacere che trovi interessante la passione, perché per la verità su NI, che pure è un più che ottimo blog, mi pare che ogni volta che si esce dal sociologismo e si tocca o il trascendente o l’interiore, si levano grida di scandalo… ogni volta cioè che si scende sotto la superficie…ne sappiamo poco? appunto dobbiamo saperne…
    tragedia, certo…ma euripide letto con gli occhi dei moderni, se vogliamo davvero provare a capire, e non fare archeologia culturale…

    • Livio, io non ho idea se siano più o meno plausibili. Personalmente non mi cambia nulla che siano 10 o 100 o 1000, ho solo postato le fonti ritenute più autorevoli, che si basano sui morti denunciati, non sulle madri condannate. Nel 2013 in Italia sono nati 514308 bambini.

      http://www.istat.it/it/archivio/140132

  35. liviobo scrive: già, però stai certo che le statistiche sul filicidio (…)come quelle sull’incesto, saranno sempre le più sottostimate”.

    sottoscrivo. Aggiungendo che lo stesso vale per la pedofilia femminile (dentro e fuori dalla famiglia), altro immenso sommerso.

    • Cara Diana, le consiglio, se non lo conosce, “Donna contro Donna” ovvero “Woman’s Inhumanity to Woman” di Phyllis Chesler, e magari anche di andare a fondo di quel che mi pare un suo problema con il femminile. Perché il fatto che le donne, specie quelle più vicine e in particolare le nostre madri, sono spesso i primi aggressori delle donne/figlie, purtroppo mi è chiarissimo. Ma non è indispensabile portarsi dietro per la vita tutto quel male subito velenoso.

      • ah, siamo già arrivate al “mio problema”. Il passo successivo è il ban.

        Quanto ai testi di riferimento, ne ho letti un bel po’. Nessuno italiano, però. Come lei saprà. Occupandomi di abusi infantili da trent’anni, ho un quadro abbastanza preciso della situazione.

        IL mio problema è il suo problema col mio problema, ecc. all’infinito, come un cane che si morde la coda. Il fatto che ognuno abbia la sua storia non cambia di una virgola la realtà dei fatti: sono intervenuta qui sulla semplificazione arcaica e l’infondatezza di certe “narrazioni” (es. la caccia alle streghe nel caso Panarello); sul doppio standard nel giudizio sulla violenza di uomini e donne; e sull’ipocrisia di una battaglia “contro gli stereotipi” che in realtà è solo la riproposizione degli stessi stereotipi capovolti.

        Il mio problema, invece, è che quando scrivo certe cose, mi si dice che ho un problema, subito prima di bannarmi come troll.

        • p.s. ah, e quando poi si arriva al “Cara Diana”, praticamente sono spacciata. C’è anche chi mi scrive “Tesoro, tu hai un problema”. O “Amore mio”… ecc. Ah, la sorellanza!

  36. En passant. Invito chiunque, a cominciare dal sottoscritto, a tenere distinti i manuali di scienze comportamentali dalla letteratura(per le stesse ragioni per cui a Celine perdoniamo “bagatelle per un massacro” et similari)

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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