Stanze di confine

di Emilio Rentocchini

2

A gh’è del gran sgumèdi in gir per l’èra
mèsa sfaltèda e mèsa a prê, la lus
ch’la tàca a tavanèr tra tèra e gèra
la s’ingróggna ogni tant e la s’ardùs
davanti a n’èla scura ch’la la sèra
e a fa sintìr al cèr d’èsers intrùs
in óna guèra a ósta. N’èter dè,
straniér da l’univèrs, as dèsda acsè.

 

Ci sono delle gran sgommate in giro per l’aia
metà asfaltata e metà a prato, la luce
che inizia a vagolare tra terra e ghiaia
s’irrigidisce ogni tanto e si riduce
davanti a un’ala scura che la serra
e fa sentire al chiarore d’essersi intruso
in una guerra alla cieca. Un nuovo dì,
estraneo all’universo, sorge così.

19

 

Véver e basta uguèl a trasparìr
e andèr via vèirgin, sòul chi gh’la fa a fèr
dla sô realtê un sìmbol al sa sintìr
d’èsr esistî; l’è dèintr al spèc mea cèr,
panê, ch’i armàgnen lè i nòster respìr
mai pèrs: nuèter, segrét, in al pensèr
di èter. Pàlida luna al dopmesdè
t’ê la risposta in me ai dè d’in dè.

 

Vivere e basta equivale a trasparire
e andarsene vergini, solo chi fa
della sua realtà un simbolo sente
di essere stato; è nello specchio
appannato che restano i nostri respiri
non perduti: noi, segreti, nel pensiero
degli altri. Pallida luna del pomeriggio
sei la risposta, in me, ai giorni comuni.

 

55

 

Amòur, insènni d’abitèr in ch’l’èter
per condivédr al sô spesòur da dèinter:
finî, ecco chè. Po’ per al rest gnint’èter
che svernèr furastér, mèinter d’un mèinter.
A pasa eternitê ch’in dìsen èter
in ogni limadùra seinsa cèinter
e anch dèintr al sèimpr un mèinter via ch’as pèrd.
Ma mèintr at guèrd, s’t’em guèrd, at guèd al sguèrd.

 

L’amore è il sogno di abitare l’altro
condividendo il suo spessore dall’interno:
fine, ecco qui. Per il resto nient’altro
che svernare da forestiero, mentre di un mentre.
Passano eternità che non dicono altro
in ogni limatura senza centro
e anche dentro al sempre un mentre si disperde.
Mentre ti guardo, invece, se mi guardi, guado il tuo sguardo.

 

56

 

Gióst e ingióst dir che chi dróva al dialètt
l’è po’ perciò girê a l’indrê, vést che
scréver l’è andèr in sèirca e chi s’ghe mètt
-qualsiasi al sia cal sèins intèren che
lò a ciaparà- sèimper al catrà nètt
l’avgnìr. Bèl dir in dialètt ai can, se
apèina un bris randàg, ai gat ch’i nàsen
a l’improvìs su un mur, ch’i mòrt i arnàsen.

 

Giusto e ingiusto affermare che chi usa il dialetto
è volto al passato, visto che
scrivere è un ricercare e chi cerca
-in qualunque direzione interiore
lo faccia- troverà sempre e comunque
il futuro. Che bello dire in dialetto a cani
appena un poco randagi, ai gatti che sbocciano
all’improvviso su un muro, che i morti rinascono.

 

72

 

L’an’m capiva, la gata, l’am sintìva;
con i sô òc dla bonanòt, da cin,
la m’arciamèva a sé, in sé la saìva
che chi dòrem, lìè dèsd svèin a la fin
e al sènn un insugnèrs la mòrt in riva:
e murìr andèr via dop ròsi e spin
da ch’l’ètra pèrt dal mèl, quèlla scaièda
e vòda. O no? Tra mah e chissà a gh’è strèda.

 

Non mi capiva, la gatta, mi sentiva;
con il suo sguardo della buonanotte, da piccino,
mi richiamava a sé, in sé sapeva
che chi dorme veglia vicino alla fine
e che il sonno è un sognare la morte sulla riva:
mentre morire fa uscire dopo rose e spine
dall’altra parte del dolore, quella errata
e vuota. O no? Tra mah e chissà c’è strada.

 

76

 

La travadura alséra ch’an dre an
la tén insèmm col blèdegh viv e mòrt
la fa al profómm di pèmm sul cantaràn:
e chi la ciàma spiùra di risòrt
o chi la tèmm per via dal sigh di can
ch’i rèvn atàch ai óss d’òrba di òrt
in bràsa a la campagna, fin ai fòs
do l’aqua la pèr l’ànma e i sas i òs.

 

La travatura leggera, che anno dopo anno
tiene insieme col solletico i vivi e i morti,
ha il profumo dei pomi sul cantarano:
e chi la chiama prurito dei risorti
o chi la teme per via del guaito dei cani
che raschiano contro gli usci tenebrosi degli orti
in braccio alla campagna, fino ai fossi
dove l’acqua sembra l’anima e i sassi ossa.

———-

Emilio Rentocchini, Stanze di confine, Il Fiorino 2014

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2 Commenti

  1. Ho amato questo poeta fin dalla prima ottava letta. Anche qui ritrovo un ampio pensiero nascere da cose comuni, “dagli usci tenebrosi degli orti…”

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francesca matteoni
francesca matteonihttp://orso-polare.blogspot.com
Sono nata nel 1975. Curo laboratori di tarocchi intuitivi e poesia e racconto fiabe. Fra i miei libri di poesia: Artico (Crocetti 2005), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Acquabuia (Aragno 2014). Ho pubblicato un romanzo, Tutti gli altri (Tunué, 2014). Come ricercatrice in storia ho pubblicato questi libri: Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna (Aras 2014) e, con il professor Owen Davies, Executing Magic in the Modern Era: Criminal Bodies and the Gallows in Popular Medicine (Palgrave, 2017). I miei ultimi libri sono il saggio Dal Matto al Mondo. Viaggio poetico nei tarocchi (effequ, 2019), il testo di poesia Libro di Hor con immagini di Ginevra Ballati (Vydia, 2019), e un mio saggio nel libro La scommessa psichedelica (Quodlibet 2020) a cura di Federico di Vita. Il mio ripostiglio si trova qui: http://orso-polare.blogspot.com/
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