Paegnion – Ecloga

di Daniele Ventre

Ardebat pastor Chorileus Amaryllida pulchram;
saepe inter uirides umbrosa cacumina fagos
pectide temptabat chordas cantusque mouebat
uersibus indoctis, qualis per amara uirecta
auditur desiderio cantare palumbus,
at circum rident nemora inter densa cicadae;
talia tunc Chorileus; referebant omnia siluae:
“Candida, nunc per te resonant, Amarylli, canora
pectide iam frondes, iam amens lymphatus amantis
dicere fert animus uesano pectore flammas
tu mihi quas fundis rapiens in fomite cordis.
Incipe Acidalios, Erato, nunc incipe uersus.
Forsan et haec docti fiducia carmina ridet
cum tenui faciles modulatus harundine uersus;
dum mea delibet teneras uox flebilis aures,
dum deus ille ferox adsit miseratus amores,
cui per Acidalios fluctus sapiens quoque cedit,
non dubito suaues inter strepere anser olores.
Ridear a coruis, sat erit, dum dignus amari.
Incipe Acidalios, Erato, nunc incipe uersus.
Te uidi flores teneros per prata legentem,
et molles uiolas et purpureos narcissos
puniceosque crocos et Apollineos hyacinthos,
solam ludentem; tunc post carecta latebam;
ut uidi, perii, mollis me perculit error:
tunc subrisisti ac nigras uer disicit umbras.
Incipe Acidalios, Erato, nunc incipe uersus.
Nunc me per densos saltus perque aspera ducit
pascua tempestas rapidique potentia solis:
rara per umbrosas ualles fons limpida currit
raraque per dumos errantem sublevat umbra,
cum te per fontesque umbrasque, Amarylli, reuiso,
te per aquas riuosque nouos, per laeta uirecta,
nec possum currente sitim restinguere riuo,
frigore nec possum aut umbra sedare calorem.
Incipe Acidalios, Erato, nunc incipe uersus.
Te clamant, Amarylli, greges, te fronde uirenti
omnis ager nomenque tuum, stupet inscia turba
pastorum -canit omne nemus, canit aspera tellus-
mirantur quae monstra canant, cur lentus in umbra
formosam doceam resonare Amaryllida siluas.
Incipe Acidalios, Erato, nunc incipe uersus.
Cumque uenit Titan fulgentia sidera condens,
cumque uenit noctuque refert sua lumina Phoebe
praecipitans, suadent labentia sidera somnos,
semper amor nomenque tuum laudesque canuntur.
Incipe Acidalios, Erato, nunc incipe uersus.
Stat nocturna quies, animalia fessa sopore
gaudent, omne pecus stabulis, nec uertice montis
iam uigilant beluae per amica silentia Lunae:
ast ego te semper uideo carmenque susurro;
cum surgit croceum linquens Aurora cubile
cumque dies, reuocans hominum pecorisque labores,
ast ego te semper reuoco carmenque susurro,
carmina peruolitant, liquidas perduntur in auras.
Incipe Acidalios, Erato, nunc incipe uersus.
Iam mordet rumor gelidus, nos mordet iniqua
invidia aut stricta spectant iam fronte Catones:
nec tamen insontes formident fascina amantes
rumoresque senum: conturbent basia uersum
basia conturbent uersum carmenque malignum.
Incipe Acidalios, Erato nunc incipe uersus.
O iam nunc possim leuis uolitare per auras
et mare nauigerum et montis transire per altos,
ut suauem libem tua per labella Lyaeum,
et tua sit solaciolum mordere labella!
Somnia quae fingo dum torrida uoluitur aestas,
expectoque diem cum uerso uertice caeli
autumnae pluuio perflabunt turbine nubes.
Desine Acidalios, Erato, iam desine uersus.”
Talia dicebat Chorileus cantusque mouebat
formosam resonare docens Amaryllida siluas
uersibus indoctis, studio iactatus inani;
et circum raucas dicunt risisse cicadas:
solatur Chorileus nec tristia carmina curat.

_________________

[Autotraduzione

Desiderava il pastore Corileo Amarilli graziosa:
spesso tra i faggi in rigoglio, in mezzo alle cime ombreggiate,
con il suo plettro tentava le corde e levava i suoi canti
con i suoi versi non dòtti, così come si ode il colombo
per desiderio cantare in mezzo agli amari roveti,
ma tra il più folto dei boschi ne ridono intorno cicale;
sì così allora Corileo; rendevano ogni eco le selve:
“Ora del plettro canoro risuonano, chiara Amarilli,
già queste fronde per te, già ubriaco il mio animo folle
di innamorato mi spinge dal cuore impazzito a cantare
fiamme che dentro mi versi e rapisci all’esca del cuore.
Erato, intonali adesso, intonali i versi acidalii.
Forse alterigia di dotto mi deriderà questi canti,
ché ho modulato sul flauto sottile i miei facili versi;
solo che giunga alle orecchie gentili il mio canto dimesso,
solo m’assista pietoso d’amore il terribile dio
cui per i flutti acidalii perfino il sapiente si piega,
dubbi non ne ho a strepitare da oca fra cigni gentili.
Resti io deriso dai corvi, mi basta esser degno d’amore.
Erato, intonali adesso, intonali i versi acidalii.
Io t’ho veduta sui prati raccogliere molli corolle
sia le gentili viole, e insieme i purpurei narcisi,
sia con i crochi sgargianti i giacinti sacri ad Apollo,
ti trastullavi da sola: io dietro i cespugli ero occulto,
come ti vidi, perii, mi percosse dolce sgomento,
mi sorridesti tu, allora, scacciò primavera nere ombre.
Erato, intonali adesso, intonali i versi acidalii.
Ora attraverso le balze boscose e fra i pascoli impervi
me la stagione e il furore del sole impetuoso conduce;
rada la limpida fonte per valli ombreggiate serpeggia
rada fra i cespi anche l’ombra per me peregrino è conforto,
se per le fonti e per le ombre te sempre, Amarilli, ritrovo,
te per le stille dei nuovi ruscelli e i ridenti cespugli,
pure non posso al ruscello che scorre ammansire la sete,
pure nel fresco e nell’ombra non riesco a placare l’ardore.
Erato, intonali adesso, intonali i versi acidalii.
Gridano te, Amarilli, le greggi e te grida e il tuo nome
tutto quest’agro dai verdi dumeti, e stupisce l’ignara
turba, i pastori -ogni bosco ti canta, aspra terra ti canta-
chiedono quale prodigio ti canti e perché quieto all’ombra
a riecheggiare Amarilli graziosa io ammaestri le selve
Erato, intonali adesso, intonali i versi acidalii.
Quando il Titano si avanza e nasconde gli astri lucenti,
quando s’avanza di notte e riporta Febe i suoi raggi
precipitando, ma al sonno persuadono gli astri fugaci,
sempre il tuo amore e il tuo nome si cantano con le tue lodi.
Erato, intonali adesso, intonali i versi acidalii.
Resta la quiete notturna, gli stanchi animali del sonno
godono e il gregge dei suoi ripari e già al picco del monte
belve non vegliano più fra silenzi amici di Luna:
io tuttavia senza posa ti vedo e il tuo incanto sussurro;
quando si leva l’Aurora lasciando il suo letto di croco,
sorge anche il giorno e richiama i mestieri d’uomini e gregge,
io tuttavia senza posa ti chiamo e il tuo incanto sussurro,
volano via questi canti, perduti alle limpide brezze.
Erato, intonali adesso, intonali i versi acidalii.
Gelida ormai maldicenza ci morde e ci morde l’invidia
senza giustizia, o ci spiano a fronte aggrottata i Catoni,
ma gli incolpevoli amanti non temano l’occhio maligno
le maldicenze dei vecchi: disturbino i baci quel canto
turbino i baci quel canto insieme all’incanto malvagio.
Erato, intonali adesso, intonali i versi acidalii.
Ah così io possa oramai fra le lievi brezze volare,
scorrere il mare percorso da navi e le grandi montagne,
per delibare dai tuoi libami il soave Lieo,
e mordicchiare per mio conforto il tuo labbro di miele!
Sogni che immagino, mentre l’estate infocata finisce,
nell’aspettare quel giorno in cui muti l’asse del cielo,
e con il vento piovorno ci soffino nubi d’autunno.
Erato, smettili ormai, sì smettili i versi Acidalii”.
Sì queste voci spiegava Corìleo e levava i suoi canti
e riecheggiare Amarilli graziosa insegnava alle selve
con i suoi versi non dòtti, obbedendo a vana passione;
dicono poi che d’intorno ridessero roche cicale:
ma si consola Corileo e di tristi canti non cura.]

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5 Commenti

  1. … festinat marmota, in silva nuces
    colligit ad colemanum satis faciendum.
    Ille, amans, amanti foliorum molle
    parat cubile …
    “Venus in silvis”, lib. IV, 36-39

  2. bello!

    [ Monteverdi – Guarini ]

    Crud’Amarilli, che col nom’ancora

    Crud’Amarilli, che col nom’ancora
    D’amar, ahi lasso! amaramente insegni,
    Amarilli, del candido ligustro
    Più candida più bella,
    Ma de l’àspido sordo
    E più sorda più fèra e più fugace,
    Poi che col dir t’offendo,
    i’ mi morrò tacendo.

    Ma grideran per me le piagge e i monti
    E questa selva, a cui
    Sì spesso li tuo bel nome
    Di risonar insegno.
    Per me piangendo i fonti
    E mormorando i venti,
    Diranno i miei lamenti;
    Parlerà nel mie volto
    La pietade e ‘l dolore;
    E se fia muta ogn’altra cosa, al fine
    Parlerà il mio morire,
    E ti dirà la morte il mio martire.

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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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