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“The Kingfisher’s Soul”, Robert Adamson

fishing

Rituali del Lungolago

Percorri la città in auto, non fermarti
all’hotel, va oltre il pesce-spada al neon,
guarda i pellicani appollaiati
sui lampioni, accosta e parcheggia
vicino al lago. È luna nuova
e le tule puzzano di kerosene che brucia.

Uomini guadano il lago,
seguono bambini che fanno strada
con lucignoli, per la pesca di scampi.
Arrivati con le famiglie
in auto e camion, alcuni portano tende.
Dietro scuri chiusi nel parcheggio dei caravan

mariti si sbronzano o se la squagliano.
Quando arriva l’ultimo gruppo col bottino,
sfavillano falò in fusti roventi –
mettono a bollire secchi d’acqua salata
e suonano musica country o rock.
Fanno una specie di danza, non proprio una danza,

sbrigando i rituali, a volte
scoppia una zuffa, o ci scappano persino
coltellate. Ma per lo più è un passo a due
e una cantata. Banchettano col bottino –
sbucciano scampi e bevono birra,
fanno toast o fanno bollire bricchi al canto dei chiurli.

 

 

Ungaretti a Broken Bay

Un airone azzurro, in cerca di cibo per la prole,
volteggia intorno a una cicala invischiata – poi
si ferma, assume una postura di caccia.
Una famiglia di fringuelli testa-rossa
sfreccia da un buco in un ceppo
cavo d’eucalipto.
Gatti in cerca di teste di pesce fra i rifiuti
vicino alla lucidatrice; ratti d’acqua
nidificano sotto assi sbiancate dal sole
sporgenti dalla riva fangosa.
La marea è a favore e Giuseppe
dispone le sue lunghe lenze –
Getta l’ancorotto:
quando farà presa sul fondo
seguiranno le esche, coi loro
filetti di triglia spaccati,
bloccati dall’uncino – ami punta 5.0 –
queste esche, che ancora trasudano sangue,
fluttueranno nella colonna d’acqua.

 

 

L’anima del martin pescatore
(per Juno)

Un’onda colpisce la costa di massi irregolari,
esplode, s’apre in rosa di schizzi, un’ala fluida
ricade poi in gocciole sull’onda: una spuma
di sangue arterioso. L’occhio è beffato da ciò che
il cervello intende – lo spirito spicca il volo
a ogni guizzo di intuizione – piume di fumo
si sfanno nell’aria mentre planiamo verso la chiarezza.

Ai vecchi tempi pensavo che l’arte
di pura immaginazione volasse più in alto
di ogni cosa reale. Ora sento un palpito leggero
d’uccello nella mia pulsazione, in unione col cielo.
Allora, una parte di me era solo a metà viva:
il tuo respiro m’ha dissolto dagli occhi un bosco di fumo
e ha portato in vita l’altra metà. Non c’è

prova, niente di tangibile, e nessun filosofo
di razza a considerare possibilità,
ponderare piume, o anime. Un giorno
qualche prova potrebbe sgorgare da indizi
come fece il corpo, che se la cavò nel rigettare i dolci veleni,
la lusinga del canto oscuro. Sei arrivata con vento
nello sguardo, a spazzare via strazi e rovelli,

a schernire il fatale comando del Re d’Inferno;
tu creasti compleanni e gli zigomi
di famiglia – io ero al meglio, vita facile
e vena felice, nella soffice culla del pensiero.
Ripulii da falsità della memoria la stessa mia memoria,
le sue stangate e segna-punti, quelle ambigue poesie –
terso canto d’uccello, non canto-umano, udire si mutò

in reti e vibrazioni offuscate, aria ronzante,
satura di falsità e sussurri. Sentivo fogli bianchi,
rientri creati da immagini, e tiravo avanti
con forme create da consuetudini artefatte.
Mi insegnasti a ponderare la messe della luce.
C’era fulgida innocenza nel tuo sillabare,
ho appreso a leggere di nuovo attraverso occhi feriti.

I filiformi ragni della resa sfolgoravano di statica
elettricità lungo la pelle, vene sottili, un ricamo di
fili ramati, conduttori di pena al sistema
nervoso: tutti pesi piuma, per la tempra del tuo sangue.
Hai recato con te luce nuova, in cui vivere
con cui leggere – prima del tuo arrivo, ogni volta
che scorgevo un barlume del mio sangue, pareva che

mi svenassi d’una cascata di cellule brillanti.
Nubi d’eufonia, create da quella perdita, divenivano
buchi nel pensiero, spacciandosi per vie di fuga. Ora tu
sei una rapida, ali per i tubicini delle mie
coronarie. Dormimmo insieme quando arrangiasti
un letto nella tua casa-albero: ore senza narcotici,
la pace apparve e disse: Presto, il futuro vi aspetta.

Entrai nel giorno, seguendo il tuo sguardo.

 

 

Camminando lungo il fiume

Camminava semi-sommerso
attraverso i suoi pensieri,
emozioni, un intrico di tralci
e rampicanti.

Le sue parole erano fringuelli
in volo davanti a lui
che oscillava le braccia –
e sparpagliava paragrafi.

Scroscio di cascata
avanti sul cammino,
parole in schegge cricchiavano
a ogni passo. Giunse in

un luogo quieto, frasi opulente
in boccio: unghia di strega
dai frutti porporini, le bacche
azzurro scuro del pruno.

 

 

I bianchetti

Il primo gelo d’inverno
brucia tenere foglie
di basilico in vasi di terracotta,

ricopre felci zampa
di canguro; bianchi colli di pelliccia
su bocci cremisi.

Gli storni tenaci
volano in giro, beccando avanzi;
cantando, cric, cric.

Ho letto le notizie del mattino
e ho pensato
agli occhi impassibili

dei gabbiani australiani –
i loro becchi straziano i bianchetti ancora vivi

dentro scatole di plastica sul molo
dell’Emporio del Pescatore.

Nel nostro giardino, una pezza
di luce solare si sposta
sull’erba, e mangia i cristalli di ghiaccio.

 

 

Narciso su uno yatch da pesca

La superficie del fiume
in balia di un gorgo
e l’ala pungente
di un vento di ponente

specchi impazziti
in ogni onda che s’impenna
riflettendo facce
cubiste su ogni sponda

lo sciabordio dell’acqua
sul fianco della barca
che sibila e tossisce
l’uccello gatto canta

alla foce del fiume
dove l’acqua dolce
incontra i salmastri
flutti sciabordanti

ascolto gli echi
nello scafo mentre il V8
romba sbronzo di fumi
di benzina ed esige

più musica dark
la luce del sole spacca
i riflessi e la schiuma
bianca dell’onda fa centro

 

 

La rete
(alla maniera di Attila József)

I ricci si sfoltiscono, fiocchi secchi
mi fluttuano intorno alle spalle –
ho perso di nuovo la stilografica.
Zio Eric, l’ultimo pescatore professionista
in famiglia, è morto. Non temere
però, non sono solo.

Sciabico il circolo ematico
e i nervi, la mia rete da pesca genetica,
in queste acque scure
catturo alcune scintille di luce –
la mia rete è strappata, così la stendo
e prendo un ago.

Ora che la mia rete è stesa
sul filo del bucato, vedo
scaglie traslucide, rametti bianchi
da inarcate acacie di fiume; nodi contorti
di fibre da code di pesce nastro;
stelle in un firmamento.

 

 

*

 

 

The Lakeside Rituals

Drive through the town, don’t stop
at the hotel, pass the marlin with its neon sword,
notice the pelicans perched
on the streetlights, pull up and park
by the lake. It’s the dark of the moon
and the bulrushes smell of burning kerosene.

Men wade through lake water,
they follow children who lead the way
with flaming wicks, they are scoop-netting prawns.
They arrived with their families
in cars and trucks, some bring tents.
Behind drawn blinds in the caravan park

husbands get drunk or slip away.
When the last group comes in with their catch,
fires glow in red-hot drums –
they boil buckets of salt water
and play country music or rock.
They do a kind of dance, not really dancing,

attending to rituals, sometimes
a fist-fight will break out, or even a stabbing
may happen. It’s mainly a double-shuffle
and a song. Then they feast on the catch –
peeling prawns and drinking beer,
making toast or boiling billies as the curlews call.

 

 

Ungaretti at Broken Bay

A blue heron, foraging for its young,
circles a stranded cicada – then
stops, assuming a position of aim.
A family of redhead finches
pour out from a hole in a hollow
tree stump of yellowbox.
Cats scavenge for fish heads
by the cleaning slab; water rats
nest under sun-bleached planks
that jut from a mudbank.
The tide’s right and Giuseppe
prepares to set his long lines –
He throws out the kellick:
when it takes a grip on the bottom
the traces will follow, with their
butterflied fillets of mullet,
pinned to hollow – point 5.0 hooks –
these baits, still seeping blood,
will flutter through the water column.

 

 

The Kingfisher’s Soul
(for Juno)

A wave hits the shoreline of broken boulders,
explodes, fans into fine spray, a fluid wing
then drops back onto the tide: a spume
of arterial blood. Our eyes can be gulled by what
the brain takes in – our spirits take flight
each time we catch sight out – feathers of smoke
dissolve in air as we glide towards clarity.

In the old days I used to think art
that was purely imagined could fly higher
than anything real. Now I feel a small fluttering
bird in my own pulse, a connection to sky.
Back then a part of me was only half alive:
your breath blew a thicket of smoke from my eyes
and brought that half to life. There’s no

evidence, nothing tangible, and no philosopher
of blood considering possibilities,
weighting up feathers, or souls. One day
some evidence could spring from shadows
as my body did in rejecting the delicious poisons,
the lure of dark song. You came with a wind
in your gaze, flinging away trouble’s screw,

laughing at the King of Hell’s weird command;
you created birthdays and the cheekbones
of family – I was up, gliding through life
and my fabrications, thought’s soft cradle.
I scoured memory’s tricks from my own memory,
its shots and score cards, those ambiguous lyrics –
clear bird song was not human-song, hearing became

nets and shadowy vibrations, the purring
air, full of whispers and lies. I felt blank pages,
indentations created by images, getting by
with the shapes I made from crafted habits.
You taught me how to weigh the harvest of light.
There was bright innocence in your spelling,
I learned to read again through wounded eyes.

Wispy spiders of withdrawal sparked with static
electricity across skin, tiny veins, a tracery of
coppery wires, conducting pain to nerve
patterns: all lightweights, to your blood’s iron.
You brought along new light to live in
as well as read with – before you came, whenever
I caught a glimpse of my own blood, it seemed

a waterfall of bright cells as it bled away.
Clouds of euphony, created by its loss, became
holes in thinking, pretend escape hatches. You’re now
a rush, wings through the channels of my coronary
arteries. We slept together when you conjured
a bed in your Paddington tree-house: barbless hours,
peace appeared and said: Soon, the future awaits you.

I stepped into the day, by following your gaze.

 

 

Walking by the River

He walked waist-deep
through his thoughts,
emotions, a tangle of vines
and tree-creepers.

His words were finches,
flying before him
as he swung his arms –
scrambled paragraphs.

A waterfall sounded
ahead of his walk,
chipped words cracked
with each step. He came to

a calm place, opulent phrases
in bloom: purple-fruited
pigface, the blackthorn’s
blue-black sloe.

 

 

The Whitebait

The first winter frost
burns delicate leaves
of basil in terracotta pots,

coats the kangaroo-paw
ferns; white fur collars
on crimson buds.

The hardy starlings
flit about, pecking dirt;
singing, click, click.

I read the morning news
and then think of
the unblinking eyes

of silver gulls –
their beaks slash at whitebait still kicking

in plastic boxes on the wharf
of the Fisherman’s Co-op.

In our garden, a patch
of sunlight moves across
the grass, eating the crystals of ice.

 

 

Narkissos on a Gamefishing Boat

The surface of the river
caught by an eddy
and the clipping
wing of a westerly wind

crazed mirrors
in every leaping wave
reflecting cubist
faces on each edge

the water lapping
on the side of the boat
hissing and coughing
catbird songs

at the river’s mouth
where sweet water
meets the salt
tide’s lapping tongue

I listen to echoes
in the hull as the V8
thrums drunk on petrol
fumes and calling

for more dark music
the sunlight shatters
reflections and the white
foam of the wave hits home

 

 

The net
(after Attila József)

Curly hair’s thinning, dry flakes
drift around my shoulders –
I’ve lost my fountain pen again.
Uncle Eric, the family’s last professional
fisherman, is dead. Don’t worry
though, I’m not alone.

I trawl my bloodstream
and nerves, my genetic fishing net,
in these dark waters
catch a few sparks of light –
my mesh’s torn, so I hang it up
and grab a needle.

Now my net’s hung out
on the clothes line, I can see
translucent scales, white twigs
from swayback river gums; twisted knots
of hair from ribbonfish tails;
stars in a firmament.

 

*

 

I testi sono tratti da Robert Adamson, The Kingfisher’s Soul (Bloodaxe 2009). La traduzione è di Angela D’Ambra.

 

*

Robert Adamson è nato a Sydney nel 1943. Nella tarda adolescenza e durante la prima maturità ha trascorso dei periodi in istituti correzionali e in carcere: è lì che ha cominciato a scrivere poesia. La sua prima raccolta, Canticles on the Skin, è del 1970; in seguito ha pubblicato più di una dozzina di altri volumi, tra cui The Clean Dark (1989) e The Goldfinches of Baghdad (2006), premiati in Australia con prestigiosi riconoscimenti. La poesia di Adamson riguarda l’esperienza della reclusione, la vita nei territori dell’Hawkesbury River, dove ha abitato (e pescato) per molti anni, le relazioni personali, e i rapporti coi suoi colleghi e mentori, tra cui il poeta statunitense Robert Duncan. Oggi insegna poesia alla University of Technology di Sidney.

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1 commento

  1. sono bellissime (in italiano, come le ho lette) fuori dal mondo, nel mondo dei giorni in cui non si sa

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