Da “Il Martirio Dei Poeti”

di Andrea Bassani

 

Luci nel buio

Le luci dei lampioni si sono spente.
Nella penombra fiorentina prosegue
la parata delle anime sognanti.

Io vedo la tristezza dove tu non vedi:
dietro le maschere, sotto i fondotinta
i volti non splendono.
Vedo paure, incertezze, colpi di tosse,
il suono ansioso dei tacchi
che pestano rimorsi
e il sangue innocente dei ciottoli
che li assorbono.

Vedo ragazzi simili a negozi,
illuminati a giorno da decine di faretti
ma chiusi a chiave,
vuoti di voci e di gente.
E vedo la malinconia,
goccia a goccia dai tetti
scendere giù come vernice,
fino a noi che ne siamo dipinti.

Nell’aria scie chimiche di profumi,
stravaganti vanità, inutili suppellettili,
borse, cappelli, cinture di coccodrillo,
smalti, rossetti, orologi preziosi
e lancette stanche di gridare: “è tempo!”.

Un niente cibernetico è divenuto cupola regnante,
un substrato di cielo insonorizzante.

Una puttana si avvicina,
è cosciente.

Le puttane sanno tutto del buio
e nel buio vedono tutto.

Le puttane sono molto sagge:
sono le sole rimaste sincere
su queste strade di menzogna.

 

Invecchiare

Oggi comprendo cosa sia invecchiare,
davanti al desiderio di un bacio che non avrò,
per i tuoi occhi giovani
davanti ai quali sono trasparente.

La società ti ha insegnato
che sono troppo vecchio per te.
Pertanto apprendo cosa mi aspetta:
oggi comprendo cosa sia invecchiare.
E tremo come l’ombra al calar del lume.

Non ho bisogno di una barba bianca per saperlo,
non più mi occorre un bastone
né devo attendere una dentiera.
Adesso mi è chiaro:
invecchiare è avere freddo
in un caldo pomeriggio d’estate.

 

Ishaan

Ishaan ha smarrito la strada.
Dall’India è partito e va veloce ad occidente.
Vorrebbe perdersi e dimenticare
l’odore di morte, l’oriente,
la bocca ferita d’infante affamata,
gli odori speziati
che saziano soltanto l’ambiente.

Ishaan ha smarrito la strada.
Sotto cortine di lumi infernali
e costumi di scena,
non più corone né mandala,
non più mantra.
Ishaan non indossa più seta,
più giada né ambra.
E il suo giovane cuore lo prega,
lo prega di tornare,
ma Ishaan è cambiato
e non si volta.

Ishaan ha smarrito la strada.
Dall’India è partito e va veloce ad occidente,
e l’anima sua mesta reclama,
silenziosa come i morti del Gange,
e lo spirito esangue rimpiange la casa
costruita sulle rocce di una madre e di un padre.

Eppure Ishaan la sente,
sente che la sua patria chiama.
Ma non vuol più ricordare
né il suo collo risudare
l’aroma del sandalo,
della curcuma, del cumino,
del coriandolo.

Ishaan ha smarrito la strada:
si cerca in un orgasmo
come un perfetto occidentale.
E negli occhi ha la rovina di lontane ricchezze,
e dall’anima scordata
esule si disperde
abbandonato,
tra lapilli d’oblio e un messia dimenticato,
nel suo tanto agognato fumo grigio di Londra.

Benedico con la mano la sua fronte
nonostante il mio peccato,
ma Ishaan non ritorna felice,
non sorride.

Ha perduto il miracolo dal sangue:
non ricorda gli Dei dai volti variopinti;
non ricorda il colore dei venti
né la mano con cui sua madre
offriva i fiori agli altari dei templi.

Ishaan ha smarrito la strada.
Dall’India è partito e va veloce
ad Occidente.

 

Un’altra lotta

Se incassare i colpi è combattere
allora stanotte ho lottato.
Mi sono alzato senza forze dal divano
e sono caduto al tappeto.

Non sentivo dolore.
Con la testa avevo solo schivato lo spigolo
e la morte non dava segni di vita.
Volevo arrivare al bagno
ma era troppo distante. Mi scappava forte la pipì.
Sono strisciato fino alla cucina.
Mi sono sollevato
diritto su tutte e due le gambe,
e le gambe tremavano come pilastri di un grattacielo
che sta per crollare su se stesso.
Ho pisciato nel lavabo
tra le tazzine di caffè
sporche del giorno prima.
Poi sono svenuto,
l’occhio appoggiato sul pavimento,
quasi morto e quasi vivo.
Ho atteso l’alba, ammutolito,
senza chiedere aiuto.
Sapevo che il mio “non so chi”
mi avrebbe salvato.

 

Paroxetina

Vogliono che assuma antidepressivi:
Paroxetina per l’esattezza.
Eppure non sono depresso,
sono un uomo deluso.

La società è malata e vogliono curare me.
Tuttavia ho rifiutato anche oggi la compressa,
non per orgoglio né per vergogna,
ma perché voglio essere denunciato.

Se accettassi di passare per depresso
la società ne uscirebbe pulita.
Debbo resistere a professionisti, parenti,
amici, consiglieri, servizi segreti.
Tutti vogliano curare me
che sto male per contrasto,
ammalato di lucidità
in un mondo di pazzi.

 

Supermarket

Non ci sono prodotti interessanti
al di là di un collutorio al pompelmo
antibatterico e fluorizzante.

Le persone da queste parti
si muovono a scatti
con i carrelli pieni di rifiuti
e l’isteria nelle orbite.

Mi congelo davanti all’obitorio delle carni.
Nessuna differenza
tra le bistecche umane in piedi
e i filetti di bovino stesi nei freezer.

 

Il martirio dei poeti

I poeti non scelgono,
lasciano che sia.
La poesia l’accettano.
E si ritrovano ad ardere
una manciata di parole
in un falò fantasioso
che li riscaldi un poco.
Perché i poeti sono quelli
che tremano il gelo
del ghiaccio sociale.

Martiri della pazienza,
strattonati, trascinati, offesi,
i poeti hanno breve vita
e muoiono a lungo.

 

Parlami del presente

Parlami del presente se ne sei capace.
Questo presente che è già tutto passato
e già tutto futuro,
questa frazione di secondo contesa
fra i secoli di ieri e quelli di domani,
questo granello d’illusione, impalpabile,
conficcato come punto di confine
tra le due ere infinite del tempo.

Tu mi dici ti amo e già me l’hai detto:
quando lo scrivo è ricordo.

Ma sarà o è già stato?
“Prevedere il futuro è leggere il passato”,
ti risponde il chiaroveggente.

Adesso è passato. Domani è passato.
Si vive nel passato di un passato già passato.

E ora parlami del presente se ne sei capace.

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3 Commenti

  1. Un discorso “poetico” che forse non convince fino in fondo, ma che di certo non lascia indifferenti (notevole, dal punto di vista contenutistico). In particolare, il primo e il terzo componimento trovo siano i più riusciti (e interessanti).

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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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