Tre racconti dell’astratto

di Hugo Bertello

IL PONTE DI DARJEEN

 

Racconto perché si deve pur continuare

 

 

 

…tua madre deve averti detto ieri di non sporgerti su questo pozzo senza fondo tu le chiederai ancora stanotte perché non ha fondo e nuovamente ripetendosi lei ripeterà perché esce dall’altra parte del mondo.

GUILLHERMO CABRERA-INFANTE: TRE TRISTI TIGRI

 

 

 

1 Il principe Darjeen sapeva solo una cosa: detestava il mare. 2 Il principe Darjeen desiderava soltanto una cosa: vedere cosa ci fosse oltre, al mare. 3 Recatosi di fronte al seggio, disse, «Padre, vorrei implorare il vostro aiuto.» 4 «Per quale motivo figlio mio?», rispose il sovrano. 5 «Per la costruzione di un ponte.» 6 «La vostra richiesta mi pare ragionevole, eppure non conta ponti a sufficienza il nostro regno? 7 Più di venti uniscono le sponde del fiume Pajal, altri dieci legano ad occidente e ad oriente le terre d’Urlad, due altissimi e solenni portano alle nostre residenze sul lago, 8 mentre infiniti altri superano gli infiniti ruscelli che donano vita a tutto ciò che io possiedo e che un giorno tu possiederai.» 9 «Mio padre e mio re, capisco le vostre rimostranze, ma il ponte di cui vi parlo non ha nulla in comune con quelli che già si innalzano sulle nostre acque.» 10 «Non capisco, di che ponte si tratta, figlio mio? 11 Dove dovrebbe sorgere? E quali terre vorrebbe avvicinare?» 12 «Padre, invero non vi sono terre che vorrebbe avvicinare. 13 Il mio ponte avrà una sola sponda: partirà dalla costa e proseguirà dritto verso il mare.» 14 «Figlio mio, le tue parole sono per me motivo di grande sorpresa. Ero certo che avessi giovato dei precetti più sensibili ed educati, 15 come sei giunto ad una considerazione tanto spropositata quanto un ponte con una sola sponda?» 16 «Mio re, il proposito è notoriamente schiavo della conoscenza. 17 Dovete sapere che tale ponte porterebbe i più grandi vantaggi al regno.» 18 «Abbi la grazia di spiegare.» 19 «Da molti decenni i nostri uomini migliori come le navi dagli scafi più robusti e le polene pregiate si perdono nell’intenzione di trovare una nuova terra che sorga oltre l’orizzonte, 20 quella terra promessa al popolo e della quale non si ha avvisaglia da tanto tempo, 21 il cui ricordo risiede solamente nei libri degli antenati.» 22 «Il fato non ci è stato certo d’aiuto.» 23 «Con la costruzione di questo ponte, la ricerca di ciò che si cela dietro l’orizzonte si farebbe finalmente più agevole. 24 Gli uomini, anziché affidarsi a bordo di fragili vascelli alle cieche volontà del mare, potrebbero lavorare di giorno alla costruzione di robuste volte e campate, 25 e di notte fare ritorno ai propri figli ed alle proprie mogli, percorrendo a ritroso la strada alle loro spalle.» 26 «Certo, tale istanza parrebbe vantaggiosa.» 27 «Inoltre voi, padre, sareste capace di verificare l’avanzamento dei lavori di persona, in qualsiasi momento, 28 e se a distanza di pochi mesi – o piuttosto di anni – dovessimo arrivare alla terra anelata, voi potreste raggiungerla montando in sella al vostro cavallo, 29 e non ci sarebbe limite alla quantità di pietre preziose e di animali esotici che potreste riportare nel regno, 30 meravigliando i vostri sudditi.» 31 «Caro figlio», concluse il sovrano, «il vostro ingegno mi sorprende. Vi dono la mia più incondizionata approvazione.» 32 La costruzione del ponte di Darjeen venne annunciata dal suo inventore a bordo di un calesse d’oro, 33 e la notizia fu accolta tra le grida di gioia del popolo. 34 I lavori iniziarono all’alba del tredicesimo giorno. I sudditi del regno, senza eccezione alcuna, si misero immediatamente al servizio della grande impresa. 35 Non ci fu sarto, fabbro, contadino, allevatore, scultore, maniscalco o manovale che non dedicò tutto sé stesso per favorire il più rapido avanzamento dell’opera. 36 Nelle prima due settimane, il ponte avanzò di più di tre campate al giorno, e più il suo limite ultimo si allontanava, più l’entusiasmo di Darjeen e dei suoi uomini cresceva, 37 consapevoli che la meta si stava poco alla volta avvicinando. 38 Alla fine del primo mese, il ritmo di costruzione dovette poco alla volta rallentare, 39 dacché le profondità delle acque richiedevano un pilastro sempre più lungo prima di offrire un appoggio sicuro. 40 Alla luce delle nuove necessità, non fu un solo uomo a scoraggiarsi, 41 poiché un nuovo grido d’incitamento emerse gioioso tra essi, «Abbiamo cominciato, dobbiamo pur continuare!» 42 Mentre le risa ed i canti si facevano pascimento per gli animi, i materiali da costruzione venivano estratti con maggior frenesia. 43 Osservando il ponte dalla cima del monte, esso appariva ora come una linea bianca e perfettamente diritta che si stagliava sullo sfondo azzurro del mare, 44 sulla cui lunghezza si spostavano in continuo riciclo carri ricolmi di basalto, di granito, di luccicante alabastro e di enormi assi di legno, 45 come altri che si muovevano vuoti in direzione opposta, pronti a ripartire al traino di buoi, di cavalli e dei loro nocchieri. 46 Allorché la sottile riga arrivò a toccare l’orizzonte nel punto in cui esso si trovava per chi lo contemplasse dal regno, il principe Darjeen dispose la costruzione di un’immensa cattedrale, come primo presagio della terra lontana. 47 Non appena il maestoso edificio venne perfezionato in ogni sua guglia ed in ogni suo guizzo, il principe indisse una sfarzosa inaugurazione, 48 a cui ebbero l’onore di partecipare tutti gli uomini e le donne della regione, 49 così come il re, sempre più compiuto nel prestigio crescente di cui godeva. 50 I festeggiamenti durarono tre giorni e tre notti, 51 e non vi fu alcun conteggio delle coppe di vino versate e dei beni della terra che furono distribuiti ad ognuno secondo le proprie volontà. 52 L’opera riprese con rinnovato slancio, ed il ponte proseguì nella sua lenta conquista. 53 Tra le mura del regno, da quelle ricolme di ornamenti fino alle altre più umili e spoglie, di nulla si parlava se non dell’immane impresa. 54 Con l’avanzare delle stagioni, l’intervallo che separava l’estremità ultima dei lavori dalle terre ferme diventò tale da impedire agli uomini un ritorno alle tiepide abitazioni una volta terminata l’ora del lavoro. 55 Il ponte venne dunque allargato di un tratto sufficiente ad ospitare un piccolo villaggio, dove le mogli ed i figli di chi donava il proprio vigore al magnifico progetto potessero alloggiare. 56 Il re tornò a fare visita al figlio, e si rallegrò di ciò che vide, 57 giacché il suo regno continuava ad espandersi, non solo in terra, ma anche in mare, 58 contando ora una città in più che in precedenza. 59 Darjeen ed i suoi compagni continuarono ad avanzare per molti anni su quella linea retta e giusta, 60 e non dubitarono mai che la terra oltre l’orizzonte fosse sempre più prossima, 61 con il solito grido che si alzava al cielo, «Abbiamo cominciato, dobbiamo pur continuare!» 62 Se inizialmente per sottrarre una decina di metri all’acqua servivano pochi massi dislocati ordinatamente l’uno sull’altro, e poi decine su decine di blocchi del pesante materiale, 63 ormai per gettare una singola campata era necessario riversare in mare un’intera montagna, 64 trasportata dal continente a bordo di innumerevoli carri che gli animali trascinavano da sé, ormai sciolti dalla mano dell’uomo. 65 La distanza dal fondo divenne tanto più grande, e se la qualità migliore di chi lavorava era prima la forza, ora questa diventava la pazienza, 66 poiché giorni e settimane e stagioni intere potevano trascorrere mentre la roccia bucava la superficie e si perdeva in fondo alle acque, 67 senza mai traboccare. 68 Un debole scoraggiamento fece breccia tra Darjeen ed i suoi compagni, prontamente temperato dalla stessa frase che sorgeva come un balsamo dalle loro bocche, «Abbiamo cominciato, dobbiamo pur continuare!» 69 I contatti con il regno divennero tanto più frammentari quanto il cammino che separava i due estremi arrivò a superare i cento giorni, 70 ed allora quando i visitatori da paesi lontani giungevano nel regno e domandavano, «dov’è il principe?», e poi, quando il padre se ne andò, «dov’è il re?», 71 i sudditi non potevano far altro che rispondere, «È là», indicando il mare. 72 In mezzo a silenzi lunghi anni, dalla costa si poteva ogni tanto scorgere una minuta figura percorrere il ponte a ritroso, 73 un messaggero mandato dal principe Darjeen per annunciare, «I lavori vanno avanti! La terra è vicina!» 74 Trascorso un tempo poco inferiore alla vita di un uomo, ogni comunicazione dovette cessare. 75 Chi si trovava sulla terra, continuò a lavorare incessantemente all’impresa, osservando gli infiniti carri contenenti i frutti dei loro sacrifici gettarsi dietro l’orizzonte senza mai nulla restituire; 76 molti presero a domandarsi se vi fosse alcuna grazia nella costruzione di un ponte con una sola sponda, 77 un ponte che vada dritto all’orizzonte e verso una terra spendente in tutte le sue proprietà, tranne in quella di farsi sostanza. 78 Eppure non uno solo tra i sudditi voltò le spalle al magnifico progetto. 79 Se non per rimanere fedeli ad un antico ideale, perlomeno perché tutti ebbero l’accortezza di domandare: 80 che popolo è un popolo che abbandoni il proprio re in mezzo al mare? 81 Chi si trovava sull’estremità più sola proseguì nella paziente costruzione, vivendo dei doni del mare e di quei beni che i carri interminabili portavano loro, 82 con la stessa semplicità con cui il calore asciuga il panno steso al sole ed il pesce abbocca all’amo. 83 Numerosi piccoli templi vennero eretti, ognuno contenente il più ricco artefatto oppure un solo singolo ramo, 84 trasportato dalla superficie dell’acqua e dal fluttuare delle correnti come preghiera di una terra lontana. 85 A distanza di molte stagioni, il giovane principe Darjeen si fece prima uomo, poi vecchio, ad infine lasciò quel mondo terreno. 86 Non per questo gli uomini ed i figli degli uomini smisero la sua maestosa ambizione. 87 Continuarono ostinatamente allora a costruire il ponte, e lungo il ponte – qualora ne fosse fatta esigenza – una città, 88 seguendo un grido che si faceva ormai cantilena, «Abbiamo cominciato, dobbiamo pur continuare!» 89 Nonostante le esclamazioni, a poco a poco ciascuno di essi dimenticò il motivo del proprio stare su quella strettoia in mezzo al mare. 90 Ogni uomo ed ogni donna, se si trovava tra gli altri, non era allora che un impostore, 91 giacché non era gioia che esprimeva, ma la sua finzione; non un credo, ma la sua immagine bianca. 92 Eppure naturalmente perseverò nel compiere i gesti che chi prima di lui aveva compiuto: 93 porre pietra su pietra, aspettare, osservare le pietre perdersi, anche per anni, innalzare infine una piccola volta, una tremula campata. 94 Quando sull’estremità del ponte non rimasero occhi che avessero incontrato il profilo della terra, 95 non più uno fu in grado di stabilire se questa esistesse veramente, 96 o se non fosse una leggenda che i padri avevano raccontato loro di notte, attorno al fuoco, 97 per rassicurarsi ed ammansirli, e per fare sì che il giorno dopo, con un nuovo sole, si svegliassero in quel punto in mezzo al nulla e 98 decidessero che valeva la pena di continuare, 99 perché una volta che si è iniziato, si deve pur continuare.

 

 

POSTILLE A DISCREZIONE DEL LETTORE

 

 

A centinaia ed alcuni anni di distanza dalla vicenda appena narrata, il regno di Darjeen ha cessato di esistere. Sul trono si è insediato un nuovo re, che ha promulgato nuove leggi e deposto le antiche tradizioni. L’approvvigionamento di carri che fino a poco tempo prima ancora si muovevano senza sosta in quella direzione che dalla costa punta dritta all’orizzonte è stato interrotto, e chiunque faccia riferimento alla tremenda costruzione viene additato in quanto infermo. Tale evenienza eppure si verifica di rado, poiché nessuno ha più interesse a sapere cosa si nasconda oltre il mare. A questa regola fa eccezione un giovane uomo, che un mattino di una stagione prodiga di fiori stabilisce di lasciare ciò che ha, per tentare l’attraversata. Omaggiata la propria famiglia e disposti nel bagaglio pochi abiti e gli attrezzi per la pesca, il giovane poggia il piede sulla superficie ferma del ponte ed inaugura la religiosa processione. Lungo la strada visita un’immensa cattedrale, non più intera ed ormai spoglia di ogni suo bene; riposa nelle sottili città e nei casolari dei costruttori, dove rinviene ora un tavolo, ora una scodella, così come preghiere e disegni che si rincorrono e ritraggono montagne, e pascoli, e specie terrestri e marine; preme i suoi passi sulla stessa incisione, che dalla pietra ritmicamente si ripete ancora, «Abbiamo cominciato, dobbiamo pur continuare!», oppure, «La terra è vicina!»; trascorre le notti a sottrarre un pesce al mare e a contemplare l’abisso scuro di sotto e quello pieno di luci là sopra, chiedendosi se vi sia un ponte che unisca i due fra loro. In un giorno di sole, poi, scorge in lontananza una flebile linea, poco meno azzurra dell’orizzonte. Avvicinandosi con lentezza – dacché gli anni sono ormai tanti –, si commuove nel constatare che le macchie indistinte si fanno docili colline, magnifici alberi esotici e palazzi mai visti. Giunto alla meta tanto cercata, poggia con fatica il piede nel porto, e rivolgendosi ad un ambulante, dice, «Buon uomo, io che ti parlo vengo dalla parte opposta. Dal mare.» E poi, «Mi sai dire che città è questa?» «Dove mi trovo?» L’altro, guardandolo negli occhi con comprensione, fermamente risponde, «Questa è Chennai, città orientale dell’antico regno di Darjeen. Non lo sapete? Il ponte è terminato.»

 

 

 

 

 

 

 

IL GIOCO

 

Racconto concentrico

 

 

 

La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso.

ITALO CALVINO: LA LEGGEREZZA

 

 

 

E do i primi due colpi e la crepa è piccola, ha la forma di un fiore, e ne do altri dieci e si apre più grande – come un airone, dieci e poi dieci e coi calcinacci che scendono arriva a coprire il profilo di un uomo, e solo due ancora e vien giù la parete, così l’attraverso ma trovo altro spazio con un’altra parete e i primi due colpi ben assestati una stella ed Orione, ed altri due un poco leggeri: è una rondine in volo, e continuo a colpire e mi guardo attorno e tutto è uguale, di fronte il bianco da non superare e l’erba di sotto ed il cielo di sopra, e non so più da quanto è iniziato, così siedo per terra per sentirmi più solo, ed ogni cosa che esiste là fuori che può essere pensata la penso ed in quell’istante mi reca dolore, e le braccia non reggono e allora mi dico riposo e risposo, meglio svegliarsi domani oppure anche oggi e ricominciare e do i primi due colpi e la crepa è piccola, ha la forma di un fiore, e ne do altri dieci e si apre più grande – come un airone, dieci e poi dieci e coi calcinacci che scendono arriva a coprire il profilo di un uomo, e solo due ancora e vien giù la parete, così l’attraverso ma trovo altro spazio con un’altra parete e i primi due colpi ben assestati una stella ed Orione, ed altri due un poco leggeri: è una rondine in volo, e continuo a colpire ma non ricordo neppure di chi fosse l’idea, se mia o se sua, di certo prima del gioco però nulla era uguale, noi due nella casa pomeriggi interi a fare origami, e la carta si intreccia ed ecco la rana e poi il tulipano, e lei che innaffia una pianta con lo stesso bicchiere che usa per bere e a sera chiude le tende fino al mattino, e nel buio mi dice che sarebbe più bello essere in tanti e di tenerci strette le dita perché non si stacchino se ci addormentiamo ed io adesso raggiungo il prossimo cesto di pane ed è ancora raffermo, quasi ammuffito, e deve esser lontana ci vuole pazienza – dovrò aspettare, e do i primi due colpi e la crepa è piccola, ha la forma di un fiore, e ne do altri dieci e si apre più grande – come un airone, dieci e poi dieci e coi calcinacci che scendono arriva a coprire il profilo di un uomo, e solo due ancora e vien giù la parete, così l’attraverso ma trovo altro spazio con un’altra parete e i primi due colpi ben assestati una stella ed Orione, ed altri due un poco leggeri, è una rondine in volo e continuo a colpire e mi guardo alle spalle e la ferita è profonda: la sento vicina, e immagino le sue tenere mani sporche di calce e di creta, a lavorare, e non si ferma nemmeno un minuto e non pensa a Nina e al piccolo Lucio a casa e sua madre e la colazione insieme al mattino, e cammino in cerchio una volta a vedere se un pezzo è mancato ma lei è accorta non dimentica nulla così non mi resta altro da fare, e do i primi due colpi e la crepa è piccola, ha la forma di un fiore, e ne do altri dieci e si apre più grande – come un airone, dieci e poi dieci e coi calcinacci che scendono arriva a coprire il profilo di un uomo, e solo due ancora e vien giù la parete, così l’attraverso ma trovo altro spazio con un’altra parete e i primi due colpi ben assestati una stella ed Orione, ed altri due un poco leggeri, è una rondine in volo e continuo a colpire e adesso la ascolto di notte che cuoce i mattoni e di giorno a cantare, e la chiamo e allora lei tace e c’è silenzio assoluto tranne in alto anche per ore, poi ricomincia ed io mi dico non posso dormire, devo colpire più in fretta e più in fretta e nella medesima direzione del suono, ed il sole nel punto del giorno senza le ombre mi brucia la pelle ma il pane che lascia è sempre più fresco: son quasi arrivato, e do i primi due colpi e la crepa è piccola, ha la forma di un fiore, e ne do altri dieci e si apre più grande – come un airone, dieci e poi dieci e coi calcinacci che scendono arriva a coprire il profilo di un uomo, e solo due ancora e vien giù la parete e l’attraverso e finalmente la vedo mentre dispone un poco di argilla sul bianco muro incompleto e la raggiungo e lei corre e la prendo e lei ride mi abbraccia mi bacia e le sono tanto mancato e io rido l’abbraccio la bacio e mi è tanto mancata e le chiedo se non è stanca del gioco se da tanto è iniziato, e a casa la pianta con l’acqua che scende ed i suoi origami, e lei che risponde ti prego ti prego è un gioco bellissimo ancora una volta ricominciamo, questa volta io dentro e tu fuori – a costruire –, e la vedo tanto felice e abbasso gli occhi e le chiedo con quanto vantaggio devo partire, e lei che salta di gioia e risponde dieci giorni può andare, e io respiro profondo e confermo e corriamo in un prato intoccato e le lascio il martello ed un cesto di pane e con mattoni e secchiello costruisco la prima parete attorno a lei che fa ciao con la mano, e non la vedrò più per un poco, e perché – perché si ostina a giocare?, e Nina? e il piccolo Lucio? E quando la vita è soltanto stupore.

 

 

 

 

 

 

 

IL RACCOTNO DEI REFUSSI

 

Raccotno come inocente epserimento metalettrerario

 

 

 

La lingua sarà anche uno specchio deformante, ma è l’unico specchio che abbaiamo.

MICHAEL DUMMETT: FILOSOFIA DELLE LINGUE

 

 

 

Quello che vi proponiamo in queste pagine è forse il primo esempio nella storia della lettreratura di ciò che sarà d’ora in poi e per sempre noto come “Il raccotno dei refussi”.

A beneficio di chi non sia al corrente delle più sottili sfumature grammaticali, un refusso è ciò che viene fuori ogni qual volta siamo in procinto di scrivivere una certa cosa, ma in realtà stiamo pensando ad un’anatra.

Alternativamente, un refusso può manifestarsi in quelle occasioni inn cui, mentre scriviamo, non siamo troppo attenti ha certi precetti ortografici e di punteggiatura;,, o molto più semplicemente stiamo pigiando umm po’’ sbadabattamente ii taxi shulla notstra taxtiera:.

A ragione, molti lettori troveranno la lettura di un raccotno dei refussi un po” pesante, se non proprio pastidiosa. Con le più sincere scuse per tale sconvenienza, ci sta a cuore precisare che il notsro raccontno è strato pensato non per nuocere a noi che scriviamo, né a voi che leggete, ma prerché tutti ne traggano ilpiù grande giovamento. Arvrete di fatti notato anche voi che un libro – d’abitudine – contiene un certonumero di refussi, disseminati in modo imprevedibile e un po’ casuale tra lesue decine, se non centinaia di fagine. Noi, anziché arrischiarci nell’immane e quasi certamente vana impresa di elimimarli uno ad uno, abbaiamo pensato invece di attrirarli – prima – e di intrappolarli – poi – in un raccotno solo – quetso! –  di modo da rendere gli atrii meno accidentati e dunque piiù piacevoli alla lettura.

Dopo aver appreso della mobile natura delle notstre intenzioni siamo certi che ci avrete già accordato il votstro perdono, di cui v’ì siamo inestimabili debitori.

 

Prima di inizziare con una narrazzione pertinente ed articolata del nostro raccotno dei refussi, c’ì piacerebbe fornire le tre regole fondamentali perché chiunque ne avesse voglia possa scrivere un raccotno dei refussi tutto suo, di modoché questi possa entrare a far parte di tutti i libri di raccotni che verranno scritti in futuro, assumendo a poco a poco lo status di vero e proprio genere lettrerario.

Procedendo con ordine, dovete sapere che la prima e un poco sfortunata regola per scrivere un raccotno dei refussi conforme alle procedure di genere prevede che quasti oggni prarola all interno dì unn raccontno dei refussi deba essrere effettivamemente um refusso, benché allo scrittore che si confronti con l’impresa per la prima volta venga fatto consiglio di abbracciare tale dettame gradualmente, cimementandosi dapprima com racconti inn cui solamete una prarola su ddue possa classificsrsi propriamente comme un refusso.

La seconda regola per scrivivere un raccotno dei refussi che sottolinei una certa abilità del propositore, stabilisce poi che alcuni refussi si presentino nel texsto non in ordine sparso, ma che siano congeniati in un divertente incastro, di modo che ogni tanto facciano un po’ radere chi li regge.

Infine, essendo esso un semplice epserimento metalettrerario, la terza regolla per scrivere un raccotno dei refussi stabilisce che il raccontno dei refussi non debba prer forza avere una trama precisa, né descrivere una vicenda con uno vsiluppo lineare.

Pertanto, quando scrivivete un raccotno dei refussi, sentitevi liberi di giocare con la forma quanto volete (anch’essa, a modo suo, è un refusso!). Sentitevi liberi dunque di inziare un raccotno dal l’ultima riga, o di finilrlo con la prima. Oppure ancora di mischiarle frutte fra loro – le righe – rimuovendone la metàa e aggiungendole dove vi pare. Infine, prendete in considerazione di seguire il notstro esempio, evitandovi ogni problema e decidendo quindi di intemperrompere la voststra narrazione ancora pirma cheabbia inizio, senza alcun preavviso.

 

 

PINNE

 

 

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renata morresi
renata morresi
Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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