La dodicesima nota

di Lev Matvej Loewenthal

[Pubblichiamo un estratto La Dodicesima Nota, Carteggi Letterari Le Edizioni, 2017.]

Premessa

Non un precetto (Dio me ne guardi!), piuttosto un consiglio: evitate di morire a Me’a She’arim durante un’eclissi di sole prima dello shabbat; sempre che, per una qualche ragione, non vogliate essere ritrovati, leggermente decomposti, solo all’alba della domenica successiva.

Lo dico, perché all’altra estremità del cielo è già sorta la macchia biancastra della stella del mattino, quando, all’altezza del civico 23 della Avodat Yisra’el, in un vizzo cortile, è stato rinvenuto il cadavere di un uomo dall’età indefinibile, deceduto il pomeriggio di tre giorni prima.

Accanto al corpo un qualcosa che, inizialmente scambiato per un voluminoso shtreimel bordato di morbida pelliccia di zibellino, si è rivelato essere un cane, vivo.

Intendiamoci: confondere un bonario cane acciambellato con un pregiato tondo copricapo ricavato da una trentina di code di sventurati mustelidi – implicito apprezzamento del pelo del cane, il quale, commosso, ringrazia – non è poi così bizzarro quanto non notare, per tre giorni buoni, dal venerdì alla domenica, il corpo senza vita di un pover’uomo in un cortile.

Eccomi, nondimeno, costretto a fare l’avvocato del diavolo.

Alla negligenza degli onesti cittadini del rione ultraortodosso di Me’a She’arim hanno indiscutibilmente contribuito quei due elementi raramente coincidenti: l’eclissi totale di sole del venerdì e l’inizio dello shabbat. Tre ore ininterrotte di oscurità totale, durante le quali si è scatenato il diluvio. Gerusalemme è stata avvolta dalle tenebre in pieno giorno e così c’è stato chi non ha visto, chi non ha voluto vedere e chi, ammesso che, una volta tornato il sole, abbia visto, non ha proprio potuto muovere un dito.

Dalle sei del pomeriggio del venerdì e durante tutto il sabato, qualsiasi gesto che comporti un’intenzionale volontà di agire è proibito: anche telefonare alla polizia se c’è un morto stecchito sotto casa.

Domenica 6 giugno 1999, la notizia dell’anomala eclissi viene riportata dai giornali della sera Ma’ariv e Ye Dioth Ahronoth. In un trafiletto si accenna al cadavere della Avodat Yisra’el: l’identità dell’uomo resta, tuttavia, ignota, si è potuto solo stabilire che, chiunque egli sia, è stato derubato.

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I. La nazione invisibile

5 giugno 1999

 

Un’unica idea nella mente di Hassan: che la polizia, armata di odio verso suo figlio, sia già dietro alla Toyota amaranto che arranca verso il porto di Ashdod.

È l’alba di sabato: il sole immobile, bianco, la luce opaca, c’è un bambino che guarda. In piedi, sulla spiaggia. Nell’aria è rimasto l’umido della notte.

Tutto, per un attimo, si tinge di color zafferano: il bambino dai pantaloni larghi che guarda – forse per l’ultima volta il proprio padre –, il padre, il porto, il mare, la nave.

È l’attimo in cui il sole si sveglia e si dà la prima spinta verso l’alto, poi la sabbia diventa arancione. Il caldo torrido.

Essendo Nadim ancora al principio della vita – ha solo dodici anni –, c’è da supporre che il futuro gli riservi ore più allegre o più tristi di questa, anche se lui non dimenticherà facilmente quest’alba.

In futuro, specchiandosi, accanto all’iride vedrà una leggera striscia arancione, rimastavi impressa quando si è coperto le palpebre per trattenere le lacrime, perché lui, adesso, è un uomo: una striscia di sabbia lontana.

Devo riferirvi del momento esatto in cui questa vicenda ha avuto inizio. Non intendo dire che sia assolutamente necessario che io lo faccia, ma occorre pur parlare del venerdì, quando, stordita da un pesante scirocco, Gerusalemme stava aspettando un po’ di pioggia alla vecchia maniera.

Non bisogna recarsi alla moschea ogni giorno, se non lo si vuole, tranne il venerdì, per la preghiera comune del mezzogiorno. Tuttavia, il venerdì dell’eclissi e del diluvio, alla moschea di al-Aqsa la khutbat s’è tenuta dopo le tre del pomeriggio, alla ricomparsa del sole.

Nadim e suo padre si stavano dirigendo verso la fontana per le abluzioni, quando uno sconosciuto, incappucciato, si è avvicinato a Hassan, chino, con i piedi bagnati e gli ha sussurrato: “Oggi, durante l’eclissi, tuo figlio ha derubato un vecchio ebreo, forse l’ha persino ucciso, presto la polizia verrà a casa tua e lo prenderà, dammi ascolto, portalo via, oppure nascondilo”. Il padre è rimasto in silenzio.

Il bambino non ha notato lo sconosciuto, ma si è accorto che lo sguardo di suo padre è improvvisamente cambiato. Oggi non saprebbe dire se ci fosse fierezza in quegli occhi, o rimorso. Ai giorni del Tempio, accanto alla Porta della Catena, si trovava il Mahkame, il palazzo che ospitava la corte islamica: chi era sospettato di aver compiuto un crimine doveva toccare la catena e, se era colpevole, questa diventava invisibile.

Siamo sinceri: noi sappiamo che, se Nadim fosse vissuto a quei tempi e avesse toccato la catena, non sarebbe successo proprio niente. La catena sarebbe rimasta al suo posto, pesante e arrugginita.

Padre e figlio sono entrati nella moschea e si sono confusi tra i fedeli. “Il venerdì”, si ripete Hassan, “è diviso in dodici ore: fra queste ve n’è una nella quale il servo musulmano chiede a Dio qualsiasi cosa e la sua supplica viene esaudita. A quell’ora, l’ultima dopo asr, pregherò per la sorte di quest’unico figlio che mi rimane”. Nadim stava ascoltando con attenzione il discorso del predicatore sulla misericordia divina, che in arabo si dice rahma. Nella radice R-H-M – che indica ciò che è dolce e tenero, nutriente e protetto, come un grembo – c’è tutto il carattere materno della misericordia di Dio.

Ecco, il ragazzo si stava crogiolando nella placenta della serenità, quando il padre gli ha detto all’improvviso: “Partirai stanotte, ti accompagnerò al porto di Ashdod”. “Dove andiamo?”, ha chiesto il bambino. “Non importa dove andrai”. “Io da solo?”. “Non parlare ad alta voce!”, “Devo lasciare Gerusalemme? Io non ho fatto niente di male”. “Non voglio sapere cosa hai fatto, da quando hai iniziato a frequentare quel vecchio ebreo, sono stati solo guai e ora che è morto sarà anche peggio!”.

Così Nadim è venuto a sapere che il suo sav non c’è più. Ma non può piangere di fronte a suo padre che, improvvisamente, lo vuole allontanare da sé e dalla madre. “Cosa farò io da solo?”, inizia a domandare, “dove vuoi che vada?”. “Avresti dovuto pensarci prima e non piagnucolare!”. Il padre è deciso. Nadim scoppia a piangere, perché è davvero poco più che un bambino. “Dovrai salutare tua madre, ma non dirle perché parti”. “Ma io non so perché mi mandi via!”, singhiozza.

Il padre non ha sentito quelle ultime parole lamentose, già pensava a cosa raccontare a sua moglie. “Dirò che Nadim ha trovato lavoro su una nave della De Beers, una bella nave tutta blu, che scivola leggera sul Mediterraneo, guadagnerà bene, sai, anche se non ha esperienza, imparerà a essere uomo e a non mugolare come un cucciolo a ogni minima difficoltà, perché il lavoro sarà duro e lui dovrà rimanere a lungo lontano da casa, sì, vedrai, gli farà bene. Tu lo tratti come se fosse sempre uno scervellato, figurarsi che te lo saresti portato ancora ai bagni con te, se non lo avessero fermato sulla porta, facendoti notare che ha già i baffi e potrebbe dare fastidio alle donne!”.

Hassan ha deciso: una bella nave tutta blu. E Nadim ha imparato la bugia a memoria. “Sarà il nostro segreto, mio e tuo”, gli ha detto il padre e lui, pur nel trambusto che ha in testa, è felice di condividere qualcosa con suo padre. Si è sentito adulto e a casa ha recitato la sua parte. “Perché vuoi partire? Resta con la tua famiglia, te lo chiede la tua mamma”.

Nadim ha scansato la madre con una manata, da adulto, poi si è pentito, le ha sorriso e a malapena è riuscito a trattenere le lacrime e noi sappiamo quanta fatica gli costi. La madre, in silenzio, ha iniziato a preparargli un’enorme valigia, in cui si rannicchierebbe volentieri lei stessa. Durante la notte, ha creduto che se si fosse lasciata prendere dal sonno, la sciagura le sarebbe entrata in corpo. Ha sentito i tarli rodere il legno con colpetti simili a quelli della pioggia che ticchetta sulle foglie. Ha cercato di tenere la mente occupata. È andata a guardare Nadim nel suo letto. Le ombre lo avvolgevano. “Amore, gioie, affanni ora devono dormire, rinasceranno domani”, si è detta. “Quante volte, in notti come questa, sveglia, ti ho cullato e ora vuoi farti cullare da una nave, tu che hai paura dell’acqua. Scervellato d’un bambino!”.

Di stanza in stanza, è andata districando le preoccupazioni, come fossero le maglie d’un telaio e, pensando a questo suo figlio rimastole, s’è addormentata. Intanto il vento, lentamente, ha spazzato via la notte.

E all’alba Hassan è al porto, pronto a far imbarcare il piccolo, dopo una folle corsa su quel rottame di Toyota. “Non vuoi proprio sapere come sono andate le cose?”, insiste ancora Nadim. “Non ho questa curiosità”, taglia corto il padre. “Ragazzo, mi raccomando, qualsiasi cosa ti chiedano, tu rispondi sempre e solo: sono figlio della nazione invisibile”. Nadim è certo che la nazione dove è nato, alla luce calda del sesto giorno di ottobre del 1987, presto non sarà più invisibile, anche grazie a persone come il suo sav. Ora, un’unica idea nella mente di Hassan: che la polizia, armata di odio verso suo figlio, sia già dietro alla Toyota amaranto che ha appena raggiunto il porto di Ashdod.

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II. Ascolta la Verità

Sabato, Givat Yonah, città portuale di Ashdod

 

Nadim è distratto.

Giunta su uno sperone roccioso, la macchina si è fermata, tra giardini di cedri

e di palmizi.

Lì, sulla collina, il bambino ha appena visto qualcosa di scuro che si sposta con la rapidità di una cometa.

Scende dall’auto, sotto la prima sferza afosa della giornata, lascia cadere le braccia lungo i fianchi e guarda, impietrito. Tutto è immobile, tranne la cometa. Anche Nadim pare una statua di gesso. Solo le sue labbra abbozzano un sorriso. L’ombra di una mosca, fissa, sembra disegnata al suolo.

La cometa è uno scompigliato cane barbone, col caos in corpo: un’informe massa di pelo, setoso come quello d’uno zibellino. Il cane è stanco, ha sete: ha camminato a lungo, a volte ha corso dietro alla macchina, che a sua volta accelerava per non farsi raggiungere dalla tanto temuta polizia israeliana che, in verità, ancora neppure sa del cadavere nel cortile.

Muscoli forti, profilo diritto, vista, udito e olfatto ben sviluppati, la splendida bestia guaisce. Indugia. Si accuccia sul ventre. Scodinzola festosa.

“Partirai con me?”, gli chiede Nadim.

Il cane ha come un colpo di tosse. Il bambino odora di paura, di preoccupazioni e di pensieri disordinati. “Tu solo conosci la verità, perché non la racconti a mio padre?”. È vero: solo il cane sa come sono andate le cose.

Eppure, la realtà, come era solito ripetere il vecchio sav, è come un dipinto: puoi darle voce solo osservandola da lontano, altrimenti rischi di perderti nei dettagli, equivocare, sentirla solo bisbigliare, sebbene sia quella sinfonia di minuscoli particolari a creare l’insieme. E tu devi ancora imparare a leggere, perché le minuzie sono quasi sterminate e le tue conoscenze, il più delle volte, restano superficiali e imperfette, in continui cambi di scenario.

Devi rimanere concentrato! L’impresa è estenuante e non a tutti è dato di comprendere. Puntelli di pennello, reticoli di luce, guizzi d’acqua variano di tono. Prova ad alzare o abbassare di un’ottava e cambia il punto di vista. E tu sei perso, irrimediabilmente.

Sei un padre troppo sospettoso, credimi, Hassan, tu che non hai fiducia in quest’unico figlio rimastoti!

Ascoltami, sai che non sono certo filosionista: sono solo un cane, io, e posso raccontarti quello che vedo e sento. Ma è bene che tu apprenda sin d’ora che a Me’a She’arim, le ore dodici segnano l’alba, o il tramonto.

Adesso, per qualche minuto almeno, smetti di pensare alla polizia e seguimi con la mente: fintanto che mi starai accanto, la tua testa sarà limpida e leggera.

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61 Commenti

  1. Bellissimo romanzo dell’autore israeliano che in Italia si firma con lo pseudonimo di Lev. M. Loewenthal. In questo preciso momento storico, un romanzo del genere mi pare quanto mai necessario! Lev Matvej Loewenthal si rivela una delle voci più limpide della letteratura israeliana, sebbene non pubblichi in Ebraico, ma in Italiano, Francese e Inglese. Questa sua “Dodicesima Nota” è romanzo limpido e impegnativo per via dei temi trattati: la Shoah, o meglio, il dolore di un padre per essere sopravvissuto all’Olocausto e l’amore dello stesso personaggio, che ritroviamo anziano, per la musica e la pace, che viene insegnata attraverso lezioni di violino impartite a un ragazzino arabo, a Gerusalemme. Un romanzo che “non è come sembra”, perché Loewenthal vuol farci sentire tutto il peso del terrore dei nostri anni, in cui attentati seminano ovunque paure e domande e, nel contempo, riesce a sollevarci e a darci una sensazione di leggerezza, nel momento in cui la dodicesima nota finalmente esplode… L’autore mette insieme gli affetti dei personaggi, i rapporti famigliari, con una visione allargata su Israele e l’Europa e ci parla delle tre religioni monoteiste facendoci capire che il Dio creato dall’uomo è uno e forse non è quel che sembra. È un romanzo epico e sentimentale che cattura il lettore e lo tiene col fiato sospeso sino alla fine. Proprio alla fine capiamo che i protagonisti del futuro siamo noi. Lettura consigliata, per tutte le età.

  2. Caro Andrea,
    ti ringrazio per aver dato spazio a questo romanzo, che ho voluto pubblicare con tutte le mie forze. Come editrice credo di dovere all’autore ma soprattutto a questo suo lavoro due righe di presentazione che accompagnino la lettura di queste bellissime pagine espunte da una più complessa sinfonia di trame, intrighi, personaggi, paure e speranze. La sorpresa, per prima mia, nel ricevere questo manoscritto così prezioso, è stata quella di ritrovarmi dinanzi a un romanzo grande che, sin dall’incipit trascina dentro la sua trama che si sviluppa su diversi piani narrativi, dal mistero che apre il romanzo come un giallo, a piani paralleli in cui le vite dei personaggi spostano l’attenzione sulla ricerca di risposte, quell’eterna ricerca di risposte, che accompagna l’uomo nel suo dualismo e nella sua lotta continua tra Bene e Male, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. La Storia e le sue atrocità sono esse stesse protagoniste e piano narrativo di questo complesso romanzo: il Nazismo, la persecuzione di un popolo, la ripetizione degli errori, le vittime che si fanno carnefici fino ad arrivare alle nuove aberranti vicende attuali: la politica del terrorismo, il terrore come mezzo per destabilizzare o indirizzare le decisioni mondiali, la regolazione dei flussi migratori – mentre scrivo queste righe, poco lontano da me, a Taormina, si decidono le sorti di milioni di disperati, delle emissioni tossiche e nocive per il clima e le persone… – sono materia di interesse e fine di questo percorso narrativo.
    Lo stile è ritmato e colloquiale, poetico in alcuni accorati abbandoni dell’autore, che si trasfigura nelle vite e nei destini che racconta, al fine di instaurare un rapporto di fiducia col lettore stesso, permettendogli di cogliere tra le sue pagine un messaggio di pace e speranza che fa appello non a un Dio, bensì alla capacità di bellezza che l’uomo stesso ha saputo conquistare attraverso la pulsione al Bene comune, al miglioramento delle sue condizioni di vita, nella costante ricerca di una umanità che lo distingua dalla belva.
    Tuttavia, la grandezza di questo libro non si ferma qui, va oltre, puntando direttamente a imbrigliare in un ennesimo piano narrativo e stilistico i suoi lettori “attenti”, capaci di decifrare le disseminate e celate citazioni storiche, letterarie, artistiche, senza perdere il gusto dell’intrigo dei piani sovrapposti in cui si muovono (in reminiscenza di passaggi temporali) le storie dei suoi personaggi intonando una sinfonia di note stratificate – dalle più alte e accorate alle più mefistofeliche e goethianamente attraenti.
    Bulgakov, Il maestro e Margherita: “Seguimi lettore! Sia recisa la lingua al mentitore che ha negato l’esistenza di un amore autentico…” pag 55; Goethe, Faust: “Io sono una parte di quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente compie il Bene” , pag 50; la storia di Cornelius Gurlitt e del padre Hildebrand ed il destino di grandi opere d’arte “degenerata” salvate e protette sotto il regime nazista: “tutto quello che volevo era vivere con i miei quadri” – dall’inchiesta-intervista del Der Spiegel pag. 128-134; la storia dell’ebreo errante, la propaganda nazista sul ghetto di Terezin; la storia dell’angelo con le ali nere del Caravaggio ed il mistero del suo spartito, …. sono solo una minima parte del percorso narrativo di Loewenthal, che riesce a fare di questa storia, un vero e proprio caso letterario.

    Per tutto questo l’ho pubblicato.
    natàlia castaldi

  3. Ho già chiesto ad Andrea Inglese di pubblicare con me dopo l’estate, Sunrose, e spero accetti; ma devo sfatare la tua simpatica convinzione: Lev M Loewenthal è un autore israeliano e non ha nulla in comune con l’altrettanto grande Andrea Inglese, autore di un bellissimo libro da poco pubblicato, ahimè, non con le mie esizioni.
    Un caro sauto.

    • La ripetizione serviva a rendere evidente il gioco di parole. Doveva servire. Adesso farò finta di stare al gioco chiedendo se è stato tradotto, da chi, o scritto direttamente in italiano? Dire: solo il grande Inglese poteva essere in grado di riconoscere una delle voci più limpide della letteratura israeliana contemporanea. Dire: grande romanzo allegorico. «È l’attimo in cui il sole si sveglia e si dà la prima spinta verso l’alto». «Ecco, il ragazzo si stava crogiolando nella placenta della serenità». Dire: per la poesia, avrebbe dovuto assumere un altro pseudonimo.

          • Sunrose
            Un autore israeliano, un medico msf, un malato di fegato… un personaggio affascinante dietro cui nascondere un’identità.
            Sembrerebbe davvero un traduttore.
            :D

    • nato a Kiev, israeliano con passaporto svizzero. Ha studiato in Svizzera e Italia, parla principalmente italiano, inglese, israeliano e francese.
      Scrive in italiano, inglese e francese. E’ un medico occupato principalmente in opere e missioni umanitarie nei posti più disparati del mondo. Non si occupa dei suoi lavori editoriali, che pubblica e affida ai suoi editori e al suo Ufficio Stampa, dacché si sposta continuamente da Israele per le missioni in giro per il mondo e non è interessato a comparire come autore.
      La sua storia varrebbe già un romanzo. Spero di aver chiarito il possibile.

  4. @Sal. Su Ticinolive è chiara la nazionalità dello scrittore. “Per quanto si defili e si nasconda, forse più da se stesso che dai lettori, Lev Matvej Loewenthal è un autore affermato, perché ogni sua nuova pubblicazione è un clamoroso successo di pubblico, in Italia e all’estero. Nato a Kiev da un diplomatico israeliano e da una musicista francese quarantatré anni fa, ma cresciuto tra Italia, Israele e Svizzera, pare sia uno di quegli anonimi Medici Senza Frontiere che rischiano costantemente la vita in zone di guerra. Svizzero di adozione, scrive, oltre che in italiano, in inglese, francese e yiddish. I suoi testi sono stati tradotti, tra l’altro, in giapponese e olandese ed è a sua volta traduttore”.

  5. Mi diverte leggere commenti come questi, segnalatimi dal mio Ufficio Stampa. Sono molto divertito anche dai nomi di intellettuali italiani proposti da chi vuole capire quale ombra si nasconda mai dietro il mio eteronimo. Il demone della scrittura mi insegue sin da giovanissimo e, negli anni, ho cambiato spesso nome e identità. Dunque, grazie alla mia nuova editrice italiana, Natàlia Castaldi, al mio Ufficio Stampa e soprattutto ad Andrea Inglese e Nazioneindiana per lo spazio qui concessomi e buon divertimento ai miei lettori. Lev M Loewenthal

  6. Non ho mai letto in francese. Spero trovare. Uno scrittore che sposa lingue diverse mi incanta. Perché la lingua è la chiave per amare un paese. Scrivere è cercare a navigare sul mare delle lingue. Ho sempre desiderato imparare il yiddish.Per il momento è una lingua magica per me.

  7. Sunrose, posso conoscere la sua identità? In realtà non mi interessa, non per mancanza di interesse, ma per rispetto della sua scelta di anonimato.
    Qui si parla di un bel libro di un autore che non cerca luci della ribalta ma solo di far conoscere l’opera, la sua sostanza.
    Nadine ha chiarito benissimo quanto di basilare si possa divulgare sulla sua persona, è evidente che l’autore desideri non esporre la sua vita personale e privata, che lo vede impegnato in attività ben diverse e spesso difficili.
    La scrittura è per lui l’etica della diffusione del suo pensiero e del suo vissuto. Fermiamoci a questo, parliamo di contenuti. Forse un giorno sapremo di più su Lev, ma lasciamo che si senta lui libero di farlo.
    A tutti grazie di cuore, il nostro interesse è far conoscere questo bel libro.

    • Cara Natalia, concorderà con me che l’intervista dell’agente (di che genere è?)di Lev su Satisfiction è spassosa. Il direttore della rivista (Satisfiction) potrebbe anche avere un futuro come venditore di guide turistiche. Ma, restando a noi, possiamo anche prendere la letteratura come un divertissement per spiriti semplici. L’era di Internet è l’era degli pseudo – scrittori, filosofi, poeti, e via discorrendo. Per parlare della menzogna Kafka usa una tautologia: “Noi mentiamo il meno possibile solo se mentiamo il meno possibile, e non se abbiamo meno occasioni di mentire”

        • Ho sempre sospettato che la principale attività degli scrittori israeliani fosse spulciare i cataloghi dei neonati editori italiani:
          “Per caso ha visto il catalogo di Carteggi Letterari e credo che abbia riconosciuto in Natàlia Castaldi e Gianluca D’Andrea non solo l’amore per una qualità artigianale della manifattura di ogni libro…”

      • Lei deve avere qualcosa di personale con l’autore, l’agente, le mie edizioni, o Satisfiction. Diversamente non riesco a spiegarmi il suo morboso interesse e la sua critica priva di base critica a un romanzo che, da come ne parla, è chiaro che non ha letto.

  8. Penso sia il caso di ricordare a @sunrose, che sta animando in maniera sagace questa bella conversazione, che l’autore che lui/lei vuole rintracciare in Inglese (non in English) è un ortonimo ed è evidente che non si paleserà mai. L’ortonimo altri non è che la vera identità dell’eteronimo, come ben sapeva Pessoa, che di alter-ego ne aveva a profusione (tanto che ancora oggi pubblicare un’opera omnia pessoana è impossibile: non tutti i suoi eteronimi sono noti).
    Val la pena ricordare anche che l’eteronimo di uno scrittore è qualcosa di più di un semplice pseudonimo: è un alter-ego con una sua identità e un suo stile, nonché una sua vita privata, uno sdoppiamento dell’autore che si fa personaggio. Ricardo Reis era uno dei tanti eteronimi di Pessoa. Anche Ricardo Reis era un medico e soffriva di fegato. Chissà se Loewenthal ha problemi di fegato e se morirà l’anno della morte del suo ortonimo!

    • Kafka ha spesso usato Pessoa come controfigura. Povero Loewenthal, invece, così giovane e già problemi di fegato. Troppe lingue. Surtout le Yiddish. E non sappiamo ancora se pratica l’auto-traduzione!

      • Non credo abbia problemi di fegato, in verità: la mia era una “boutade”. La capacità di scrivere in più lingue, penso a Beckett o a Joyce, è un “atout” e non fa male alla salute, non si diventa ciechi ad auto-tradursi, quello che fa male alla salute è avere dell’astio per chi sa scrivere e sa fare vera ironia, senza cadere nel patetico (o passare per antisemita).

        • Dici quindi che come coppia comica Nadine e Natalia potrebbe funzionare, Nad e Nat in “Aspettando Lev”. Se nel frattempo continuo a leggere Kafka e mi lascio sfuggire Lev Matvej Loewenthal? rischi per la salute? Magari il prossimo eteronimo è più corto e originale e non corro il rischio di portarmi a casa Elena Loewenthal, Matvejević e qualche Lev Tolstoj, che oggi i librai sono mica più preparati come un tempo!

  9. La domanda “se pratica lauto-traduzione” (mi verrebbe una battuta) e l’ironia sull’yiddish mi fanno provare una spiacevole sensazione antisemita, che non vale il tempo di una replica.

    • Ma che dici, perchè mai? Pensavo alle parole di Kafka sui rapporti tra la lingua yiddish e il tedesco: lo yiddish si può trasmettere con la traduzione in francese, e si annienta in tedesco.

  10. Svizzera-Sicilia. Basterebbe guardare un po’ il profilo fb di Natalia Castaldi per “scoprire” altri autori svizzeri da lei ospitati. Anche loro usano, a quanto mi risulta, nomi più o meno fantasiosi, almeno su fb. O mi sbaglio?

  11. Rose purpuree del Cairo, lievemente avvizzite, per problemi di bile, mi pare evidente! Buona lettura a chi, nonostante abbia letto i classici, è interessato alla letteratura viva.

  12. Spiace dirlo, specie per gli amici di Carteggi, ma alcune pagine di questo libro sono scopiazzate da un articolo di Panorama (di tale Pedersini) e spacciate per un articolo del Der Spiegel. L’ho già detto a chi di dovere. Non è stata una bella cosa, mi sa tanto. Il libro poi non mi è piaciuto affatto e neanche l’operazione sottesa stile Elena Ferrante.

        • provo a riassumere: lo scrivente autore del romanzo – scrive in italiano, no? – usa un articolo in italiano (copiato pari pari), che è stato fonte di ispirazione di un articolo del der spiegel. solo che fa più figo dire che era direttamente del der spiegel?

          • Assolutamente fazioso questo commento: non solo sunrose non conosce il francese, ma Greco non legge il tedesco e parla. Quanta ignoranza, eppure devono infamare, infangare…Mi chiedo perché? Chi odiano?

          • Luna Rossa, alias Maria Fazio è nota a Carteggi Letterari e anche all’Ufficio Stampa di Loewenthal. Ancora astio e diffamazione per motivi estranei al romanzo. Mi piace vedere come ci siano levate di scudi contro un eteronimo (come osa pubblicare con un nome non suo?) da parte di chi si nasconde dietro a nomi di fantasia per poter gettare fango. Complimenti!

    • Attenzione perchè stanno già invocando la censura. Diciamoglielo che per copiare da Wikipedia bisogna essere Houellebecq.

          • Non per tutti: per gente come Lei, che si insinua scioccamente così in spazi come questo, prendendo di mira Andrea Inglese, Natàlia Castaldi e un autore di cui non ha letto nulla, non c’è speranza. Lei è proprio affetto da idiozia cronica.

  13. Non mi pare che Carteggi Letterari abbia fatto alcuna “operazione Ferrante” (che in ogni caso, sarebbe ben riuscita, visti i commenti degli interessati qui): come già spiegato (ma non tutti sanno leggere) in questo spazio, Loewenthal non è uno pseudonimo, ma un etornimo (Ferrante non lo è). Le accuse di copiare da Wikipedia da parte di chi non conosce il romanzo mi sanno di “conti in sospeso”, un po’ mafiosi. Come appena spiegato al Sig. Daniele Greco, il confronto tra lo Spiegel e l’articolo di Panorama è eloquente. Questi conti in sospeso, credo siano tra persone estranee al romanzo, che lo prendono come pretesto per esprimere altri sentimenti poco nobili. Che le liti tra editori, ex-collaboratori delle case editrici, pseudo-critici, non facciano che stimolare la lettura del testo in questione è altrettanto palese, perché in Italia, in molti parlano di cose che non sanno e finiscono col fare pubblicità a quello contro cui si scagliano.

      • verrebbe da aggiungere e povero d’animo…Ma per rispetto nei confronti di una donna coraggiosa come Natàlia Castaldi che, nonostante una malattia devastante, ha ancora la voglia di pubblicare dei bei romanzi, meglio tacere e lasciare che questi commentatori estemporanei, con il proprio astio, si commentino da soli. Un abbraccio, Nat.

        • sei un tantino ridicola a mettere in mezzo il dolore altrui, ma si vede che questo ti qualifica per quella o quello che sei.

          • Bravo Greco, il gatto e la volpe in giro per il web a ingannare gente da mesi, per creare il caso. Vorrei solo dire che per certe operazioni ci vuole intelligenza, e la supponenza non è quasi mai un’alleata. Il senso di superiorità ha ispirato costruzioni oltre misura, è così che si cade, commettendo l’errore di reputare sciocchi i propri interlocutori.

  14. Letto e molto apprezzato. Una vera rivelazione per me di un autore che ammetto non conoscevo. Sono grato quindi a Carteggi Letterari e a Natàlia Castaldi per aver reso fruibile un magnifico romanzo. Il mio ringraziamento, ovviamente, anche all’autore.

  15. Sono stupito da certi commenti. Ho acquistato il libro e mi è piaciuto molto. Mi sono piaciute anche le poesie. Anche da parte mia un grazie di cuore alla casa editrice e all’autore, di cui spero di leggere ancora nuovi testi! Buon lavoro a tutti (non ai ricchi di famiglia, che non mi sono molto simpatici). Riccardo

  16. Il punto non è tanto la discussione su un romanzo. Ce ne sono a migliaia, perfettamente uguali, perfettamente inutili. Non è neanche per ora su chi lo abbia scritto. Il punto è che le parole possono costituire un inganno. Perché propagandare in varie parti del Web un libro gridando al romanzo esplosivo, al caso letterario, facendo intendere di trovarsi di fronte a un romanziere di successo in Francia, e farlo in modo buffonesco attraverso interviste a fantomatici agenti letterari? Qual è lo scopo di questa montatura? E perché Nazione Indiana si è prestata a questo? Senza una distanza ironica.

  17. Caro Andrea, ti prego di cancellare insulti e infondate accuse, compresi i commenti dell’autore. Se ci fornisci i log dei troll procederemo legalmente. Un abbraccio e scusami per questo non voluto spiacevole episodio

  18. Calma. Chiudo i commenti, perché non vi è nessun interesse in un attacco monotono, condotto in modo anonimo, e di cui non si capisce il significato esplicito, contro una casa editrice come Carteggi Letterari. Nazione Indiana ha pubblicato un estratto di un romanzo di Carteggi Letterari. L’identità dell’autore puo’ interessare ricerche critiche o di giornalismo culturale. Se qui si vuole discutere, si discuta del romanzo, del suo tema, della sua qualità o dei suoi difetti. Non lo si è fatto, perchhé non era questo che interessava. Ne prendo atto.

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Rossi-Landi: programmazione sociale e poesia

di Andrea Inglese
Ciò che oggi cerchiamo di definire come il campo della poesia “di ricerca”, è un tipo di lavoro linguistico, interno al programma moderno della poesia, ma che opera simultaneamente su almeno due fronti: quello degli automatismi linguistici del discorso ordinario e quello degli automatismi linguistici insiti nella tradizione del genere letterario a cui fa riferimento.

“La zona d’interesse.” Un paio di cose che ho visto.

di Daniela Mazzoli
La prima cosa che ho visto è stato un mucchietto di persone che usciva dalla sala con gli occhi sbarrati e le teste infastidite dal rumore che si sentiva forte anche da fuori. Come se fossero state costrette a uscire per via del frastuono assordante.

Respirare e basta

di Marielle Macé
Questo libro viene da lontano, da un lungo passato nella respirazione. Viene dai paesaggi avvelenati della mia nascita, da una familiarità con patologie respiratorie che da molto tempo colpiscono certe professioni, certi paesi, certe classi sociali...

Si levano i morti

di Massimo Parizzi
Ma, oltre a contadini, fra i protagonisti di questo romanzo si trovano ragazzini che vanno “a garzone”, scolari e scolare, studenti e studentesse, boscaioli portati via per renitenza alla leva da uomini “con il moschetto”, donne in rivolta contro i “birri”. E, in diversi momenti, a prendere la parola è l’autore stesso: a volte autobiograficamente (...); altre per ragionare di verità e libertà (...).
andrea inglese
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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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