Dopo internet: intervista a Giovanni Agnoloni

 Marino Magliani intervista Giovanni Agnoloni a proposito del suo romanzo “L’ultimo angolo di mondo finito” (Galaad, 2017)

MM La prima cosa che salta alla mente, leggendo il tuo “L’ultimo angolo di mondo finito” è che, pur appartenendo a una trilogia, e pur basandosi su un evento epocale, ma senza ripetere alla nausea cosa è successo, l’autore mette il lettore nelle condizioni di acquisire quasi con naturalezza il dato più importante della narrazione, il crollo di internet, tra il 2025 e il 2029, in gran parte del mondo occidentale. È questa una delle cose buone del libro: l’eccesso raccontato semplicemente; la catastrofe (la fine della Rete, badate bene, non sciocchezze) narrata senza l’iperbole. La multinazionale Macros (immaginate se l’avesse chiamata Macron!) ha devastato la Rete. Il progetto criminale è di sostituirla con qualcosa che possa permettere la conquista del mercato: la creazione degli ologrammi, una sorta di eteronimi (ogni persona ne possiede uno) che finiscono per “suggerire” la vita e gli acquisti all’umanità. Come ti è venuta in mente questa storia, quando hai deciso di scrivere una trilogia sulla materializzazione di un futuro “impoverito”?

GA Diciamo che è stato un concorso di spunti occasionali di tipo diverso, ma tutti legati all’impressione di fondo che la Rete abbia modificato fin troppo la nostra vita, rendendoci, sia pur connessi tecnologicamente, scissi da noi stessi e dagli altri. Dove prima si fissava di bere una cosa insieme a bar per fare due chiacchiere, o si faceva una telefonata, oggi si interagisce sul Messenger di Facebook o su WhatsApp. È un concreto impoverimento, ché spesso tutto questo va proprio a sostituire la capacità di relazionarsi con il prossimo nella vita reale (penso all’episodio-limite, che lessi anni fa sul giornale, di un ragazzino che, dopo aver trascorso una serata fuori con gli amici senza dire una parola, tornato a casa si era messo a chattare con loro!). E va anche a detrimento dell’interesse per la lettura attenta, con cui il mezzo digitale non si concilia bene. Ormai, sui mezzi pubblici, trovare qualcuno che legga un libro è una rarità, mentre tutti gli occhi se ne stanno bassi sui cellulari. Quindi ho pensato: e se internet non ci fosse più? Non come “profezia”, ma come ipotesi astratta, per chiedersi fino a che punto siamo diventati incapaci di essere presenti, nella nostra vita e in quella di chi ci è vicino, attuando un diverso – e ben più importante – tipo di connessione. Aggiungo poi che, nel corso della trilogia (o quadrilogia, se consideriamo anche lo spin-off di “Sentieri di notte, ovvero “Partita di anime), diventano difficoltose anche le comunicazioni telefoniche, a distanze progressivamente più ravvicinate. I droni e la nuova Rete da essi propagata in America rappresentano, fin dal terzo libro della serie “La casa degli anonimi, la fotografia di una capacità intrusiva nelle vite delle persone di fatto già oggi dispiegata dalle multinazionali della comunicazione online e della tecnologia – a dimostrazione di come i miei romanzi, nonostante l’impiego di alcuni stilemi fantascientifici, siano in realtà distopie fortemente realistiche. Con l’introduzione da parte degli eredi della Macros, nel quarto libro “L’ultimo angolo di mondo finito, degli ologrammi-copia (o spin-doctor, come a me piace immaginarli) in tutta Europa o quasi, l’isolamento diventa praticamente individuale: alle persone non interessa più comunicare con gli altri, poiché il loro ologramma-copia dà loro tutte le indicazioni di cui hanno bisogno, esprimendo il meglio di esse in base alle informazioni raccolte sul loro conto dal Sistema quando la Rete ancora esisteva. È una sorta di monito a stare attenti a quello che diciamo di noi su internet, e a non dimenticare che quelli della Rete sono strumenti sì utili, ma mai capaci di diventare fini a se stessi o di sostituire la consapevolezza di sé e l’autenticità delle relazioni.

MM I colori grigi sono come una coltre di polvere che copre il mondo, e i protagonisti di questo romanzo sono dei cercatori che man mano diventano i ricercati, e tornano poi a loro volta a cercare. A quale personaggio sei più affezionato? A Kasper che cerca Kristine, a una editor di nome Emanuela, a Aurelio, ai fratelli Ahmed e Afef?

GA Sono tutti, in modi diversi, parti di me. Riflettono aspetti del mio lavoro di scrittore-traduttore (che implica anche un occhio da editor) – e quindi ecco Kasper e Kristine, che sono autori di romanzi e saggi, ma anche Emanuela, certo –, della mia passione musicale (Aurelio è un chitarrista, e io studio chitarra classica), della perdita che ho vissuto nella mia vita affettiva e ha influenzato decisivamente anche la mia capacità creativa – e quindi penso ad Ahmed e Afef, che, da fratelli, si erano persi e si sono ritrovati, ma in generale a tutti i protagonisti. Tutti vivono viaggi saturi di assenza: da Kasper che cerca la sua musa letteraria, a Emanuela che spera di ritrovare il suo grande amore perduto, e allo stesso Aurelio che deve affrontare il demone della scomparsa (volontaria) di suo padre dalla sua vita, quando era ragazzo. Quello che sento più vicino probabilmente è Kasper, che è uno scrittore “nomade” un po’ come me, e che insegue una donna ideale calata nel mondo, visione in carne e ossa che a tratti balugina e a tratti scompare.

MM E a quale paesaggio? Abbiamo Dubrovnik, New York, la Polonia e Firenze, il Sud Italia e il Portogallo: sembra la mappatura delle lingue da cui traduci, il Nuovo e il Vecchio mondo.

GA Sì, in effetti in queste storie confluiscono le mie esperienze di viaggiatore e la mia passione linguistica, che poi è diventata una professione, unendo virtualmente l’Europa e l’America, con le lingue neolatine (francese, spagnolo e portoghese) e l’inglese, parlate sia al di qua che al di là dell’Oceano. Il tutto, però, non voleva essere uno sfoggio di “internazionalità”. Era soprattutto utile a sviluppare una trama articolata, che evidenziasse come la crisi della Rete (e la crisi a causa della Rete) avesse toccato diverse zone del mondo: se la connessione oggi è globale, non potrebbe non esserlo anche la disconnessione. Ogni luogo, poi, è carico di atmosfere particolari, che sollecitano diversamente i sensi, e questo era molto importante per far sentire il lettore sempre radicato nel qui, in contrapposizione alla percezione di (sterile) ubiquità che internet tende a dare.

MM E infine, la musica: ce n’è moltissima, anche se la genesi credo si possa dire sono i Beatles? Mi verrebbe da chiederti se ascolti molta musica quando scrivi, ma ho appena saputo che hai ripreso a suonare, e allora la domanda: ti capita di essere lì a suonare e di interrompere per descrivere un cielo di Manhattan punteggiato dai droni?

GA Sì, la musica è centrale, perché Kasper cerca Kristine basandosi su indizi apparentemente casuali trovati in giro per l’Europa, legati alla storia dei Beatles (una mia grande passione), e poi parte per l’America seguendo le orme di John Lennon. Spesso ascoltavo i quattro di Liverpool, nel periodo in cui scrivevo il romanzo, anche durante il lavoro. Poi, da circa un anno e mezzo, ho ripreso a studiare chitarra classica, col Maestro Ganesh Del Vescovo, e così ho maturato una consapevolezza ancor più piena del nesso sottile (ma robustissimo) esistente tra suono, lingua e letteratura. E questa ricchezza di sonorità ho cercato di trasfondere nel romanzo, non solo nelle parti attinenti a Kasper e al chitarrista Aurelio (spesso ritratto nei suoi momenti creativi, tanto ne “L’ultimo angolo di mondo finito” quanto nel precedente romanzo “La casa degli anonimi”), ma in tutte, e in particolare negli estratti del romanzo “L’addio di Kristine Klemens” citati in questo libro conclusivo della mia serie: qui la prosa si fa quasi poesia, per lasciar emergere un significato veicolato proprio dal suono. Quanto ai momenti in cui studio chitarra, di solito sono a tarda sera o di notte (tanto dove abito non disturbo nessuno), e per quanto non mi sia quasi mai capitato di alternare l’esecuzione di un pezzo con la scrittura, certe sonorità o timbriche su cui mi stavo esercitando mi hanno trasmesso suggestioni che in seguito ho tentato di trasmettere alle mie pagine.

 

Giovanni Agnoloni (Firenze, 1976) è scrittore, traduttore e blogger. È autore dei romanzi Sentieri di notte (Galaad Edizioni, 2012; pubblicato in spagnolo come Senderos de noche, El Barco Ebrio 2014, e in polacco come Ścieżki nocy, Serenissima 2016), Partita di anime (Galaad, 2014) e La casa degli anonimi (Galaad, 2014).
Ha inoltre pubblicato tre saggi imperniati sulle opere di J.R.R. Tolkien, ed è curatore di una raccolta internazionale di articoli sul tema.
Ospite di residenze letterarie, festival e conferenze in Europa e Stati Uniti, ha tradotto libri di Jorge Mario Bergoglio, Amir Valle, Peter Straub e Noble Smith, e saggi su J.R.R. Tolkien e Roberto Bolaño, ed è un esponente del movimento letterario connettivista.
Collabora con i blog La Poesia e lo Spirito, Lankenauta e Postpopuli.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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