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Elias Canetti. Paranoia e potere

di Davide Gatto

[segue da qui]

La prospettiva del predatore: il sopravvissuto, ovvero il potente, ovvero il paranoico

La massa aperta è quanto mai instabile e sempre prossima alla disgregazione, le mute si trasformano le une nelle altre, la vita – a pensarci bene – è una sorta di apprendistato continuo alla metamorfosi, sia per sfuggire ai pericoli che per dare il meglio di sé.[1] Tutto scorre fluido intorno a noi e dentro di noi. Canetti attribuiva tanta importanza a questa qualità umana che nell’intervista alla Tv svizzera citata in apertura dichiara il proposito di dedicare un secondo volume, di fatto mai realizzato, di Massa e potere al tema specifico della metamorfosi.[2]

Non tutti gli individui però sono inclini a scivolare di forma in forma, di massa in massa per sfuggire ai predatori di ieri e di oggi e di fatto costituire i volubili aggregati sociali che fanno la storia e le civiltà. C’è infatti chi percepisce l’altro, isolato o ancor più in massa, sempre come ostile, si sente costantemente perseguitato e sviluppa una vera e propria passione per il sopravvivere: è il potente, colui che si sente al sicuro solo quando tutti gli altri sono a debita distanza, anzi alla massima distanza possibile, rappresentata dalla loro morte.[3] Ogni sua parola, ogni suo gesto non sono che la versione domesticata del ruggito o delle movenze minacciose del predatore: vere sentenze di morte.

Di fatto il potente non è antropologicamente diverso da ciascuno di noi, in quanto “l’essenza del potere”, “il meccanismo del potere”, il suo “processo” sono biologicamente inscritti nel nostro corpo e quindi nella nostra psiche, se solo si pensa al ciclo necessario della nutrizione che altro non è se non ghermire qualcosa con le mani, stritolarlo tra i denti, dissolverlo con la digestione ed evacuarne i resti.[4]

Mentre però la maggioranza degli esseri umani ricorre al dissolvimento della propria individualità – alla cui libera espressione ciascuno ambisce, ma a giudizio di Canetti senza speranza – nella massa (ovvero nelle diverse formazioni sociali cui essa può dare luogo) o in continue trasformazioni che rendano inafferrabile la potenziale preda che sentiamo di essere, il potente al contrario percepisce se stesso come unico e superiore, mira ad annientare la massa – fisicamente o metaforicamente – da cui si sente sempre minacciato e a cui intende comunque sopravvivere, e naturalmente si sforza in ogni modo di inibire le trasformazioni, che riconosce bene come tentativi di fuga.[5]

Efficace a tratteggiare questa possibilità umana a divenire potenti o – che è lo stesso – a godere dello status privilegiato di sopravvissuto[6] è questa volta il ricorso alla descrizione clinica di accessi psichiatrici come il “Delirium tremens” tratti dalle pagine vive di Kräpelin e di Bleuler[7]: gli stati alterati della coscienza, non diversamente dalle testimonianze dirette degli etnologi, rivelano il materiale psichico autentico, profondo che struttura la coscienza dell’uomo al di qua della sua piena consapevolezza.

Tratti fondamentali della sintomatologia di un malato di questo genere – come della psicologia del potente – sono la visione di masse ostili, in particolare di “animaletti, topi, insetti” che “invadono il suo corpo in grandi eserciti”, la percezione concreta che tutto intorno a lui tenda a rimpicciolirsi, una miniaturizzazione che egli però “avverte come se fosse un gigante”, e infine allucinazioni di masse che si trasformano continuamente in altre masse, che egli osserva straniato e “naturalmente molto a disagio”.

Ora, tutte queste tendenze – unitamente ad altre caratteristiche su cui Canetti si soffermerà minutamente prima dell’”Epilogo”, nel capitolo significativamente intitolato “Sovranità e paranoia”[8], e specificamente a proposito del caso Schreber in esso compreso – [9]sono esattamente le stesse che animano la psiche del potente, tanto che – conclude lo studioso – “il paranoico è il preciso ritratto del potente”: in entrambi è prevalente “il desiderio di sopprimere gli altri per essere l’unico, oppure, nella forma più mitigata e frequente, il desiderio di servirsi degli altri per divenire l’unico con il loro aiuto”.

 

Il comando e la spina

Se il mondo degli uomini, la loro storia sono innanzitutto mossi dalla paura – ab origine dalla paura di morire -, il potente che quest’ultima incarna sta di fatto alla base dei sommovimenti sociali che attraversano i tempi e caratterizzano le epoche. Basta la sua presenza minacciosa infatti perché gli uomini si coagulino in una massa quanto più ampia possibile e – come una mandria di gazzelle in fuga al solo odore del leone – trovino una loro compatta direzione di marcia. Di fatto – ragiona Canetti – è come se il potente avesse impartito un ordine: fuggite se non volete morire.[10]

Nella forma domesticata delle civiltà cosiddette evolute, il comando non ha tuttavia perduto la suggestione di quella primitiva minaccia ed è pertanto l’arma tipica del potente. Un’arma che gli basta sfoderare per ridurre gli uomini alle proporzioni di insetti in fuga che – come si è visto sopra – popolano le visioni megalomani di tanti malati psichiatrici, ma che per altro verso, una volta sortito il suo effetto, lascia una traccia indelebile in chi si è piegato a quella minaccia, in chi ha obbedito al comando: Canetti chiama “spina” questa traccia e afferma che “La spina permane in chi esegue il comando”.[11]

La scelta del termine “spina” evoca efficacemente il fastidio e il disagio che prova chi esegue un ordine – “estraneo” alle proprie deliberazioni e “individuale”, specifica Canetti -; tanto è il desiderio di ciascuno di liberarsi delle “spine” dei comandi ricevuti ed eseguiti che tutta la vita di ogni individuo può essere vista come lo sforzo inconsapevole di raggiungere questo obiettivo.[12] Naturalmente – osserva acutamente Canetti – a ogni uomo sembrerà di dare corso alla sua vita in piena libertà, seguendo i propri impulsi, ma questo accade da un canto perché uno dei modi più efficaci per sbarazzarsi del disagio dell’ordine eseguito è appunto seguire l’impulso “naturale” ad impartire a qualcun altro, in condizioni analoghe, il medesimo ordine, dall’altro perché il processo del comando viene introiettato fin da bambini per statuto educativo universale.

Se d’altra parte non è possibile liberarsi della colpa dell’ordine eseguito – precisa Canetti chiaramente alludendo ai panni di “miti carnefici” indossati dai gerarchi nazisti a Norimberga, se non anche da Eichmann a Gerusalemme[13] -, la “spina” può continuare a restare nella coscienza dell’individuo come un corpo estraneo, qualcosa che gli è stato conficcato a forza e di cui pertanto non si sente responsabile: “Quanto più il comando fu estraneo, tanto meno ci si sente colpevoli per averlo eseguito (…). Chi eseguì il comando considera se stesso vittima, e perciò generalmente non prova alcun sentimento per la vittima vera e propria”.[14]

Esistono poi altri modi per estrarre la “spina” dell’ordine eseguito, tra i quali spicca l’aggregazione ad una massa che Canetti definisce “di capovolgimento” e che si costituisce quando la liberazione dal rancore per gli ordini ricevuti non è più possibile individualmente: “Se si tratta di soldati, l’avversario sarà l’ufficiale. Se si tratta di lavoratori, l’avversario sarà il padrone”.[15]

In generale comunque quando un comando viene impartito ad una massa, esso si diffonde dall’uno all’altro simultaneamente, riproducendo quasi preventivamente il meccanismo appena illustrato di liberazione della “spina” tramite cessione ad un altro, cioè trasmettendogli a propria volta il comando ricevuto. Per non parlare del fatto che la costituzione in massa genera sempre una euforia e un senso di libertà dalla paura tali che quale che ne sia l’occasione – anche l’emanazione di ordini “estranei” – essa riuscirà in ogni modo gradita.

Un ultimo ordine di osservazioni Canetti svolge sugli effetti del comando-spina anche sul potente che lo usa come arma contro gli altri. Il potente è perfettamente conscio che i suoi ordini lasciano tracce indelebili sui suoi sottoposti e che l’accumulo di “spine” costituisce per lui una minaccia: “Chi è fuggito o si è arreso dinanzi alla minaccia, sicuramente si vendicherà. Si è sempre vendicato, quando è giunto il momento (…)”.[16] Questo fenomeno, che Canetti definisce “angoscia del comando”, colpisce in proporzione al grado di potere ricoperto e finisce per acuire l’ossessione paranoica del potente, che moltiplicherà i suoi ordini-spine fino a quello “subitaneo di una morte di massa. Egli dà inizio a una guerra”[17] in cui molti dei suoi moriranno, al solo scopo di liberarsi della sua angoscia.

Tirando le somme della sua disamina, Canetti riconosce che ciò che rende davvero pericoloso un potente, o meglio, ciò che può fare di ciascun uomo un potente pericoloso – “Il successo dipende esclusivamente dalle circostanze casuali”[18], osserva lo studioso – è proprio la sua facoltà di impartire ordini e di infiggerli come spine nella carne viva di chi è a lui subalterno, con tutte le conseguenze sopra descritte. A chiusura del volume e in modo diretto Canetti afferma che “Chi vuole riuscire ad aggredire il potere deve guardare negli occhi senza timore il comando e trovare i mezzi per sottrargli la sua spina”.[19]

Come? Canetti è esplicito anche su questo punto: “Solo il comando eseguito fa rimanere la sua spina in chi vi ha obbedito. Chi ha eluso gli ordini non deve neppure conservarne la traccia. «Libero» è solo l’uomo che ha imparato a non rispettare gli ordini, e non quello che se ne libera soltanto in un secondo tempo”.[20]

 

L’epilogo dell’Autore nella controluce del nostro presente

I capisaldi teorici che regolano la formazione e il funzionamento delle masse in rapporto al potere, nonché la natura profonda di quest’ultimo, sono a giudizio di Canetti operativi anche oggi, anche se sotto il velo di forme di domesticazione variabili in relazione al grado di civiltà considerato: essi configurano una vera antropologia e, per conseguenza, una altrettanto vera sociologia.

All’altezza del 1960, dunque, Canetti vede nettamente predominante la funzione dell’accrescimento, che è sempre al fondo un accrescimento di uomini anche quando – come nell’era della produzione tecnologicamente assistita e dell’incipiente consumismo – esso si manifesta attraverso la moltiplicazione seriale e esponenziale di oggetti. Canetti d’altra parte in più passi del suo saggio associa strettamente sviluppo della civiltà e spinta alla crescita, che solo arcaicamente poteva essere sostenuta da una muta di guerra, ma che ora è intimamente pacifica.[21] Tanto pacifica che essa ha addirittura i tratti di una religione universale nel cui culto si riconoscono entrambi i blocchi della cosiddetta Guerra fredda, “Capitalismo e socialismo”.[22]

È del tutto evidente che Canetti, per quanto guardingo verso quello che definisce “il moderno furore dell’accrescimento”[23], considererebbe innaturali le posizioni espresse, per esempio, da Bataille ne La parte maledetta (1967), con il suo ideale di dispendio senza contropartita come condizione perché l’uomo ritrovi se stesso e perché le nazioni troppo ricche si liberino delle loro eccedenze, pena l’esplosione dell’energia vitale in guerre e distruzioni al loro interno.[24] È pur vero che Canetti si augura “fra le nazioni un avvicendamento pacifico e regolare nell’esercizio del potere”, ma al di là dell’inconsistenza che per natura hanno tutti gli auspici egli mai mette in discussione la radicata – e da lui ampiamente argomentata – tendenza degli uomini all’accrescimento.

Per quanto poi sia dato cogliere tra le ultime righe del saggio la consapevolezza almeno embrionale di questioni che sarebbero giunte a maturazione in seguito e che ci attanagliano con forza oggi – quale quella della omologazione antropologica sotto il segno dell’imperante consumismo[25], o quella del cortocircuito logico tra aspirazione a una crescita infinita e limitatezza dello spazio biologico[26] -, credo che il loro mancato sviluppo debba essere inteso non come una lacuna, ma come un invito a riflettere, a raccogliere e a sviluppare nell’ottica di un dialogo culturale senza tempo e senza confini le numerose sollecitazioni contenute nel saggio di Canetti, nella fattispecie le due segnalate.

Un invito peraltro raccolto, tra innumerevoli altri, da Pier Paolo Pasolini nella sua fitta attività di polemista contro la “nuova civiltà dei consumi, cioè del nuovo e del più repressivo totalitarismo che si sia mai visto”[27], o dai teorici della cosiddetta “decrescita” – Ivan Illich e Serge Latouche su tutti -, impegnati a strappare gli individui “dall’ immaginario dello sviluppo e della crescita”, a operare una “de-colonizzazione dell’immaginario” consumistico globale e a promuovere un modello economico alternativo, estraneo al “circolo infernale della creazione illimitata di bisogni e di prodotti, come pure della frustrazione crescente che questa genera.”[28].

[1] Ivi, p. 407: “La capacità di metamorfosi dell’uomo, che gli ha procurato tanto potere su tutte le altre creature, (…) è uno dei più grandi enigmi: ciascuno la possiede, ciascuno la usa, ciascuno la considera perfettamente naturale. Ma ben pochi si rendono conto di dovere ad essa il meglio di ciò che sono”.

[2] “C’è poi il problema delle metamorfosi, che mi ha interessato e che non ho finito di trattare nel primo volume di Massa e potere: continuerò nel secondo”. Vd. http://www.raiscuola.rai.it/articoli/elias-canetti-secondo-magris-e-calasso/3956/default.aspx: “

[3] Elias Canetti, op. cit., p.277: “La soddisfazione di sopravvivere, che è una sorta di piacere, può divenire passione pericolosa e insaziabile”.

[4] Ivi, p. 253: “Qualcosa di estraneo viene afferrato, sminuzzato, incorporato, e assimilato dall’interno; si vive soltanto grazie a questo processo. (…) È chiaro però che tutte le fasi di questo processo, non solo quelle più esterne e semicoscienti, trovano riscontro anche nella psiche. (…) Gli escrementi, che rimangono al termine del processo, sono carichi del nostro reato. Da qui si può capire cosa noi abbiamo ucciso. (…) L’uomo è veramente solo soltanto con i suoi escrementi”. Tutto il capitolo, intitolato Gli organi del potere (pp. 243-269), è uno dei più suggestivi del saggio.

 

[5] Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi Edizioni, Milano, 1981, p. 458. Dopo aver chiarito che “Il potente conduce una battaglia ininterrotta contro la metamorfosi spontanea e incontrollata” con un processo invertito rispetto a questa che egli definisce “antimutamento”, Canetti chiosa che “L’accumulo di antimutamenti determina una riduzione del mondo”.

[6] Ivi, p. 290: “Il capo vuole sopravvivere, e perciò si rafforza. Quando egli ha dei nemici cui sopravvivere tutto va bene; altrimenti, sopravviverà alla sua gente”.

[7] Si vedano, ivi, le pagg 434- 447, da cui sono tratti anche i virgolettati del capoverso successivo.

[8] Ivi, pp. 499- 561; per “Il caso Schreber”, in particolare, pp. 528 ss.

[9] Ivi, pp. 560-561

[10] Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi Edizioni, Milano, 1981, p. 366: “Il comando deriva dunque dal comando di fuga: nella sua forma originaria, esso ha luogo tra due animali di diversa specie, l’uno dei quali minaccia l’altro. (…) La fuga è l’ultima e l’unica istanza cui ci si può appellare contro quella sentenza di morte”.

[11] Ivi, p. 368.

[12] Ivi, p. 369: “Lo sprone, come solitamente si dice, a raggiungere questo o quello, costituisce l’impulso più profondo a emanciparsi dagli ordini un tempo ricevuti”.

[13] Per i “miti carnefici” cfr. Eugenio Montale, “La primavera hitleriana”, in La bufera e altro; per il resto almeno Hannah Arendt, La banalità del male, Feltrinelli, Milano, 2011 (anche se il processo ad Eichmann comincerà nel 1961).

[14] Elias Canetti, op. cit., p. 402

[15] Ivi, p. 398

[16] Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi Edizioni, Milano, 1981, pp. 372-373

[17] Ivi, pag. 571

[18] Ivi, pag. 544. Interessante anche il prosieguo del testo citato: “La loro ricostruzione, con l’illusione che vi si manifestino leggi determinate, si chiama storia. Al posto di ogni grande nome potrebbero essercene cento altri. (…) Ciascuno ha appetito e ciascuno sta come un re su uno sterminato campo di cadaveri d’animali”.

[19] Ivi, pag. 571

[20] Ivi, pag. 370

[21] Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi Edizioni, Milano, 1981, pp. 566-567. Significativo che egli consideri “La guerra come mezzo di rapido accrescimento (…) esaurita in uno scoppio di carattere arcaico nella Germania nazista e (…) eliminata per sempre”.

[22] Ibidem

[23] Ibidem

[24] Cfr. Georges Bataille, La parte maledetta preceduto da La nozione di dépense, Bollati Boringhieri, Torino, 2015, pag. 87. Si veda a questo proposito anche il mio saggio su questo libro pubblicato da Jamila Mascat su Nazione Indiana al seguente link: https://www.nazioneindiana.com/2017/04/01/la-parte-maledetta-georges-bataille/

[25] Si consideri il passo seguente di Elias Canetti, Massa e potere, p. 566: “ La vendita di per sé, se fosse completamente autonoma, tenderebbe a raggiungere come compratori tutti gli uomini. (…) Tutti gli uomini dovrebbero conseguire una sorta di uguaglianza ideale, quali compratori solvibili e disponibili.” Il corsivo questa volta è mio.

[26] Ibidem, subito di seguito: “Ci vorrebbe altro però; perché una volta che tutti fossero stati raggiunti e avessero comprato tutto, la produzione vorrebbe crescere sempre di più”. Ancora mio il corsivo.

[27] P. P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano, 2012 (articolo apparso su “Paese Sera” l’8 luglio 1974 come lettera aperta a Italo Calvino), pp. 53-54.

[28] Serge Latouche, Per un’abbondanza frugale, Bollati Boringhieri, Torino, 2012, rispettivamente pp. 22 e 13.

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3 Commenti

  1. Questo succoso scritto mi ha riportato alla mente, su tutto, il celebre aforisma goethiano: “Soltanto chi non ha bisogno né di comandare né di ubbidire è davvero grande”. Probabile che Canetti lo conoscesse ^ ^.

  2. Letta con gusto anche questa seconda parte. Mi permetto di suggerire una raccolta di saggi su Canetti che ho “divorato” qualche anno fa coltivando un mio interesse personale per le masse, nella prospettiva filosofica e psicologica, più che storico-sociologica.
    Allego un link-anteprima qui sotto:
    https://books.google.it/books?id=w0KYp7WujhgC&pg=PA35&lpg=PA35&dq=canetti+spina&source=bl&ots=GYYEZb2Cim&sig=3bL1IVpduGo6kWlhWNUDGScrgiU&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjurcnY8_rVAhWDcBoKHf9oDEkQ6AEIGTAE#v=onepage&q=canetti%20spina&f=false
    La stessa Lettrice Notturna di cui sopra.

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Jamila M.H. Mascat vive a Parigi e insegna presso il dipartimento di Cultural Studies dell'Università di Utrecht, in Olanda. Si occupa di filosofia politica e teoretica, marxismo contemporaneo, critica postcoloniale e teorie femministe. Nel 2011 ha pubblicato Hegel a Jena. La critica dell'astrazione. Ha co-curato Femministe a parole (2012); G.W.F. Hegel, Il bisogno di filosofia. 1801-1804 (2014); M. Tronti, Il demone della politica (2017); Hegel & Sons. Filosofie del riconoscimento (2019); The Object of Comedy. Philosophies and Performances (2020); A. Kuliscioff, The Monopoly of Man (2021).
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