Cuori di seppia

di Francesca Fiorletta

Filippo De Matteis ha scritto un libro delicatissimo e struggente. Cuori di seppia, il suo esordio narrativo per Elliot Edizioni, è un improvviso viaggio a rebours nei meandri più reconditi di mente, corpo e anima, attraverso un soliloquio ininterrotto popolato da presenze misteriose, personaggi lugubri e inquietanti rivelazioni.

Proprio di chi “va a fondo”, o quantomeno cerca di andare a fondo nelle situazioni, è il bisogno atavico, la spinta indomita che mette sempre l’uomo in contatto con la parte più oscura di sé. Ebbene, il “cuore di seppia” è proprio questa oscurità, è il più famoso “orrore” arguito negli occhi del Kurtz di Conrad, è il buio fitto in cui abitano le nostre fragilità, come l’ipocondria o la paura d’impazzire, e la palude stantia in cui proliferano i nostri più maniacali raccapricci, come la vergogna e la ripulsa verso un brutale omicidio.
La lingua scelta e qui utilizzata da Filippo De Matteis è musicalità leggera e spinta potente all’introspezione, e l’alternanza continua fra prosa e poesia ricalca bene, in ogni suo aspetto, il virtuosismo pericolante dell’esistenza che questo bel romanzo d’esordio racconta.
Di seguito, un estratto.

Pensò alla Viola. Forse era stato troppo severo con lei. Chissà come stava, se si chiedeva che fine avesse fatto lui. Pensava a Laure, più che a sua nonna. E poi pensava a quella ragazza che aveva lasciato senza risposte, dopo l’ultima volta che avevano fatto l’amore, al suo lungo collo. Una vocale di stupore e una costa di lattuga su cui digiunare forse per sempre. Soprattutto, più che a ogni altra cosa, pensava di non sentire la mancanza delle medicine, e che non l’avrebbe sentita mai più. 

  Sembrava aver accettato il fatto che l’unica malattia che portava addosso fosse quella dello stare al mondo, e che per essere felici non restava che allontanare la felicità, dandole appuntamenti in luoghi e orari a caso. Quindi sbagliare l’ora e il posto, di proposito. O indovinare il posto e arrivare in ritardo. Fabbricarsi una stanza isolata, un alibi di cui imbrattarsi gli occhi maldestramente per non essere tentato di raggiungere altro, attraverso i muri.
  Non restava che rassegnarsi, anche in amore. Non è una cura, l’amore. Tanto vale gettarlo via. Romperlo. Versarlo via tutto, scagliarlo lontano sul filo dell’acqua, tanto poco è il dolore delle pietre sulla schiena dritta del mare. Non si fa sentire.
  È felicità chiudere i conti con la vita. Morire aspettando la felicità, l’unico modo per starsene in pace. Credere che un giorno arriverà, come un soldato perso sul fronte, sul cui sicuro ritorno al paese le campane perderanno la loro scommessa con numerose generazioni di rondini.
  Questo aveva deciso di pensare.
 Avrebbe soltanto voluto essere più giovane, e aver imparato da bambino a suonare il violino o il pianoforte, per farsi più compagnia.
  Non che fosse ingiusto morire, anzi, ma invecchiare sì. Vedere tutta la storia invecchiare, che non vuol dire condannare la giovinezza degli attimi.
  In fondo non vi è nulla di rotto in un attimo, tutto è sospeso in un attimo. Ci sono semi di anguria che hanno volato e abitato il cielo, in un attimo, in uno sputo. Addii alla frontiera che non sono mai cominciati e ritorni che non sono finiti mai. È incendio anche lo strepitio di qualche stoppia secca sul ciglio di una strada. Si è forti senza tempo, in un attimo. Si muore, in un attimo. Ci si dimentica di morire, anche. 

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3 Commenti

  1. Un giallo che si intreccia col romanticismo con tocco delicato quanto sofisticato.
    Un raccontato che tocca corde sensibili all animo umano, profondo senza banalità, scava le viscere per poi risalire a livelli di legiadra poesia!
    Un romanzo che emoziona fino alle lacrime, trattiene il fiato e libera la mente verso ritratti lontani di lunghi e vissuti comuni! Credo di poter dire sia il libro più bello mai letto…

  2. Ho scoperto questo autore quasi per caso, attratto dalla casa editrice, che ha sempre pubblicato autori di grande qualità (credo, ma non sono sicuro, che abbia scoperto anche la Di Pietrantonio, ultima vincitrice al Campiello). Il libro è semplicemente perfetto nel suo equilibrio fra trama avvincente, densità dei temi affrontati (su tutti la malattia mentale), scrittura visionaria e ricca di suggestioni. Quasi un romanzo in poesia o una poesia in prosa, che però si fa leggere rapidamente, avidamente, quasi ipnoticamente. Il finale è, forse, uno dei più belli mai letti. Uno di quelli che persino un uomo di 56 anni come me ha “accusato” emotivamente. Consigliatissimo.

  3. Cuori di Seppia è un romanzo noir, psicologico e quasi fiabesco, unico e avvincente che arriva alle viscere già dalle prime pagine.

    Il linguaggio, denso di significati nella sua linearitá, é tanto avvolgente e caldo quanto tagliente e raggelante quando la narrazione lo esige.

    Nella trama, mai pronosticabile, sapientemente si intrecciano diversi livelli cognitivi e temporali, si alternano rapidi passi in avanti a riflessioni e contemplazioni, tanto che il lettore si sente risucchiato in un sogno.

    L’introspezione psicologica raffinata, che passa attraverso le poesie struggenti che inframmezzano i capitoli, non puó non portare ogni lettore a empatizzare con le inquietudini del protagonista e la sua disperata ricerca, comune a tutti noi, di un punto di origine e di continui punti di riferimento, che siano l’amore, la religione o chissá che altro.

    Per me, un capolavoro.

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