Rivoluzionare il sogno. Note su “Le giunture del sogno” di Sergio Finzi

 di Gianluca Garrapa

Se ti dico “psicoanalisi”, probabilmente penserai a “inconscio” e la parola “sogno” la collegherai a “interpretazione dei sogni”. Invece “Le giunture del sogno” è tutt’altra cosa. Le giunture del sogno (Luca Sossella editore, 2016) è un saggio, ma a tratti ricorda un romanzo filosofico, dello psicoanalista Sergio Finzi che, lungi dal ripercorrere la chiave interpretativa freudiana del sogno, evidenzia la sua struttura geometrica connessa con le leggi della natura, del corpo e del pensiero. Un sogno, dunque, più vicino alla filosofia e all’etica, alla matematica e alla libertà dell’uomo.

Tanto per cominciare il sogno non è il fratello gemello del desiderio represso, come la poesia non è più l’ancella della teologia. Grande rivoluzione: il sogno è afinalistico e ateologico (le frasi in corsivo sono tutte tratte dal libro di Finzi). Le giunture fanno del sogno un discorso che possiede una lingua propria, la faccia altra del pensiero, la sua estensione: un tratto non di comunicazione ma di estensione pensante caratterizza il Sogno. Le giunture appartengono al sogno e sono allo stesso tempo un’architettura che collega i frammenti della Pangea onirica. Il sogno è questa terra altra che si muove, con le sue leggi sismiche, i suoi fenomeni celesti: il sogno è cerniera – resistente – come – giuntura centinata – tra il giorno e la notte, il buio e la luce, l’essere e il nulla.

La celebre “Interpretazione dei sogni” di Freud ha insegnato a scorgere dietro la maschera del sogno, un abisso di emozioni represse, di rimossi che ritornano, di desideri inespressi, ha formato la mente di molti a scorgere nel sogno un’ancella della razionalità, rendendo difficoltoso il movimento opposto, l’apertura, cioè, alla logica del sogno, per parafrasare la deleuziana logica del senso: ciò significa che non c’è contenuto latente che preme per manifestarsi ma al contrario che il contenuto può anche restare latente finché vuole, tanto quel che conta è la sua volumetria. Il punto, anzi la linea, e meglio ancora la tridimensione, sta qui: il sogno non comunica verità che la mente non percepisce razionalmente, il sogno è fine a stesso. Non va interpretato come il simbolo di un antico trauma o di un prossimo avvenimento, non porta le pene del passato, né è foriero del prossimo futuro: il sogno non parla il linguaggio del mistero, parla il linguaggio galileiano della geometria. Vaticinio o smorfia che sia, appiglio per la cura psicoanalitica, brandello di chissà quale verità sepolta, per molto tempo il sogno è rimasto relegato in quel mondo fatto di rimandi ancestrali e inconsci che ne hanno svilito la ricchezza; nelle pagine ipnotiche e spiazzanti di questo romanzo-saggio s’impone, invece, come il protagonista di cui restiamo succubi, perché nel qui e nell’ora la sua azione ci rende sognatori: un sogno è un sogno è un sogno: e in questo modo il sogno prova la sua natura asimbolica che lo sottrae alla presa di griglie interpretative basate sul mito o sugli archetipi dell’inconscio collettivo.

Questo saggio pare un romanzo-saggio, tale da avere caratteristiche che possano condurre il lettore lungo le pagine nel farsi racconto, ma al contempo, e contrariamente a un romanzo che assume una struttura in cui la trama di passioni amore e morte svolgono il loro ruolo, il sogno non rivela passioni o desideri, ma strutture.

Come un’opera d’arte, dunque, il sogno crea tagli e stacchi, rimonta, glissa, nasconde, indipendentemente dalla volontà del lettore-osservatore: quella che è stata chiamata censura onirica opera qui non sui pensieri del sognatore ma sul sogno stesso.

Smetterla con l’onirocentrismo del sognatore, per così dire, è una buona pratica, anche politica.

Cambiare le domande e riscrivere le risposte: non ci si chieda dunque: cosa significa un sogno, ma: Chi scrive il sogno? o: Da dove è scritto il sogno?

Certamente non sono io mentre dormo a costruire il sogno, così come non sono io da sveglio a costruire il linguaggio delle cose in cui sono immerso. Le montagne, il mare, il cielo, il corpo: oggetti che ci sono da prima che io nascessi, posso “smontarli”, come fanno i bambini con i loro giocattoli, ma non ha senso interpretare la presenza del mondo per assegnarle una discendenza ultraterrena o per affidarle un presagio. La cultura influenza il modo di percepire il mondo, ma l’oggetto-mondo è lì e ci rimarrà anche dopo la mia morte, la sua presenza è assoluta e staccata da qualsivoglia interpretazione. Anche il sogno è una cosa del mondo, e mi contiene, non il contrario: i sogni sono molto più intelligenti delle persone che li “fanno” e soffrono del tentativo di impadronirsene con delle spiegazioni di senso. I sogni non vanno interpretati, vanno decostruiti secondo le leggi del loro montaggio.

E non a caso l’autore usa il termine ‘montaggio’ come si trattasse di un’operazione filmica. Siamo davanti al cinema del sogno, seduti a visionare l’attimo che crediamo catapultarci altrove. In effetti la nascita del cinema e della psicoanalisi coincidono in quella giuntura del 1895 che forse resta solo una sincronia piacevole, ma che è bene sottolineare: unione di segmenti indipendenti sul nastro della storia che ha costruito parte della pietra angolare della percezione moderna del mondo: tecniche teatrali e cinematografiche, come mutamenti di scena, movimenti di macchina, zoom e sdoppiamenti, creano momenti di verità cui il sogno, l’impianto stesso del sogno, sembra piegarsi e sottostare.

E in questo movimento di macchina non è il sogno che ti porta fuori dalla realtà, è la realtà che entra nel sogno. Il sogno si svela al nostro occhio interiore, quasi proiettandosi e chissà dove è collocato il proiettore e a noi non resta che spegnere le luci nella sala-esistenza, abbassare le palpebre e abbandonarci al film: la struttura matematica del sogno è indipendente, non è associata all’emozione erotica che esso comunica. La teoria del sogno è estranea al soggetto che lo sogna.

Dunque teoria e non interpretazione, corpus di personaggi, angolature e oggetti che avvengono nell’attività onirica, oggetti tanti (gli oggetti del sogno sono per definizione incongruenti, eterogenei, spurii), scale, spatole, muri, coni, giornali, scatole, armadio, sedia, tavoli: questa eterogeneità degli oggetti del sogno richiede uno spostamento della lettura del sogno dall’interpretazione alla teoria.

Finzi ci racconta, attraversando la clinica fenomenologica dei sogni di alcuni pazienti e di alcuni psicoanalisti in supervisione, la mutazione antropologica copernicana del sogno, virando la dimensione dalla linearità verticalizzata genetica classico-interpretativa verso una nuova disposizione che cerca di cogliere rapporti incommensurabili tra il quadrato e il cerchio, la piana lineare della terra, la sfera del cielo, la parola e l’immagine, attraverso un metodo di esaustione che consiste nel moltiplicare i lati di un poligono, in diagonale, finché la perfetta circolarità non sia raggiunta. Il chiudersi in sé, questo sembra dirci la geometria del sogno: il sogno si spiega coi sogni.

Una ragione analitica, senza memoria, senza tempo, senza religione, senza desideri e senza progetto, senza discorso e senza logica, ci fa finalmente ammettere ciò che da sempre sappiamo ma che pensavamo di dover nascondere.

La diagonale, dunque, è la dimensione del sogno. Come il frattale lo era di una logica sensuale decostruzionista e rizomatica. La diagonale che taglia il riquadro di un fumetto per farci stare la simultaneità di una telefonata tra due personaggi distanti nello spazio.

La diagonale del e\o, la diagonale che ricorda la barra del linguaggio che segna il soggetto e lo traumatizza, di lacaniana memoria: è l’immissione nel linguaggio che produce il trauma. Il trauma è di parola, prodotto di ciò che se ne dice.

Il linguaggio che parla il parlante, il sogno che sogna il sognatore.

È questo l’intento del sogno: spostare l’accento dal soggetto agli oggetti, dalle cose ai congegni, dal funzionale al disfunzionale, dalla parentela al vicinato, dal dono al mercato, dalla filantropia al commercio, dal generativo al vegetativo: compare la diagonale.

Non solo i sogni parlano un linguaggio che è estensione di pensiero, e che coniuga spigoli, forme e dimensioni che sono quelle della natura e del cosmo, ma anche i sogni ci parlano del nostro corpo, non c’è metafisica. Con buona pace dell’idealismo platonico, il romanzo-saggio di Finzi ci riporta con i piedi a terra: le strutture centinate del sogno si applicano alle giunture e articolazioni del corpo, sicché movimento di caduta e immobilismo claustrofobico al cui incubo non riusciamo a strapparci, sono i poli opposti di uno spettro attivo: l’artrosi e la corsa solo i due estremi del sogno.

Il sogno o i sogni? Ma soprattutto chi sogna?

Che lingua parlano i sogni? Di cosa parlano? A chi parlano?

Il soggetto? È forse il processo onirico un fatto individuale che non tiene conto del mondo intorno? Siamo di-vidui, divisi in sogno e realtà e il sogno tratta solo con altri sogni, cioè sogni di altre persone. E quel che ci riguarda come sognatori è emblema della nostra socialità, da un lato, e della nostra ‘sottomissione’ al sogno: ma cosa contano le mie associazioni se il sogno non è mio? Forse ogni sogno è comune, ed è questo che ho chiamato comunismo rozzo.

 Se è vero, secondo un punto di vista che vede il proprio fondatore in Jacques Lacan, che siamo parlati e che il nostro io non è che un’ effimera cipolla immaginaria speculare ai nostri genitori, è altrettanto vero che il sogno ci sogna, creando lui stesso i nostri oggetti onirici e connessi, senza alcun interesse per un’interpretazione generativa: le giunture dei sogni non connettono le persone, ma gli oggetti dei loro desideri.

Non dunque, ripetizione, espressione di desiderio represso: è maschera il sogno.

Proprio quella maschera che dal teatro greco crea i personaggi di una tragicommedia surreale che ha il proprio linguaggio e le proprie regole, universo parallelo di leggi proprie che ne amplifica voce e respiro. Dunque il sogno con il suo discorso, la sua retorica, il suo stile trans-personale e rivoluzionario. Il sogno è di tutti, ognuno ne modula la frequenza.

Quello che accade è che il sogno si organizzi in spazi geometrici pure, un teatro delle pure forme: l’etica del sogno coincide con la sua forma.

Desiderio e godimento sembrano declinarsi in fatica e lavoro. Un che di politico riguarda il sogno.

Il libro racconta i sogni di individui come in una sorta di raccolta onirica di una flatlandia reale. Non possiamo non pensare allo “psicoanalista-matematico” Matte Blanco, al suo inconscio come insiemi infiniti: dove un’antilogica ci spinge a dover considerare l’estrema possibilità di una fine come ulteriore tassello dell’inizio: secondo il sogno la morte aggiunge un tassello alla vita.

Ma qui non è solo certezza matematica, quanto algebrica onirica della X: l’incognita del sogno riguarda il suo intento, figure della progressione geometrica che organizzano il discorso onirico.

Ritorna spesso il cerchio e il quadrato a ricordare il Mandala. E non casualmente, Castaneda ritorna spesso a darci il significante coreutico del sogno, come visione dilatata del presente, dono dello sciamano matematico-musicale che cura: un tipo di cura aritmetica, astronomica e anche meccanica, per il potere riabilitativo della protesi cui attinge il funzionamento delle giunture del sogno, può sostituire la cura psicologica perché le assomiglia.

Il piacere della lettura sta anche nel rileggere la Poesia di Leopardi, l’interpretazione di Gadda dal punto di vista di Gabriele Frasca: perché? forse non è matematica canora, alle origini, la poesia? e non v’è quel sottile legame, in negativo, tra rottura della musicalità e nevrosi ossessiva?

La nevrosi ossessiva è l’espressione di una straordinaria sensibilità ritmica.

Proprio l’arte è l’esempio di sublimazione che mette insieme elementi differenti per costruire un modo realistico ma in un’altra dimensione.

Il romanzo-saggio, che non è quello del nevrotico, ma quello del sogno, che vive di leggi e strutture proprie. E le strutture del sogno sono le stesse che regolano l’avvicendarsi delle stagioni, il congiungersi delle ossa, la giuntura di cerniere che uniscono separando e separano unendo: una cerniera rompe senza lacerare, riunisce senza cucire.

Il tempo del sogno non è il passato, è il futuro anteriore, o il presente di domani: non è ancorato indietro ma è ancorato in avanti.

La bellezza di un saggio del genere è che diventa una sorta di romanzo-saggio giallo, come romanzo-saggio giallo può essere un sogno, un giallo matematico: il Sogno è insensibile agli affetti ma molto interessato le idee. Un tragitto che non possiamo comprendere fino al risveglio, una trama che svolge enigmi e sospende il dubbio sulla soluzione: il sogno ha delle giunture che non sono giunture di senso, sono giunture di controsenso come i rebus.

La psicoanalisi diventa critica e il sogno si fa saggio tragitto tra citazioni bibliche, iconografiche, (il sogno di Costantino, la morte di Adamo in Piero della Francesca e la storia della vera Croce)

  • riferimenti cibernetici: alla luce di questi sogni, il dualismo di san Paolo o di san Giovanni non è manicheo, è cibernetico
  • accostamenti a una santità laica: il sogno ha la stessa natura delle reliquie
  • alla Poesia di Leopardi che ispira: il sogno è la lama di luce che divide ricordanze e rimembranze, la nudità del reale e il rivestimento della realtà
  • al capolavoro-pasticciaccio di Gadda: questo romanzo-saggio fa spazio e ci regala una meditazione sul nostro essere, il sogn-essere.

Una scrittura che spinge a riflettere sulla fatica del sogno che non vuole interpretazione: la fatica del sogno è invece fatica per niente. Le nozioni di lavoro del sogno e fatica del sogno non coincidono.

Perché se un inconscio c’è, si trova qui fuori e ci riguarda tutti: non esiste un mucchio di sogni. Esistono segmenti di un discorso pluralistico e orchestrale.

Scandaloso monito in epoca di narcisismo e individualismo estremo, in questo i sogni non ci somigliano: i nostri sogni non condividono la nostra ricerca della comodità.

Un sogno è una poesia che nasce dal corpo. Un sogno di geometria: il sogno è materia di geometrie, geometria piana e geometria solida, e la solidità delle forme astratte del sogno ha la meglio sulla solidità delle forme corporee.

Una poesia che gioca di parole e canta senza voler dire altro che sé stessa. Un Pollock, un sottile riferimento a quello strano classicismo baudelairiano che nei sonetti scriveva le corrispondenze, le visioni oppiacee: la struttura del mondo naturale è composta di una rete sottilissima di corrispondenze invisibili, ma pure del corpo erotico da cui il canto emana il verso. E il corpo è anche il piede, non solo il piede che ha dato origine al battito e levare della metrica, ma forse pure della scansione ritmico-geometrica del sogno: io credo che il sogno si irradi da quella rottura del piede e rimetta in gioco la questione della mobilità delle articolazioni e dell’elasticità dell’intelligenza.

Leggere, studiare e sognare questo romanzo-saggio permette di provare la sensazione di un sogno che mistericamente guida e consiglia, un dettaglio deciso dallo sciamano-mondo là fuori, ammaliando attraverso caleidoscopi lisergici e addestrando il dormiente a sopportare i colpi del destino proprio come accade nella nuova dimensione dell’Alzheimer, la cui esistenza è imprescindibile dall’inventore del nome della malattia. Un disconoscimento, un riassestamento magnetico delle traiettorie.

Per uno psicoanalista, infine, e soprattutto, il libro è un indispensabile messaggio, guida fondamentale alla postura di estrema umiltà e ascolto, che eviti la smania narcisistica del voler far centro e interpretare, implementandolo, il sintomo: alla struttura dobbiamo fermarci, e relegare in vane chiacchiere le discendenze lontanissime del trauma verso cui un analista isterico conduce il paziente per fare il proprio gol, rendendo più isterico l’isterico, più psicotico lo psicotico: non le navi partono, per l’ira non trattenuta di Mosè, ma si vive per il tempo che una nave ritorni. Questa fu l’interpretazione del sogno.

Allora… buoni sogni!

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1 commento

  1. Interessantissimo articolo. In effetti i sogni, se ci si pensa, sono qualcosa di straordinariamente paradossale. La coscienza del dormiente crea e insieme osserva l’intero sogno. Il sogno è, anzi, letteralmente “fatto” della coscienza del dormiente, la quale, restando sempre una sola, appare come molteplice nelle infinite forme oniriche (montagne, automobili, persone buone e persone cattive, eccetera). Finché accade una specie di magia ipnotica: la coscienza del dormiente apparentemente “si restringe” per identificarsi con un solo personaggio onirico, che diventa il “protagonista” del sogno (che in genere, ma non sempre, è una copia del dormiente). Ed ecco che, da questo momento in avanti, si crea l’illusione che la coscienza risieda soltanto in quel personaggio; attraverso i cui occhi, tutto il resto del sogno appare “fuori” di lui, con tante persone dotate di singole coscienze individuali.
    Eppure, in realtà, il protagonista del sogno non è nemmeno “cosciente”, dal momento che anche la coscienza apparentemente “sua” è sempre e soltanto la coscienza del sognatore – la quale, pur illusoriamente confinata “dentro” quel personaggio, continua ad essere anche tutto il sogno (a volte succede anche che, come nei videogiochi, la visione “in soggettiva” in prima persona si alterni a una visione “oggettiva” in terza persona).
    E chissà che lo stato di veglia, per quanto assai differente da quello onirico, non abbia la stessa struttura e che “a monte” della coscienza ordinaria non vi sia una coscienza “impersonale” e universale. Anche sulla base di questa ipotesi, non è forse impossibile che, nel sogno, tale coscienza unica possa saltuariamente “entrare” in personaggi diversi, vivendo molte vite diverse (come è, tra parentesi, capitato in dei miei sogni anche piuttosto recenti).
    Forse, le giunture del sogno – bellissimo concetto, questo – (ci) connettono più di quanto non sospettiamo.

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