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OT GALLERY (una retrospettiva # 2)

MOSTRE TEMPORANEE

 

a cura di Massimiliano Manganelli

 

La stanza è interamente occupata da un enorme lavabo nel quale scorre continuamente l’acqua, da un rubinetto altrettanto enorme. Si esce solo attraverso lo scarico.

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a cura di Andrea Raos

 

Proiezione di un video che documenta la vita in un accampamento di indiani nazisti. Indiani d’America, con i tepee, le squaw, i fili di fumo. Atmosfera di primo inverno. Svastiche sui lati delle tende e al braccio di uomini e donne. Normali dialoghi e scene da indiani dei film western, ma inframezzati da saluti a braccio teso e Sieg Heil pronunciati con inconfondibile accento nativo americano.

 

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a cura di Alessandro De Francesco

 

La stanza sembra vuota ma non lo è: vicino all’angolo in fondo a destra, sul pavimento, una palla di 18cm di diametro fatta di tessuto organico, creata appositamente in laboratorio, e biologicamente viva. Di colore rosaceo tendente al rosso, essendo fatta di pelle e irrorata da un apparato circolatorio, la sfera respira a ritmo regolare ma non ha orifizi visibili. Non emette suoni.

 

Senza titolo, 2014

Sfera viva in tessuti organici (carne, pelle, vene, organi interni)

Diametro:18cm

 

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a cura di Alessandro Broggi

 

Da un guardasala della galleria addetto al volantinaggio al centro dello spazio espositivo ciascun visitatore riceve un piccolo foglio bianco con sopra scritta una data futura.

 

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a cura di Mariangela Guatteri

 

In una delle pareti di questa stanza è stato scavato un buco a forma di parallelepipedo. Questo buco parallelepipedo ha le stesse dimensioni della stanza ma in scala 1:4. Rispetto a questa stanza, il buco è collocato in alto, nella parete di fronte all’entrata, a 1 metro e 75 dal pavimento. Di fronte a questo buco parallelepipedo è installata una webcam che si collega in Rete in giorni e orari non predeterminati. Quando si collega, questa webcam trasmette ogni 15 secondi le immagini live del buco parallelepipedo. In questo buco parallelepipedo si installeranno in seguito mostre temporanee trasmesse in Rete ogni 15 secondi dalla webcam che invia immagini live in giorni e orari non predeterminati. Oggi si inaugura questo buco parallelepipedo qui alla OTgallery, nella stanza delle mostre temporanee. Questa mostra si intitola Omaggio a Josef Albers. 2014. Webcam, misure ambiente, misure ambiente in scala.

 

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a cura di Damiano Abeni

 

DARCY ALL’IPPICA

Sette opere figurative di Emidio “Velvet Underground” Banana, 2014

 

– Pare te

Acrilico su lastra di alluminio, 21.0 x 29.7 cm

Su un arcobaleno perfetto galoppano tre puledre rosse che, raggiunta la fine dell’iride, continuano la corsa lungo il muro, ingrandendosi progressivamente fino a raggiungere la dimensione naturale. Allora, con un balzo scompaiono attraverso la parete.

 

– Mantello

Olio su tela, 42.0 x 59.4 cm

Il pelo dell’acqua divide mare e cielo. Sott’acqua un pegaso nero, tra le nuvole un cavallo pinnato. Il pelo dell’acqua è quello di un palomino, ocra dorato con crini tendenti al bianco argenteo.

 

Mi costa una vita

Acquarello su benzina, 84.0 x 118.8 cm

Motocicletta. 100 (esagero) cavalli. Tutta cromata. E tu che dici sì.

 

– Darsi

Tecnica mista in acqua, 168.0 x 237.6 cm

Nell’immarcescibile camicia bianca, grondante liquido amniotico, Colin Firth emerge dal fianco di un cavallo che ha le fattezze di Colin Firth.

 

– Pro verbo

Inchiostro tipografico su tenda da campeggio, 336.0 x 475.2 cm

La tenda è interamente coperta dalla scritta SIAMO A CAVAL DONATO L’OCCHIO DEL PADRONE INGRASSA.

 

– Equi libri

Aceto su tavola pitagorica, 672.0 x 950.4 cm

Un cavallo triangolare, uno tondo e uno quadrato risolvono – rispettivamente – il problema della quadratura del cerchio, della duplicazione del cubo e della trisezione dell’angolo.

 

– Horses

Penne a sfera su carta stagnola e liste della spesa, 1344.0 x 1900.8 km

In una smaccata imitazione dello stile di Chuck Close viene ritratta un’amazzone nuda a cavallo, in cui alcuni riconoscono Patti Smith, altri Patrizia Cavalli, altri Ave Ninchi.

 

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a cura di Brunella Antomarini

Il suicida perfetto

Nella galleria è stata scavata una buca alta quanto la profondità media dei quattro fiumi più grandi del mondo, ed è stato innalzato un muretto alto quanto la distanza media tra ognuno dei quattro ponti più grandi del mondo e i fiumi su cui sono stati costruiti. La buca è piena d’acqua dolce. Viene accompagnato in galleria il suicida perfetto. Il suicida perfetto sale sul muretto e si addormenta disteso sopra il muretto.  Gli spettatori, raccolti intorno alla buca, guardano dal basso il suicida perfetto e nel giro di qualche ora o di qualche giorno, il suicida perfetto cadrà. Si assisterà alle varie fasi dei movimenti del corpo e delle varie espressioni del viso durante la caduta, dal risveglio alla sorpresa, al ricordo improvviso del progetto suicidario, all’orrore della morte, al piacere di volare.

Brunella Antomarini ha donato alla OTgallery la scultura “Monumento ad una hostess”, collocato nello spazio antistante l’ingresso della Galleria.

 

Monumento a una hostess

Il monumento in bronzo è una donazione dell’autore alla galleria e viene mostrato nel giardino di fronte; è alto 10 metri e rappresenta una giovane donna in uniforme da hostess che guarda con curiosità una bottiglietta di profumo che tiene in mano. Si tratta della hostess della Delta Airlines che un giorno del settembre del 2014, intorno alle 19.50, rilevò al metal detector una bottiglia di esplosivo camuffata da profumo, non se ne accorse ma le piaceva la marca, Casaque de Jean d’Albret. Con la scusa che la capacità eccedeva i 100ml, la prese e la portò a casa, sventando così un attentato aereo di vaste proporzioni. (E’ probabile che una volta aperta la bottiglietta, la hostess l’abbia svuotata nel water, non sentendo nessun buon profumo.)

 

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a cura di Alessandra Greco

 

International Date Line_Meridiano 180°

 Sul piano di percorrenza (P) è riportata l’esatta riproduzione grafica del 180° meridiano terrestre. Solo percorrendo la linea in direzione Nord viene realizzato da Ovest l’ologramma di un immediato se stesso che viene progressivamente ‘verso’ il soggetto, in direzione Est l’ologramma di un immediato se stesso che progressivamente si allontana dal soggetto. Percorrendo il meridiano in direzione Sud si invertono i percorsi dei se stessi olografici. La velocità della figura d’onda è proporzionale al tempo di percorrenza (TP) del soggetto. I visitatori in sala che non si trovano sulla linea di percorrenza non visualizzeranno figure d’onda.

 

(Vision & Still Time Reali (img olografica scala 1:1) – Still Time_RealOne OloGraphic Tecnology Production, 2014 EC)

 

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a cura di Andrea Inglese

Ready bear (gnam gnam!)

Un uomo a un angolo della stanza. Una bistecchiera professionale all’angolo opposto. Un tavolino da campeggio apparecchiato al terzo angolo. Un lettino allestito su una brandina da campeggio all’ultimo angolo.

L’uomo a un angolo della stanza, indossa uno zaino capiente da alpinista, bermuda color cachi, stretti da una cinta di pelle marrone, calze di cotone grosso a rombi, la camicia infilata dentro i calzoncini, scarpe da pescatore, un cappello da pescatore, vomita degli orsacchiotti, che dopo essere caduti ai suoi piedi, si mettono lentamente in moto e cercano di raggiungere l’uscita. Dopo mezz’ora il ciclo del vomito si arresta per un paio d’ore. L’uomo si muove dal suo angolo, con gesti rapidi e efficaci raccoglie un gran numero di orsacchiotti, li sistema sulla bistecchiera in funzione. Dopo una decina di minuti, li raccoglie su di un vassoio e li posa sul tavolino da campeggio. Si siede e ne mangia in abbondanza e con straordinario appetito. Finito il pasto, si dirige al lettino, vi si sistema e si appisola per un’oretta. Dopo essersi svegliato va nell’angolo libero, e inizia a vomitare nuovamente degli orsacchiotti.

All’entrata, il visitatore trova un raccoglitore, con ritagli di giornale e volantini di denuncia del WWF e altre organizzazioni animaliste.

Ogni singola azione dura due ore e mezza. L’esposizione comprende, giornalmente, tre cicli ininterrotti di azioni performative, che iniziano alle 9.30 e si concludono alle 17.

 

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a cura di Luigi Socci

 

It’s a live – Performance (corpi umani, cose, tempo)

All’ingresso si entra subito nella vita vera. Alle spalle si chiude la porta con due giri di serratura. Il malcapitato è costretto a rendersi conto di non avere voce in capitolo anche se talvolta l’istallazione può dare l’impressione di essere interattiva. Le cose cambiano mano a mano che si va avanti. L’esperienza può essere personalizzata. Il vecchio sistema di dischi rotanti è sostituito da quello moderno con i pulsanti. Accadono anche altri avvenimenti più o meno importanti, ma tutti sempre molto interessanti. Ciò che l’artista ci vuole dire (ma che essendo muto prova a dirci col linguaggio dei gesti (ma essendo monco prova a dirci col linguaggio degli occhi (ma essendo cieco prova a dirci col linguaggio dei fiati (ma essendo ossuto non può che dirci col linguaggio dei peti)))) è esatto.

 

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a cura di Vincenzo Ostuni

 

(«Due identiche materie bombate, sottili ai bordi più spesse al centro, di una variante di alluminio opaco, con proiezioni romboidali o quadrate, | di circa 25×25; || ciascuna decorata sobriamente con un paio di quadratini di stoffa blu, un breve orlo della stessa, su uno o due lati, | non completamente bordati; || nell’intercapedine fra le due un denso fluido blu, che fuoriesce dai margini per compressione o strizzatura; | nessuna mano che sostiene la configurazione, che piuttosto appare sospesa nell’aria, ma intensamente oscillante | con un periodo brevissimo, || come scossa telecineticamente da un’imprecisata agenzia bestiale, | mutante»).

 

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a cura di Simona Menicocci

 

LE DIECI COSE (reali ma non attuali, ideali ma non astratte) DA FARE PRIMA DI USCIRE dalla OTgallery di Giulio Marzaioli.

Nel corridoio completamente vuoto che porta alla sala dedicata alle mostre temporanee sono disposti, a una distanza di 60 cm l’uno dall’altro, 10 leggii sui quali vi sono dei dépliant che spiegano le 10 installazioni ai visitatori.

Ogni dépliant è un foglio A4 piegato orizzontalmente in 2 con carattere tipografico Adobe Caslon Pro, corpo di 14 pt e interlinea di 19 pt.

Qui di seguito riportiamo i testi di ogni dépliant.

#1: CREONTE E LA GOMMA

All’interno dell’arco della porta (2,00 x 1,20 m) di ingresso della sala vi è un muro di elastomeri.

Sopra la porta vi è un cartello con scritto: SI PREGA DI ENTRARE.

#2: LA SIRENA SORDA

Al muro è incollato un cannocchiale prismatico sormontato dalla scritta: SI PREGA DI GUARDARE.

#3: EXIT of RAGE of DY

Sul muro è posta una porta in disprosio, il cui contorno ha dimensioni di 2,00 x 1,20 m.

Al centro vi è un maniglione antipanico rosso. Su di esso è stampata, con una speciale vernice antimicrobica agli ioni d’argento, la scritta: SI PREGA DI USCIRE.

#4: 273 CAGES

Al muro è incollato un megafono sormontato dalla scritta: SI PREGA DI NON FARE SILENZIO.

#5: LA LINGUA NON È UN MUSCOLO

Dal muro sporge una silence cabinet in materiale metallico con ante di legno e pareti in vetro trasparente. All’interno della cabina vi è un Rotor a gettoni e a schede telefoniche con dimensioni di 0,44 × 0,24 × 0,185 m. Dalla cornetta che penzola all’ingiù fuoriesce il suono di una voce che sta parlando in Taushiro.

Sulla cornetta c’è scritto con un pennarello nero: SI PREGA DI NON RIAGGANCIARE.

#6: L’ATEISMO È UNA COSA SERIA

SI PREGA DI TOCCARE ogni cosa e persona presente nella galleria.

#7: EROS è uno IONE (ovvero un’entità dotata di cariche elettriche)

Il muro funge da testiera di un letto a tre piazze nel quale vi sono due persone che praticano a ripetizione tutte le posizioni del kamasutra, che è possibile consultare sul comodino a sinistra del letto.

Sulla stoffa dell’abat-jour a fianco del libro è ricamata la scritta: SI PREGA DI DISTURBARE E DI VOLTARE PAGINA.

#8: IL TERRORE NON HA COLORE

SI PREGA DI LASCIARE QUALCOSA INCUSTODITO da qualche parte nella galleria.

#9: GO TURTLES!

Sul muro è appesa la riproduzione anastatica del testamento di Zenone di Elea seguita dalla traduzione in italiano: SI PREGA DI TIFARE PER LE TESTUGGINI.

#10: PROGRESS WIND

Nel muro è stata scalfita, in tedesco e in italiano, la 19° tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin ritrovata una settimana fa da Giorgio Agamben alla Biblioteca Nazionale di Francia:

SI PREGA DI NON RIPROVARE PIU’ TARDI MA ORA.

(Installazione sponsorizzata da Wind Telecomunicazioni S.p.A.)

 

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a cura di Maria Grazia Calandrone

 

CARPE INVISIBILIA

 La stanza possiede un’unica via d’accesso:

la cornice bianca di una porta senza porta, al lato destro della quale è appeso un cartello smaltato di bianco che reca in stampatello la scritta color oro: “si entri uno alla volta!”.

A prima vista la stanza appare vuota ed estremamente bianca.

Ma, volgendo attorno lo sguardo, il visitatore noterà, immediatamente a sinistra della cornice della non-porta, un orologio in cromo lucido, fissato alla parete per mezzo di un perno centrale che lo fa ruotare, alla velocità dei secondi, su ciascuno dei 24 spicchi numerati nei quali è diviso.

Lo spettatore penserà, dunque, che l’opera sia stata posta a significare che, in quel luogo, un giorno trascorra alla velocità di 24 secondi. Qualora l’ospite, nel frangente della visita, versi in condizioni di imperfetta salute psicofisica, si immalinconirà, ritenendo di venire indotto a credere che addirittura 2 anni della vita di un uomo possano sgranarsi e venire dimenticati come i 24 secondi di un unico giorno.

A prima vista la stanza è questo mero suggeritore di considerazioni superflue intorno alla fatuità del tempo.

L’ospite avveduto si accorgerà, però, che essa contiene anche tre figure bidimensionali, tre spoglie bianche, perfettamente identiche e perfettamente aderenti alle rispettive pareti, le quali – spoglie e, dunque, pareti a esse retrostanti – appena poste sotto il calore di uno sguardo umano, si animeranno di una certa crescente vitalità.

In una progressione parallela e contemporanea, le tre sfoglie d’intonaco, le tre candide larve, prenderanno infatti la parola e, con essa, la vita.

Questa è l’opera vera.

Le tre icone si faranno ora più o meno intorno al loro ospite.

L’icona a sinistra del visitatore gli dirà “sì”, quella a destra gli dirà “no” e quella che si è staccata dalla parete posta di fronte alla non-porta, dirà “forse”.

Poiché le figure possiedono una propria discrezionalità e indipendenza di giudizio, scopo non certo della presente installazione è la fusione delle sagome in un’unica entità del colore dell’oro, che prenda una decisione, affinché l’ospite frastornato possa tornare allo stato infantile di serena certezza sulle cose del mondo e sulle sue creature.

La riuscita di questa operazione dipenderà dalla relazione che l’ospite medesimo sarà riuscito a instaurare con le pareti della stanza. Tanto più egli sarà stato in grado di scavalcare le apparenze, immaginando in piena libertà e osservando con indiscriminato amore tutte e tre le figure del piccolo dramma, tanto più egli avrà infuso calore a quel triplice altare verticale, tanto più il corpo appena nato assumerà una terza dimensione, nella quale si innerveranno circuiti venosi e prenderanno forma e consistenza i consueti organi umani.

Se le cose poi andranno veramente al meglio, accadrà infine che da quegli occhi nuovi verranno emanati sguardi del colore dell’oro fuso.

In precedenti allestimenti è purtroppo accaduto che gli ospiti abbiano desistito prima del culmine della bellezza, bofonchiando frasi delle quali abbiamo colto esclusivamente le significazioni finali, nella forma gergale di “sangue dalle rape”, difficile da contestualizzare nel presente contesto mitologico.

Si rimanda per ciò a esegeti maggiormente disincantati.

Scopo finale dell’installazione è, quindi, che quell’oro, così colato in una forma umana, si risolva a prendere l’amante-generatore sottobraccio e con esso fuoriesca dalla camera bianca, producendosi in una passerella di benevolenza.

L’unica volta che la creatura d’oro è uscita dallo spazio bianco, si narra abbia scelto di bere la selezione di caffè soprannominata “veleno”.

Si segnala per ciò l’opportunità di recarsi a visitare l’opera premuniti di una vestaglia o, perlomeno, di un gonnellino di paglia, di un kilt, di un pannicello di qual sia natura, col quale ricoprire la Figura, allo scopo di evitare che essa susciti passioni amorose e/o incontinenze di natura difforme negli avventori della galleria o, del caffè, negli spettatori in fila lungo i corridoi della galleria, o, peggio, nei funzionari di sala, i quali, profittando della propria quotidiana frequentazione del sito, potrebbero occupare la stanza in via permanente, agiti da comportamenti ossessivi e/o aggressivi.

In tempi non remoti è infatti accaduto di trovarci costretti, nostro malgrado, alla rimozione forzata di un individuo incappucciato che guaiva – accompagnandosi con effetti di dubbia lega elettronica –inginocchiato ai piedi della parete di mezzo, all’evidente scopo di estrarre almeno un “forse” da quella bianca miniera ortogonale e lamentando di venire altrimenti inzuppato dalla pioggia acida consuetamente denominata “disamore”.

Perché l’Opera continui a essere tale, è infatti necessario l’avvento di un nuovo scisma: il corpo, posto in stato di solitudine al centro della stanza, dovrà tornare a scindersi nelle proprie tre spoglie, le quali si scioglieranno nello spazio bianco della struttura-madre.

Il titolo dell’opera è:“CARPE INVISIBILIA”.

Il sottotitolo, posto a esergo dell’esposizione, è: “SI ENTRI UNO ALLA VOLTA”

 

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a cura di Riccardo De Gennaro

 

Ars longa vita brevis

Al centro della sala è posta in originale la Barcaccia del Bernini, esattamente nelle condizioni in cui l’hanno lasciata i tifosi del Feyenoord. Un centinaio di uomini e donne completamente nudi vi girano intorno o l’attraversano senza una meta, indossando soltanto una benda nera sugli occhi, che ovviamente comporta scontri tra i corpi, cadute, impedimenti, insulti… La sala è illuminata da quattro riflettori da stadio dotati di luci potentissime, mentre si sente un odore pungente di escrementi e urina, come nei cessi delle stazioni. Da una decina di altoparlanti appesi al soffitto viene un abbaiare insistente di cani feroci, che ricorda i campi di concentramento. Alle pareti, le gigantografie delle tifoserie più violente d’Europa.

 

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a cura di  Renata Morresi

 

La momentanea OT riscopre il contatto. Istanzia l’impressionato intero nella sua impressione. OT diventa spazio per un visitatore. OT diventa spazio per un visitato. La curatela è attentamente meditata. Lascerete abiti, parenti e oggetti di valore nei camerini appositi all’ingresso. Ivi troverete: il lubrificante (in regalo); benda o visore personalizzati; frizzatonde spaccadenti al gusto fragola, lampone, lingua; braccialetto anti-accanimento o trattamento fine-vita da inserire nel relativo modulario. Scala visuo-analogica del dolore: inclusa. Dildo: inclusi. Chi fuma, fumi. Catetere e stomia solo al bisogno, con sacco opaco o multicolore. Entrare sarà sonno e ritmo, poi un rumore prolungato di coesione. Attrito possibile. La momentanea OT è un engrenage individuale, avvolgente, intrinseco, avisibile. Attenzione: per volumi rilevanti di non-aderenza, è disponibile silicone liquido ad elevato potere riempitivo. O forza della frustrazione. Eventuali difformità saranno segnalate agli organi afferenti via getto d’inchiostro. La momentanea registra i consigli del fruitore, motivi, nenie, grida, nam myoho renge kyo, sospiro, meta-logos. Non lesinate il vostro contributo. L’inalatore emotivo può causare alterazione, ma non temete: diventare nativi sarà un attimo. Una volta penetrati, lasciate aderire lentamente. Seguirà verifica della prensione. Ispirata dall’evaporazione delle forme, la momentanea OT infonde fluente finitezza ad ogni incontro. Abiterete la momentanea. Come un terrestre abitato da un alieno. Tutto sarà altro. Disegnerete la sua linea. Niente più sottratto. La momentanea vi introietta, vi dorme, vi profila. Ogni rifiuto è riciclato. Ogni rifiuto è dolce studio. La momentanea non mente: è un luogo che non ricopre alcun volume, tranne il vostro, oh visitatore-visitato. La momentanea rende il resto disponibile.

(In caso di gemmazione della pelle, in caso di sviluppo di suttori, o altri fenomeni di inglobamento, l’installazione momentanea diventa permanente. I curatori declinano le conseguenze).

 

 

 

a cura di Gian Maria Annovi

 

Mamihlapinatapai (Una mostra temporanea di durata indeterminata)

La scelta di entrare nello spazio della galleria è libera. Vietato lasciarlo prima della conclusione della mostra. La durata di Mamihlapinatapai è stabilita dalla vita di una donna. Nata nel 1928, è l’ultimo parlante vivente della lingua yagán. Questa lingua isolata e morentechiamata anche yámana, e a volteháusi kúta,inchikut,tekeenika,yahganoyappu,era un tempo diffusa nei canali e nelle isole dell’estremo sud del Cile e dell’Argentina. La Terra del Fuoco. Chi parlava questa lingua era un popolo di nomadi. Gli uomini cacciavano leoni marini. Le donne raccoglievano conchiglie. Questa lingua è la più meridionale del pianeta. La donna vive stabilmente nel villaggio di Ukika, su un’isola del Cile. Per l’intera durata della mostra, il pubblico potrà seguire la vita quotidiana della donna attraverso un sistema di telecamere e microfoni installati nella sua casa. La donna potrà a sua volta osservare gli spettatori attraverso un sistema di telecamere e microfoni installati nella galleria. I visitatori potranno lasciare la galleria solo dopo la morte della donna. Con la sua morte si conclude la mostra temporanea. Cibo, vestiti e coperte verranno forniti per l’intera durata della mostra. La scelta di comunicare è lasciata ai soggetti. Scrivere è severamente proibito.

Mamihlapinatapai, la parola yagán che da il titolo a questa mostra, è considerata la più concisa del mondo. È una delle espressioni piùcomplesse da tradurre. Mamihlapinatapai può descrivere lo sguardo tra due persone, ognuna delle quali spera che l’altra faccia un gesto che entrambi desiderano fare, ma che nessuno ha il coraggio di compiere per primo. Secondo una diversa interpretazione è lo sguardo che due persone, sedute ai lati opposti di un tavolo, condividono durante un momento di silenzio nel quale sanno di voler dire la stessa cosa. È un silenzio che esprime un significato.

 

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a cura di Giorgia Romagnoli     

 

Un gruppo di scienziati ha creato una stanza a forma di ipercubo per dimostrare che il rapporto dell’essere umano con lo spazio non è statico ma in continua modificazione.

L’osservatore può guardare dentro solo attraverso una vetrina.

Le pareti(/facce) sono tappezzate di immagini di paesaggi urbani e naturali. Davanti ad ognuna di esse c’è una persona in piedi che la osserva.

Al centro tre uomini seduti in cerchio giocano a roulette russa. Quando il colpo va a segno il malcapitato cade in una botola e viene rimpiazzato immediatamente e nell’indifferenza generale, da una delle persone in piedi. Nello stesso istante la stanza ruota su un lato cambiando la sua forma.

Ogni rotazione genera uno spostamento e una deformazione delle immagini; le persone si muovono posizionandosi di fronte al paesaggio che stavano osservando in precedenza, ma lo percepiscono in modo diverso.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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