Tutto nel mondo è burla

di Giorgio Mascitelli

Tutto nel mondo è burla/ l’uom è nato burlone,/la fede in cor gli ciurla,/ gli ciurla la ragione sono i primi versi della fuga che conclude il Falstaff verdiano. Benché sia avviata dallo stesso Falstaff, questa fuga è intonata da tutti i personaggi beffati e beffatori o spesso entrambe le cose. Questo aspetto cambia tutto il senso dei versi: infondo se a cantare fosse il solo Falstaff, la cosa non sarebbe interessante perché il fatto che un cialtrone veda in luce cialtronesca tutto il mondo non fa problema. La fuga invece falstaffizza, per così dire, tutti i personaggi e la misura di Falstaff diventa la misura del mondo. C’è di che preoccupare ben più di un cardinale se fede e ragione vacillano davanti alla burla. Qui è probabile che  il librettista Arrigo Boito  abbia una reminiscenza della sua gioventù scapigliata e attraverso di essa dell’ironia romantica.

Nella vita contemporanea l’affermazione che tutto nel mondo è burla è diventata per così dire uno scarto di lavorazione, un residuato dello stile di vita, un sottinteso  che non si sa bene dove smaltire perché nessuna forma di coscienza, anche quella minima banalmente funzionale all’espletamento di una serie di operazioni che il sistema richiede, può sopportare di vivere in un mondo dove, se tutto è burla, lo sono anche i drammi del proprio narcisismo. In più è difficile trovare negli esseri umani in carne e ossa l’encomiabile souplesse di Falstaff, che essendo beffato anziché beffatore, non per questo perderà appetito e buon umore. Il rischio concreto è invece quello di imbattersi costantemente, talvolta anche nello specchio del proprio bagno, in Falstaff dimagriti, irritabili e sommariamente scolpiti dal fitness del logorio della vita moderna che vedono stagliarsi il proprio dramma su un mondo che considerano, di solito in modo subliminale e inconsapevole, pura burla.

Per sgombrare il campo da equivoci: questa idea che tutto nel mondo sia burla non produce necessariamente persone inclini alla risata, specialmente tra coloro che non sanno di avere quest’idea. Anzi spesso il modo in cui  la coscienza la sperimenta soggettivamente è una forma di conflitto interiore tra la spinta a raccontarsi una storia su di sé con le sue necessità drammatiche e l’evanescenza del mondo, oggi poi acuita dalla sua percezione in forma virtuale.  Di solito, tuttavia,  conflitti di questo tipo sono generati dall’ideologia dominante e nel contempo la celano . Come si è detto sopra, qui però  la cosa è di natura più singolare perché l’idea del mondo come burla non è affatto funzionale all’ideologia dominante, che tende invece a costruire una sua religione del denaro, ma è piuttosto un effetto collaterale o meglio una reazione psicologica al contatto prolungato con forme invasive di razionalità strumentale.

Il problema letterario della rappresentazione critica di una società dominata dall’idea che tutto nel mondo sia burla è molto complesso: non si tratta infatti di far emergere e cortocircuitare una forma di falsa coscienza ideologica perché quest’idea non è paragonabile a pregiudizi sociali come, per esempio, quella che gli schiavi siano tali per natura o che l’economia sia una scienza naturale. Data la sua natura di effetto collaterale, questa idea è la forma apparentemente oggettiva in cui si presenta l’immutabilità di fondo dei rapporti di potere e di produzione nella nostra società a una coscienza reificata, che è qui un modo veloce per dire una coscienza che non si percepisce affatto come dentro la storia, come prodotto e soggetto di mutazioni storiche.

Un modo di rappresentazione naturalistico, per così dire, potrebbe essere quello di creare un personaggio tipico, che incarni l’idea che tutto nel mondo è burla e che agisca in situazioni tipiche. E’ un modo di rappresentazione diretto e chiaro in cui possiamo ridere impunemente del personaggio, che riflette nella sua tipicità un processo magari anche diffuso, ma estraneo alla condizione dello scrittore e del lettore. “Se leggi, allora non sei così” e “De nobis fabula non narratur” sono i messaggi sottesi alla forma di questa rappresentazione, il che non impedisce naturalmente che per queste via si possano scrivere capolavori di tipo paesaggistico, in cui il presente di questa percezione è raccontato come se fosse quello di un paese o di un tempo lontani. Le forme, oggi molto in voga, da docufiction rendono invece più difficile la percezione di questa situazione perché, usando materiali di documentata verità, ubbidiscono alla spettacolarizzazione della realtà, che è uno dei fattori che ha prodotto nel nostro tempo la convinzione che tutto sia burla.

La rappresentazione per via umoristica presenta il vantaggio, che è al contempo uno svantaggio, di consentire spazio per svariate avventure dello scrittore e del lettore. Eppure lo scrittore umoristico è singolarmente sprovveduto di fronte all’idea che nel mondo tutto è burla: egli sa imitare parodicamente il discorso di un avversario o metterlo in ridicolo tramite l’ironia, ma qui non ci sono avversari; sa far emergere, rendendo ipertrofico un dettaglio strano e casuale, una verità nascosta, ma questa non è una verità nascosta bensì un’opinione condivisa; sa far girare le parole in modo che l’insensatezza del linguaggio illumini l’insensatezza di ogni cosa, ma qui il problema è illuminare l’insostenibilità che tutto sia burla salvo le proprie tragedie private. E’ chiaro che per un tema del genere ci vorrebbe uno scrittore tragico, ma la nostra cultura da almeno un paio di secoli non produce e più e, soprattutto, ha rimosso le premesse simboliche che ne consentivano la nascita. Lo scrittore umoristico allora deve sapere di agire come un supplente di una letteratura tragica che non è più possibile nell’attuale contesto non perché, giova ripeterlo, non ci siano più tragedie nel mondo, ma perché non è più sostenibile la loro dicibilità.

Non c’è naturalmente nessuna censura o nessun interdetto nei confronti della tragedia, anzi possiamo liberamente oggi informarci su una quantità di tragedie pressoché illimitata, anche se nella maggior parte dei casi in forme spettacolarizzate, è semplicemente il corso delle vite nella nostra società che lo rende impossibile. Infatti se, come spiega Hartmut Rosa, la nostra società è determinata da una continua accelerazione dei tempi della vita e in particolare se ‘l’accelerazione sociale è definita da una crescita nei ritmi di decadenza dell’affidabilità di esperienze e aspettative e dalla contrazione degli archi temporali definibili come “presente”’ ( H. Rosa Accelerazione e alienazione, trad.it. Torino 2015), non c’è modo di rappresentare comprensibilmente e credibilmente  in forma tragica questo processo esasperato di caducità dell’esperienza, che permette di credere che tutto nel mondo sia burla.

Allora resta soltanto la scrittura umoristica, ultima supplente, per tentare di esprimere cosa implichi veramente l’assunto che tutto nel mondo è burla, ma è una via contorta che si avvicina per approssimazione, allusivamente, in quelle forme paradossali che oscillano tra oscurità e illuminazione, al suo oggetto.

 

 

 

 

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3 Commenti

  1. Testo ricco di spunti che meriterebbe un commento ampio e ben strutturato. Leggo con tragico umore la notizia della morte della tragedia. Mi sembra di capire che lo sguardo ironico sia una forma disperata, un tentativo ultimo, di razionalizzazione di ciò che per destino nihilista è volto al nonsense della burla. Il postmoderno ha frammentato ancor di più lo specchio facendosi portavoce dello strumento ironico, questa la mia unica riserva. Resto dell’idea che Falstaff, nell’intera parabola del personaggio, sia la più grande maschera regalarci dal bardo. In ogni modo riconosco in questo testo una dichiarazione di poetica di Giorgio e un breve manuale di sopravvivenza. Grazie.

  2. Se la “tragedia” oggi non è più inverabile, forse allo scrittore rimane
    l’ironia tragica… O no?

  3. Grazie a tutti per i preziosi commenti. Per Vincenzo: indubbiamente c’è in questo mio testo un emergere della mia poetica. Sulla questione dell’ironia postmoderna hai indubbiamente ragione, tant’è vero che nel testo uso il termine umoristico per marcare le distanze con quest’ironia che è portatrice dell’idea che tutto sia burla.
    Per Giovanni: l’ironia tragica è un’istituzione della tragedia a meno che tu non dia al termine un altro significato.

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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