Il doppio sguardo. Su Parlarne tra amici e Lealtà  

di Eloisa Morra                                                     

Ci sono tanti tipi di lettori quanti tipi di romanzi; tra questi ultimi preferisco quelli che chiamo tra me e me “romanzi-gazzella”: testi brevi il cui fascino è racchiuso nella brillantezza dei dialoghi e in una voce narrante capace di rendere interessante il paesaggio o il tipo umano più noto. Certi romanzi di Maugham, tutto Lernet-Holenia, il primo RothLeggo questi libri con lentezza esasperante, maledicendo gli autori per non aver scritto un tomo. Poi però mi dico che se li venero è proprio per la brevitas, e che i romanzi “obesi” non sono davvero nelle mie corde: di David Foster Wallace mi divertono i saggi, ma ho ripreso tre volte in mano Infinite Jest senza mai riuscire a finirlo (per Zadie Smith il discorso è diverso, ma forse lei è l’eccezione che conferma la regola). Come mai mi trovo più a mio agio nella Firenze volutamente cliché di Maugham o nella felix Austria di Lernet-Holenia che in quelle pagine ribollenti di attualità?

Mi sa che la lunghezza e il passatismo non c’entrano. Forse sono solo allergica agli autori troppo presi dal loro virtuosismo per abbandonarsi al puro piacere di raccontare: «L’intelligenza analitica è la morte del narratore», sussurravo tra me l’altro giorno addentando un mango mentre fuori nevicava. «Vagolare tra accadimenti improbabili, velleità, momenti di noia per tradurli in parole richiede tutto tranne l’intelligenza», concludevo così la mia geremiade mentale, mentre la neve fregandosene di me picchiettava imperterrita. Per fortuna la realtà è sempre più lungimirante di noi, e in meno di due mesi mi ha messo sotto gli occhi due romanzi che mandano ogni teoria a gambe all’aria; vi si respirano brillantezza e attualità, ma funzionali a intrecci e voci narrative avvincenti. Ho iniziato Lealtà di Letizia Pezzali (Einaudi, 2018) e Parlarne tra amici di Sally Rooney (Einaudi, 2018) in due notti similmente fredde e insonni; li ho letti con voracità, senza centellinare. Ad essere sincera non me ne sono ancora fatta un’idea precisa. Come tutti i libri importanti, mi hanno colpito per ragioni di cui non mi sono ancora fatta una ragione.

L’architettura e lo stile dei due romanzi non potrebbero essere più diversi. Letizia Pezzali dà vita a una struttura centripeta, scabra, a tagliola. A guidarci è la voce houellebechiana di Giulia, trentaduenne analista finanziaria che descrive con vibrante precisione l’ambiente della City per poi proiettarci nella Milano che dieci anni prima ha segnato il suo incontro con Michele, l’economista quarantenne divenuto la sua ossessione — e il modo migliore per mettere a tacere i demoni, si sa, è farci i conti. Rooney invece costruisce un romanzo centrifugo, che sdipana le diverse alchimie di rapporti derivanti dall’incontro di Frances e Bobbi, due studentesse impegnate in spettacoli di spoken word, con Melissa e Nick, coppia di trentenni benestanti e affermati. Melissa, anche lei scrittrice, propone di scrivere un profilo sulle due ragazze per un blog; da qui nascerà una frequentazione da cui si susseguiranno tradimenti, rivalità e inaspettate alleanze. La voce di Frances ingloba in sé gli scambi di battute del gruppo di amici per riversarli in un monologo interiore attento all’inarcatura di una frase come all’ombra del bombo sulla carta da parati della villa francese che segna quella che è stata definita la sua “seconda formazione”. A queste scelte in termini di architettura romanzesca corrispondono due modelli agli antipodi, che fanno capolino tra le pagine: Pezzali si ispira al Fenoglio concentrato della Paga del sabato, regalato da Giulia a Michele durante il loro primo appuntamento; la narrazione polifonica di Middlemarch è invece il punto di riferimento di Rooney, che ironicamente lo mette in mano alla mamma della protagonista («Non sono riuscita a oltrepassare pagina dieci»).

Eppure i due libri sono abitati da nuclei comuni. L’età di Giulia e Frances scivola tra i venti e i trent’anni; entrambe hanno un rapporto irrisolto con la figura paterna, il che le porta a sviluppare una resistenza alle emozioni declinata nella riluttanza ad esprimere richieste (Frances) e nell’«ossessione comunicativa» (Giulia e i suoi infiniti messaggi); si avvicinano con ansia di riscatto ad un ambiente borghese che non conoscono e finiscono per restare invischiate in rapporti di potere e ossessioni amorose, calate rispettivamente nella Londra finanziaria e in una Dublino allo stesso tempo studentesca e luccicante. Lontane anni luce dalle opere-mondo alla Foster Wallace o De Lillo, Pezzali e Rooney raccontano sentimenti primari apparentemente old-fashioned: il rapporto tra amore, ossessione e potere; le rivalità tra colleghi; quel delicato momento di passaggio, cruciale nella vita di ogni ragazza, dalla prevedibilità dell’analisi alla verità dell’esperienza. L’attualità non scompare, ma acquisisce significato solo perché ci dice qualcosa dei personaggi a loro insaputa. Le discussioni su femminismo e migrazione di Francis, Bobbi, Melissa e Nick in Parlarne tra amici risultano posticce, mettendo in luce il velleitarismo di chi vorrebbe identificarsi in quello che fatalmente non è; la Brexit aleggia nelle chiacchierate tra colleghi a Canary Wharf, ma sembra essere nient’altro che uno sfondo per Giulia, assorbita da una vita che lascia spazio solo al lavoro e all’ossessione amorosa.

Più che nel dipingere spazi o ambienti le due autrici brillano nel descrivere la fisiologia dell’innamoramento. Le loro protagoniste si abbandonano senza volerlo ad amori sbagliati eppure irrecusabili: «Era una persona inconfondibile: vidi la sua sensualità attraversare tutta la sua esistenza», dice Giulia di Michele poco dopo averlo conosciuto per caso a una presentazione all’università. Frances, l’intelligentissima, non può invece fare a meno di innamorarsi di Nick, l’affascinante e fragile attore marito di Melissa: «Provai un improvviso e irresistibile bisogno di dire: ti amo, Nick. Non era una brutta sensazione, nello specifico; aveva un che di divertente e folle, come quando ti alzi dalla sedia e a un tratto ti rendi conto di essere ubriachissima. Ma era vero. Ero innamorata di lui». Chi sono questi due uomini in realtà? Difficile rispondere. Come Robert in Cat Person, anche Nick e Michele ci vengono descritti in modo mobile e complesso, attraverso le progressive idee che di loro si fanno Frances e Giulia. In questa descrizione però resta sempre un vuoto, il che costituisce allo stesso tempo il fascino e il limite di due romanzi centrati sul monologo interiore. Questi uomini carismatici, dolci e fragili danno narrativamente il meglio di sé durante le conversazioni tra le lenzuola. Nei pillow talks — brillanti e senza senso, proprio come nella vita vera— Lealtà e Parlarne tra amici toccano i momenti più incisivi del racconto, sgranando la materia volatile di rapporti che mischiano amore e devozione, gratificazione e dipendenza.

La tenuta del racconto ha qualche cedimento quando ai dialoghi o alle mail viene sostituito il flusso delle chat. Come influiranno i social sulle forme narrative? Gli scambi su Facebook danno senz’altro la misura del divario generazional-comunicativo tra le due coppie e nel caso di Pezzali rappresentano un originale motivo di riflessione sulla natura dei mercati, sulla scia del legame tra economia e passione che è tra i motivi più affascinanti di Lealtà. La sfida però non sembra essere raccolta del tutto: il senso di svuotamento e claustrofobia che ci deriva dalla lettura delle pagine effetto-social è reale o voluto? Queste smagliature forse si spiegano pensando che Lealtà e Parlarne tra amici sono due romanzi sulla fine della giovinezza, e di quest’ultima racchiudono in sé il portato assolutizzante, cerebrale, claustrofobico. Scrivere mail chilometriche, discettare su tutto, amare in modo devoto e senza traccia di umorismo, essere molto self-absorbed; chi non ha vissuto tutto questo a vent’anni? Se arriviamo di filato alla fine però è perché i due libri hanno il pregio di fare un passo più in là, verso una ironica consapevolezza di sé e del mondo. C’è un doppio sguardo che silenzioso si irradia tra le pagine di questi due libri, illuminandole: «Prima di capire certe cose» conclude Frances «le devi vivere. Non puoi sempre assumere una posizione analitica».

 

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3 Commenti

  1. Ho appena concluso la lettura di “Lealtà” e ho cercato con una certa curiosità delle recensioni che mi aiutassero a capire come mai, nonostante il libro si lasci leggere e scorra veloce come la lista dei post su Facebook, ho la sensazione che la mia memoria tratterrà poco. Mi è sembrato un romanzo che adotta uno stile leggero per parlare di intermittenze economiche, di mercati sentimentali, tuttavia resta leggero e irrisolto. Un racconto che qualcuno ha voluto diventasse un romanzo senza che ne avesse la stoffa. Ecco, forse mi ha fatto pensare a Barnes, come a un modello per questa scrittrice certamente solida sul piano della gestione dell’intreccio e però lontana dalla sensibilità casta con cui Barnes tratta i riflussi che il passato genera nei nostri variegati e incontrollabili presenti.

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