Sedici marzo mille novecento settantotto

di Davide Orecchio

… ed entra marzo quando Giulio Andreotti promette a Leone la lista del nuovo governo, e la fa, sposta ad esempio Tina Anselmi alla sanità, e con Aldo Moro fa il conclave del partito di Dio per i sottosegretari, per il sottogoverno, lo fa alla Camilluccia e dice al diario Ho tenuto duro; e dice che Aldo Moro promette che l’aiuterà; e non resta che giurare e chiedere il voto alle camere,

ed ecco il sedici marzo quando le maestre si apprestano a scuola,

i bambini si apprestano a scuola,

vestono i grembiali e i fiocchi azzurri,

prendono le cuccume dalle madri e le nonne,

i macellai tritano carne, i fruttivendoli legano asparagi,

Giulio Andreotti porta il governo alle camere,

i pizzaioli sfornano la rossa con le olive e l’origano,

i bidelli aprono scuola,

i tranvieri aprono le porte dell’autobus,

le brigate rosse prendono Moro,

i giornalai alzano le saracinesche,

le tintorie avviano le lavatrici,

le brigate rosse uccidono due carabinieri,

i postini imbucano lettere,

i bancari incassano assegni,

gli architetti progettano,

le scrittrici fantasticano,

le brigate rosse uccidono tre poliziotti,

alcuni bambini hanno il morbillo e non vanno a scuola,

alcuni bambini hanno la varicella e non vanno a scuola,

i bambini di Monte Mario sentono spari e frenate,

una notizia corre da Monte Mario a Montecitorio (di parola in parola, di filo in filo),

un’automobile si divarica stuprata nel sangue,

Andreotti si piega e vomita, sviene a Palazzo Chigi, si sdraia sul divano e in fretta gli portano un abito da cerimonia pulito,

un’altra camicia, un’altra cravatta,

Andreotti si piega come la madre si piegò sul padre che muore,

il dolore è un atto geometrico nel tempo dell’indimenticabile morte,

giurano i sottosegretari del nuovo governo,

Aldo Moro scompare coi brigatisti

e vengono a Palazzo Chigi gli uomini del partito di Dio, i socialisti, i sindacalisti,

il partito della storia invia i suoi rappresentanti più degni;

e Andreotti dice al diario Emozione profonda;

e dice Tutti concordano nel non dare (spazio bianco); e dice Ma (spazio bianco) immediatamente la fiducia per il governo (spazio bianco);

e in poche ore le due camere votano;

e Giulio Andreotti raccoglie le forze, sigilla lo zaino.

Ora Giulio Andreotti vede Aldo Moro: i capelli leonati, sulla fronte una ciocca di bianco germoglia sul cespo d’argento, gli occhi del lemure timido, dentro la gabbia il volto è lungo, appeso alle tempie e alle sopracciglia come un ometto aggrappato alla balaustra prima del precipizio, il labbro superiore sottile, il labbro inferiore carnoso, la camicia aperta sconfitta, il giugulo è l’ultima trave che regge Aldo Moro, sul capo Aldo Moro ha un drappo di cielo e una sola stella, gli artefici annunciano il processo al “Responsabile primo della controrivoluzione”, ora Aldo Moro è in un telo.

E i bambini sono in ostaggio,

e gli agrimensori, e i macellai, e i netturbini coi giornalisti,

e le casalinghe, i lavascale sono in ostaggio,

e gli stagnini con gli sterratori,

e gli elettricisti e le rammagliatrici: sono tutti in ostaggio con Aldo Moro;

sbiancano le pagine dei libri di favole,

tacciono tutte le storie;

dalle ville, dai palazzi a cortina, dalle borgate, dai condomini, dai tuguri spruzza nero di seppia;

nel tempo di morte e vita sospesa;

loro controllano se hanno ancora uno zaino, e se sia colmo o deserto;

loro chiedono se hanno ancora un governo;

loro chiedono Chi governa l’Italia?, le Br o Andreotti?;

e non accade nulla, questa malattia paralizza i dischi invertebrali e i corpi vertebrali e i nervi spinali.

E si spengono le lavatrici nelle tintorie,

i bidelli chiudono scuola,

le maestre diventano mute,

le scrittrici non fantasticano più,

gli architetti non progettano più,

i bibliotecari non catalogano libri,

i sarti non rammendano gli abiti,

gli stenografi non consegnano i verbali,

i capibarca affondano,

i barbieri rompono le forbici,

gli infermieri gettano i camici,

i tassisti parcheggiano e dormono,

i cuochi consegnano pietanze crude ai camerieri,

i camerieri portano in tavola pietanze crude,

gli idraulici non spurgano più,

i geometri non tracciano segni,

gli elettricisti spruzzano nero di seppia,

i preti stringono al petto gli zaini.

E i bambini sono sempre in ostaggio,

e i capibarca galleggiano sul fondale del mare, tra le grotte e il nero di seppia,

e i camerieri supplicano i clienti Mangiate noi, perché non abbiamo più cibo;

e le macchine da scrivere chiedono asilo agli svizzeri, perché i giornalisti non hanno più nulla da dire,

e le edicole non alzano più le serrande,

e le maestre convocano i sarti e le rammagliatrici e supplicano Cucite le nostre bocche, perché non abbiamo più nulla da dire;

dalle fogne emergono idraulici imbrattati di nero di seppia,

gli stenografi verbalizzano il tempo della morte e dell’omicidio,

i bancari incassano assegni in nero di seppia,

gli scrittori friggono libri in padella e poi ridono,

i falegnami restituiscono i mobili ai boschi,

i tranvieri ripartono sigillando i convogli,

e che nessuno vi salga.

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davide orecchio
Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012). Provo a leggere i testi inviati, e se mi piacciono li pubblico, ma non sono in grado di rispondere a tutti. Perciò, mi raccomando, non offendetevi. Del resto il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e assolutamente non professionale. d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com Questo è il mio sito.
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