Piegare e stirare versi: il blues di Eugenio Lucrezi e la disciplina del bucato

di Giulia Niccolai

La nuova raccolta di poesie di Eugenio Lucrezi, edita da Nottetempo, ha titolo Bamboo Blues, in omaggio alla grande Pina Bausch e  al suo omonimo spettacolo. Così, come in una sezione del volume  – una serie di testi dedicati tutti a quei personaggi che, con la loro bravura e la loro arte, hanno profondamente emozionato l’autore – vi è una poesia dallo stesso titolo, con dedica  “a Pina Bausch, in mortem”.  Due versi di chiusura ci lasciano meravigliati e grati: sanno rivelarci, in pura semplicità, l’essenza della sua magia: «…a Pina in un istante, / e sei tutta abbraccio intorno al nulla, concentrata.»

Ma Bamboo Blues, per il piacere uditivo dell’assonanza, è anche il doveroso segnale del fatto che, amando Eugenio le parole del quotidiano e il come finiscano con l’intrecciarsi, combinarsi e giocare tra loro, anche visivamente assurte a materia, (non solo suono e fiato), esse abbiano, per lui, qualcosa di meravigliosamente trasparente, luccicante e guizzante come biglie che si inseguono dentro e fuori  le gallerie di un castello di sabbia: «… il sospirato bip del tuo segnale / sanbernardo cordiale» (L’arte della conversazione); «Pensiero, non posso / esimermi dal pensarti» (Pomaia, in Dittico toscano del vuoto); «Sei nata numerosa / nessuna delle dita si riposa» (Illustrando la Divina Commedia); mentre «un gran soffione d’aria nel vestito» ci fa vedere un Angelo del Pontormo. Due versi, in un testo di infinita ammirazione per Maria Callas e la sua voce intitolato Giardino (M. C.), sono, come quelli dedicati a Pina Bausch, assolutamente magistrali: «Voce della corrente, pieghi e stiri / la disciplina nei pozzi della mente». Così, per contrasto (?), quando ho letto Parola cuscino, quale titolo di una sua poesia, e in conseguenza di ciò, mi è capitato di vedere subito, nell’occhio della mente, l’immagine di un bambino che abbraccia con amore il proprio orsacchiotto, mi sono sentita in dovere di scrivergli che doveva essere uno degli uomini più felici della terra, dato che provava una tale gratitudine per il suono e la morbidezza di un oggetto al quale nessuno pensa mai, perché lo diamo tutti per scontato. Ha avuto la faccia tosta di rifiutarsi di ammettere la propria felicità!

Eppure, secondo me, solo una persona aperta, e ripeto, tanto  a p e r t a alla vita, da sapersi ancora meravigliare, a sessanta e passa anni, per la parola “cuscino”, può riuscire a scrivere “pieghi e stiri la disciplina…” a proposito della Callas. Per quanto mi concerne, se io poi faccio l’esempio del cuscino, in relazione al “pieghi e stiri la disciplina” e aggiungo: “si tratta sempre di bucato”… questo mio umorismo vuole solo “abbracciarli” entrambi, con gratitudine e complicità. Nei confronti della poesia di Eugenio, della vita stessa. Perché la vita è proprio “quella cosa lì…”.

Così, a proposito del suo rifiuto di venire da me definito “felice”, mi sono vendicata, scrivendogli, che l’illustrazione più corretta per la sua raccolta sarebbe stata il logo delle edizioni Nottetempo, quel signore sdraiato per terra, scalzo, con un Borsalino in testa, che fa pensare agli anni Cinquanta e a Cary Grant in Costa Azzurra, tanto è  sicuro di sé. Ecco, da vecchi (lo sono, 83), si può avere, a volte,  l’impressione di portarsi dentro un carico eccessivo di memoria, conoscenze, immagini ecc., una sorta di Big Mac di storia, mitologia, film, libri ecc. che, in certi momenti di scrittura e concentrazione, si fanno tutti vivi, per farsi avanti e macchiarti la camicia.

Lui, invece, zitto, anche ‘sta volta.

Poi, c’è anche da tener presente il ritmo di certi suoi versi, la  prorompente energia, come in Dietrofront, dove tutti i termini della parte centrale del testo, privi di articoli, ci fanno accelerare la lettura fin quando, arrivati alla fine della poesia, dobbiamo ricominciare tutto da capo, compitando, per poter anche capire. Questo, per spiegare l’abilità della sua tecnica, perché ovviamente, il contenuto stesso del poemetto esige proprio questo da noi: un galoppo sfrenato che ci costringa poi a tornare sui nostri passi.

I trabocchetti che Eugenio semina in continuazione danno rigore ai suoi testi “lirici” che non sono mai consolatori, piuttosto ci costringono a meditare.   Un suo verso della poesia intitolata Paradiso mi ha fatto capire per la prima volta che ci sono le “mani”  nella parola “anima”.

Vorrei citare, in chiusura, due blocchetti di versi dal poemetto Gran Paradiso, dalla Mole Antonelliana (beh, sì, pensa anche in grande), per avere l’ultima parola a proposito della sua personale felicità e della sua capacità di trasmetterla ad altri: «…del bacio che ci demmo come tanti / in un chiostro d’aprile in mezzo ai teschi». Proprio questo tipo di contrasti (nonché il suono di chiostro/teschi), rendono vivissimo il testo e felice il lettore, costretto a ridere, a essere grato all’autore, perché appunto l’antitesi è l’essenza e la beffa della vita che noi tutti conosciamo.

Dopodiché: «… qualche cosa / trova forte radice, ed una mano/ fa presa sulla roccia. Docilmente/ seguo i chiodi e le funi». Ah, la bellezza di quel “Docilmente”!

 


Poesie da Bamboo Blues

a Pina Bausch, in mortem

 

Bamboo Blues

Non credo a quel che vedo, la fotografia

scattata quasi a caso, di pomeriggio,

a te che prendi il vento negli ariosi

capelli, e ad Agropoli muovi un impercettibile

passo di danza, torcendo

appena un poco il busto mentre alzi

le braccia all’altezza del viso che si profila

di spalle nel cielo caricato

di sole e di calante azzurrità commossa

e respirante fiati e fiati di vite

diffuse e riposanti nei filacci

d’estate, ad occhi chiusi a fresco,

in memoria del mare,

con le ascelle che bevono luce

moderata alla fine, che accoglie

la grazia del tuo passo, e di tuo figlio

che ti guarda da presso,

dice l’amore incredulo che piangi

a Pina in un istante, e sei tutta

abbraccio intorno al nulla, concentrata.

 

L’arte della conversazione

E sì che l’arte della conversazione

mi vede sempre in bilico su lame

taglienti e scivolose dalle quali

precipite soccombe l’asserzione

nelle valanghe del non so dove.

 

Tramortito, rinasco se ritrovo

a fondo valle, nelle morene,

il sospirato bip del tuo segnale,

sanbernardo cordiale; e se considero

l’inservibile arnese della voce.

 

 

Pomaia

Arti nel sonno,

punti di rosso

pungono il bianco

come chele di granchio.

Punto su punto

tesse rime.

Pensiero, non posso

esimermi dal pensarti.

 

 

Illustrando la Divina Commedia                                                                          

Il tuo pregio consiste

− parlo di te che pitti, mulier faber,

nell’aprire una luce al suo destino.

 

L’apparenza persiste, la sai fare

cattura inveterata della retina.

 

Trama miracolosa

che raccatta, dimentica, rispolvera,

l’epifania di care cose morte.

 

Sei nata numerosa,

nessuna delle dita si riposa.

 

Amo da pesca, lenza

che lanci con perizia al pesce-cuore

 

Smarrimento perenne,

ricorri al fissativo se ristretta

in lacrima trabocchi

dal marmo raggelato di acquasanta.

 

 

Angelo del Pontormo

Nube. Nubesco. Potenza delle ali.

Testa rivolta ai venti della volta.

Un gran soffione d’aria nel vestito.

Sono nube di guerra. Non sorrido.

Vento che ti schiaffeggia. Non mi vedi.

Arrivo nel gran peso delle ossa.

Non c’è buco che tenga la caduta.

Angelo dell’intonaco, sono orma

della grazia sul ponte, sono inchino

di veleggi rigonfi al paradiso

chiuso nella navata.

 

 

Nel giardino ( Maria Callas )

E dunque non era questo possibile,

che durasse nell’aria l’espressivo

ricorso delle onde che ci tengono

in contatto a distanza, e in qualche caso

ci spingono, nonostante noi stessi,

nel non creduto giardino dove suonano,

se ti conservi attenta, quanti

di grazia che si spende in levità

e in moto di accoglienza, e pure suonano

infinitesime particelle tristi,

fuori frequenza, che per tanto stonano

impercettibilmente, rincorrendo,

con aria d’immanenza, l’immortale

morte, qui nell’adesso insopportabile

che gioca di posticipo un delay

che non finisce mai.

E’ inutile perciò cercare le ragioni

tra i fogli degli appunti, o nel respiro

costellato di spume dell’Egeo.

Si tratta di ridare fiato al vento,

gli studi e le fatiche alla navale

prora elegante, proprio mentre affonda.

Tu non ti eserciti, dopo che hai provato

a stare dalla parte delle scale.

C’è un loggione che freme, che si chiede

dove ti affondi quando te ne vai.

Voce nella corrente, pieghi e stiri

la disciplina nei pozzi della mente.

Smetti e subito parli del silenzio,

ne parli quieta, come fosse niente

deporre l’ardimento nella terra,

l’aria delle frequenze nel giardino.

 

 

Parola cuscino

Non c’è sussurro, il fiato
si libra liberando nessun suono,
s’inanella voluta su voluta,
ad astra sale su fino al soffitto.

Accanto è lontanissimo, se vuoi
starmi molto vicino.
Gli occhi di chi, che siano aperti o chiusi,
sconfinando si superano?

Notti così, è pieno l’Universo.
Tienimi sul cuscino, non disperdere
i fondali stellati, non cadere,
in preda alla vertigine, oltre il bordo

nebulare del letto.

 

 

Dietrofron

Può darsi che l’esattezza

dei versi, che molti degli scivoli

ben oliati che rapide consegnano

le parole all’opaco

sentore dell’eterno,

in una valle di suoni e vividezze,

mentre ripetono magnetici indistinti

clamori ripetenti, misti di

voci viventi e sogni mal finiti

dai passati remoti,

tutto ciò che si leviga può prendersi

vacanze inusitate, e consegnare

brevi volumi al giorno che riprende

la breve luce e la voce solista

di un evento caduco, rigirando

il carro sui binari, e riportando

l’infinito al finito, e l’eufonia

raggelata del senso al batticuore.

 

 

Paradiso

Il gran ristoro di cui parli, vuoi,

senza che veda il vento lanciasassi

di ghiaccio, punteruoli che trapassano

angeli inconsistenti che trattengono

bave di carne, se la neve sfrangia

bandiere di nazione paradiso.

Desolazione di cui parli, vuoi,

in questa notte di buio abbagliante.

Inizia la visione dove cessa,

per eccesso ipotermico di luce,

la febbre figurale del racconto.

Non sai che farne, sconfino dello sguardo.

Sai che non puoi tentare una ventura

con animo di volpe che leggera

lascia sul manto passi inapparenti.

Fuggono ad una ad una, le figure,

anche quelle viziate dalla luce

in una posa illogica, di affanno.

Anima su due zampe che saltella,

t’inoltri, bianca lepre senza manto,

sulle coltri sottili.

In fondo, dove

non c’è niente da fingere, ti aspetta,

mite, la dedizione ad una carne

di quelle che non mangi per rifiuto

di chi non ti appartiene, e che non vuoi.

 

Gran Paradiso, dalla Mole Antonelliana

Così fa bellavista dell’eterno

lo scorcio appena schiuso, ridente,

della tua chiostra dentaria, bianca

come velo di suore, e tuttavia

afflitta da appuntamenti mancati,

per fretta e distrazione, col dentista,

e pure con la gioia inusitata

del bacio che ci demmo, come tanti,

in un chiostro d’aprile, in mezzo ai teschi.

La vista è reversibile, ambidestra,

siamo inabili e lievi, mentre il velo

dell’apparenza s’inerpica.

Non so quando, se ieri,

se alla fine dei tempi, se forse

nel freddo siderale. Qualche cosa

trova forte radice, ed una mano

fa presa sulla roccia. Docilmente

seguo i chiodi, e le funi.

 


Eugenio Lucrezi, Bamboo Blues, Nottetempo, Milano, pp.96, € 10.

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Dalla periferia del senso all’apparenza veritiera

  di Biagio Cepollaro Il progetto delle autoantologie in questo tempo di espressività diffusa vorrebbe costituire un momento di lentezza, di...

Edoardo Sanguineti e Magdalo Mussio: un ‘giuoco’ verbo-cine-disegnato

di Chiara Portesine Il Giuoco dell’Oca di Edoardo Sanguineti (1967), il secondo romanzo sperimentale licenziato dal leader della Neoavanguardia dopo...

Luigi Di Ruscio e il paradigma del dubbio

La tesi di laurea di Niccolò Di Ruscio dedicata al suo omonimo marchigiano. La lezione etica e politica di un poeta.

Il delirio del valore

di Biagio Cepollaro
Posto qui l'intervento apparso sull'ultimo numero della rivista il verri a proposito della questione del valore letterario. Il delirio del valore: da ontologia a biografia 1. Cosa intendo dire quando...

Dentro la O. Un dialogo intorno a Verso le stelle glaciali

di Tommaso di Dio e Alessio Paiano A.P. - Verso le stelle glaciali (Interlinea, 2020) è un libro costruito attraverso...

La distanza della didattica

di Chiara Portesine Il dibattito sulla didattica a distanza anima ormai da marzo le testate giornalistiche e le riviste di...
biagio cepollaro
biagio cepollaro
Biagio Cepollaro, nato a Napoli nel 1959, vive a Milano. Esordisce come poeta nel 1984 con Le parole di Eliodora (Forum/Quinta generazione), nel 1993 pubblica Scribeide (Piero Manni ed.) con prefazione di Romano Luperini e Luna persciente (Carlo Mancosu ed.) con prefazione di Guido Guglielmi. Sono gli anni della poetica idiolettale e plurilinguista, del Gruppo 93 e della rivista Baldus . Con Fabrica (Zona ed., 2002), Versi nuovi (Oedipus ed., 2004) e Lavoro da fare (e-book del 2006) la lingua poetica diventa sempre più essenziale aprendosi a una dimensione meditativa della poesia. Questa seconda fase del suo percorso è caratterizzata da pionieristiche attività editoriali in rete che danno vita alle edizioni on line di ristampe di autori come Niccolai, Di Ruscio e di inediti di Amelia Rosselli, a cui si aggiungono le riviste-blog, come Poesia da fare (dal 2003) e Per una Critica futura (2007-2010). Nello stesso periodo si dedica intensamente alla pittura (La materia delle parole, a cura di Elisabetta Longari, Galleria Ostrakon, Milano, 2011), pubblicando libri che raccolgono versi e immagini, come Da strato a strato, prefato da Giovanni Anceschi, La Camera Verde, 2009. Il primo libro di una nuova trilogia poetica, Le qualità, esce presso La Camera Verde nel 2012. E' in corso di pubblicazione il secondo libro, La curva del giorno, presso L'arcolaio editrice. Sito-archivio: www.cepollaro.it Blog dedicato alla poesia dal 2003: www.poesiadafare.wordpress.com Blog dedicato all’arte: http://cepollaroarte.wordpress.com/
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: