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Su “Fábrica de la seda (Con-memorias)” di Miguel Ángel Curiel

 

di Ida Grasso

Si ritorna in certi luoghi per ritrovare tracce del proprio passato, per scrivere, ritrascrivere la propria vita a partire dalla consapevolezza di quanto, perduto per sempre, può nostalgicamente rivivere solo in una rimembranza intima e segreta. Esistono poi altri luoghi, in cui magari non si è mai stati, luoghi che malgrado l’ineluttabile scorrere del tempo resistono per testimoniare l’ombra di quanto, accaduto una volta, permane sul presente. Qui si va in pellegrinaggio non per tessere il filo della propria archeologia sentimentale, ma per prendere parte simbolicamente ad un lutto più grande, dentro il tempo della Storia e degli uomini: qui, come spiega Didi-Huberman, si va per vedere oltre le ferite e i segni impressi nello spazio, tra le scorze che, nonostante tutto, restano.
L’antica Fabbrica della seta di Talavera de la Reina, comune spagnolo nella regione di Castiglia-La Mancia, potrebbe essere uno di questi luoghi. Tra le mura dell’edificio, che gli anni hanno trasformato in una scuola, alla metà del 1937, in pieno conflitto civile, furono deportati oltre cinquemila prigionieri repubblicani, più della metà dei quali morirono per malattia ed esecuzioni.
A questa dimora del tempo, in cui è sepolto il destino e dolore di un gran numero di uomini, Miguel Ángel Curiel, una tra le voci più rilevanti del panorama poetico ispanico contemporaneo, intitola il suo ultimo libro, che il lettore italiano può leggere nella splendida traduzione di Paola Laskaris, impegnata da anni ad affiancare la docenza universitaria con la pratica della traduzione e della divulgazione dell’attuale lirica spagnola.
Lugar símbolico, la Fabbrica della seta è, come osserva Paola Laskaris nel prologo al libro, «fábrica de palabras donde se fragua el recuerdo de las heridas del pasado, para poder cauterizar y finalmente exorcizar su dolor»: luogo attraversato dal racconto, in cui la scrittura si fa strumento di analisi e di riparazione.
Il lettore, chiamato a farsi testimone di questo racconto – Con-memorias si intitolano non a caso le pagine introduttive della curatrice del volume – è introdotto all’opera, costituita da due prose liriche, per mezzo di soglie progressive, segnalate, oltre che dal prologo, da un folgorante esergo da Primo Levi («Porque la angustia de cada uno es la nuestra»), e dalle raffigurazioni di Juan Carlos Mestre, che potenziano nella loro allucinata visionarietà la dimensione tragica e luttuosa che avvolge il libro. Al centro, Golpes de sol e Fábrica de la seda, due distinti brani poetici, che sembrano originarsi da un unico fluire lirico: bagliori di luce improvvisi (colpi di sole) riscattati al nero fondo della memoria.
Posto di fronte al dovere e all’urgenza della testimonianza («He querido escribir de esto antes que sobre otra cosa») il poeta non arretra ma sin dall’inizio esita («Nunca sabré como comenzar a escribir esto») ritenendosi incapace di trovare nelle risorse del mezzo lirico la distanza necessaria per una narrazione compiuta e straniata («No guardo odio y mi memoria se parece cada día más a la ceniza que al dolor»). In questa desolata ammissione d’impotenza non va letta una rinuncia o una sfiducia nei confronti del genere lirico, quanto piuttosto una critica ad certo tipo di poesia commemorativa, facile, che si alimenta di frasi fatte e di circostanza, riflesso a-problematico della pratica odierna (e sempre più massiva) di istituzionalizzazione di quelli che Violi chiama i siti del trauma. Paradossali «lugares de paz», puliti e ordinati in modo osceno e quasi provocatorio («¿Acaso no sean estos lugares de paz obscenos y demasiado limpios?»), gli spazi in cui si è consumato il dolore si trasformano in «lugares sin memoria», dove il passato resta racconto vuoto, indicibile, «espacio sin palabras».
Curiel riscatta il luogo della memoria dal processo di sacralizzazione, trasformandolo nel codice poetico in soglia simbolica di un racconto, che travalica la dimensione privata e si fa meditazione ampia e consapevole sulla necessità della testimonianza.
La Fabbrica della seta di Talavera de la Reina non è un canonico luogo di pellegrinaggio: il poeta ci arriva per caso, un giorno, mentre sta remando lungo il fiume, come faceva da bambino.
Il potere evocativo del luogo trascende subito la dimensione autobiografica e soggettiva e si proietta all’esterno, nello scenario naturale, che si anima di morte presenze e di perturbanti richiami. Non nel luogo, che resta chiuso, ma fuori di esso, dentro il paesaggio, nei confini concreti di quello che Zanzotto ha definito l’«universo percettivo totale», prende corpo la voce del poeta che tra «palabras rotas» e «hilos de seda» corre lungo la pagina per sfuggire le trappole della poesia monumentale. Dal buio (yo este poema lo escribo a oscuras) s’origina un racconto frastornato, smarrito, sussurrato «en voz baja», dove brandelli di luce e di memoria s’inseguono vorticosi e assediano il soggetto imprigionato in una «noche larga, con un sol azul desencajado». Il poeta, testimone di secondo grado, ritrova dentro di sé i racconti ascoltati in passato («sólo oí, y ahora debo ser testigo de lo que oí»), dove i nomi di chi formava i plotoni d’esecuzione («sus nombres de pila») si mischiano a quelli dei prigionieri, per riemergere in modo confuso («ahora mezclo esos nombres, son tan parecidos entre sí, y los rostros tan iguales»), mentre l’angosciosa prossimità tra vittime e carnefici è come amplificata nello scenario naturale, dove l’eterno ripetersi di un tempo ciclico sembra nascondere ma non cancellare le tracce di ciò che è stato.
La proiezione del luogo all’esterno non indica affatto un depotenziamento della sua carica memoriale; al contrario, non solo le mura della Fabbrica della seta parlano del suo recente passato, ma si sedimentano di altre memorie, di altre storie di deportazioni e di persecuzioni, intessute tra loro come fili inestricabili («hay otras historias hiladas aquí»): quella di un liceo di Rue de Rosiers a Parigi, in cui una mattina del 7 aprile 1943 più di trecento bambini ebrei furono costretti ad uscire per essere trascinati nell’abisso della morte; quella di uno studente francese di Architettura, che in fuga a Jaraíz de Vera, cade nella neve, è fatto prigioniero, e muore ammazzato di percosse da un gruppo di fascisti.
Dunque Curiel, «poeta de muchos lugares», per usare la felice espressione di Laskaris, non ci parla di un solo luogo e di una sola storia. La Fábrica de la seda è soltanto uno dei tanti, anonimi, sconosciuti posti in cui la Guerra ha cancellato le vite di tanti, anonimi, uomini senza volto e senza memoria. A costoro, a «los desaparecidos», va riconosciuta la dignità del ricordo, come sottolinea nell’epilogo che chiude il libro, Emilio Silva Barrera, Presidente dell’Asociación para la recuperación de la memoria histórica. A queste donne e questi uomini, che «dieron un ejemplo al mundo modernizando a un país y enfrentándose en armas contra el fascismo», il libro di Curiel è idealmente dedicato, insieme a tutti quelli che contribuiscono a perpetuarne il ricordo, a eternarne la memoria: «más que un poeta, necesitamos ahora testigos».

M. A. Curiel, Fábrica de la seda (Con-memorias), ilustraciones de J. C. Mestre, Epílogo de E. Silva Barrera, traducción al italiano y edición al cuidado de P. Laskaris, Madrid, El sastre de Apollinaire, 2017.

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ornella tajani
ornella tajani
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
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