dieci validi motivi per ammazzare i poveri più uno francamente pretestuoso.

di Pino Tripodi

conviene iniziare con l’undicesimo motivo, quello pretestuoso. ciò si deve alla semplice coincidenza che lo scrivente è un povero anche lui, quindi se afferma che ha dieci buoni motivi di ammazzare i poveri significa che quei motivi sono validi anche per lui. se fosse onesto per coerenza logica dovrebbe essere ammazzato. ora, voi potreste dubitare della sua onestà, ma vi sbagliereste perché finito di redigere quei dieci validi motivi per ammazzare i poveri l’autore si fa ammazzare veramente. c’è solo un unico problema materiale da risolvere per rispettare la saggia decisione. avendo lui stesso scritto del problema chi è che dovrebbe farlo fuori? sembrerebbe una difficile faccenda ma invece è veramente una quisquilia. ecco la risoluzione. è  lui che di sua propria mano uccide il povero che è in sé. con quali mezzi non è difficile congetturare. sarebbe inutile, incoerente e dispendioso provvedere con sistemi che richiedono una certa frequenza col denaro, l’eutanasia in olanda, la clinica della morte in svizzera, la pistola, i farmaci o l’iniezione letale. esclusa la morte in sintonia col capitale occorre cercare gratuiti mezzi per porre fine all’esistenza.  ciascuno si direbbe saggiamente è meglio che muoia nel suo brodo, quindi, anziché provare truci soluzioni, buttarsi dal balcone, tuffarsi in mare con uno scoglio al collo o giù di lì – rimedi, è bene dichiararlo, che ostano alla sensibilità umanitaria dell’autore -, la più semplice mossa è abbandonarsi alla propria condizione, lasciarsi cioè morire d’inedia e fame. chi ha l’abitudine forzata a centellinare il pane e il companatico della sopravvivenza in ciò non riscontra particolare resistenza. la consuetudine da fame di prassi attenua alquanto i crampi e la sensazione rotatoria della testa quando il proposito dell’inedia diviene cosciente e radicale. si arriva alla fine lucidi di raziocino e illuminati di mente. la dipartita dalla povertà affrontata con lungimiranza avviene serena come il sonno se il corpo non è oberato da funzioni digestive complicate come quando fa incetta di lardo e fave irrorati a volontà da una ciofeca che è scandaloso assai chiamare vino. cosicchè, anzichè protrarre gli incubi della fame che lo devastano ogni qualvolta serra gli occhi, oltre la propria morte il povero può sognare di vivere felice con la sua bella magari ancora sconosciuta in barba a ogni ristrettezza.

risolto il problema della fine, dell’undicesimo motivo francamente pretestuoso, ci possiamo concentrare sull’inizio, sui dieci validi motivi per ammazzare i poveri.

a mo’ di avvertimento, prima di iniziare, occorre rendere palese che i dieci motivi non sono dettati certo da invidia o da rancore. come si potrebbe se chi scrive appartiene a quell’umana condizione.

essendo come già detto anche lui povero l’autore se scrive le seguenti cose è  per puro spirito di conoscenza basato sulla profonda esperienza maturata dal momento in cui senza chiedergli permesso è stato per caso più che per spasso gettato nella vita. le considerazioni svolte pertanto non sono sterili elucubrazioni intellettuali ma semplici constatazioni oggettive, fotografie scattate per mostrare il vero senza le lenti e i trucchi delle ideologie. il suo unico intento è che la verità si faccia strada. il resto non interessa perché privo di secondi fini.

 

il primo valido motivo è davvero lapalissiano. i poveri sono troppi nella miseria ma ancor di più nell’opulenza. non c’è tempo, società o regione del mondo dove non sia così. non c’è individuo, famiglia, governo o religione che non abbia avanzato programmi davvero razionali per eliminare la povertà. ma tutto è stato inutile. la ragione è presto detta. i poveri sono i parassiti della ricchezza. più cresce l’albero dell’abbondanza più i poveri vi allignano come funghi velenosi che rendono amara la vista ai ricchi. cercare di potarli è inutile. meglio ammazzarli dal primo all’ultimo esemplare. così il paesaggio della ricchezza diviene uniforme e chi ha i mezzi per natura non viene umiliato nel guardar cose che sono francamente indegne di essere osservate.

 

il secondo valido motivo non ha meno evidenza. i poveri non sono tali per disgrazia o sfiga. è un’ingiustizia davvero grande pensarla in questo modo. poveri lo sono per colpa e per natura. la colpa è antica e la natura non perdona. da poveri nascono poveri. è una legge incontrovertibile dell’umana specie che se si rispetta va bene a tutti, ma se qualcuno pensa di fare il furbo sovvertendo le leggi basilari del creato a pagarne le spese sono proprio loro, i poveri, e chi altrimenti. qualcuno poveretto pensa se sono nato povero la colpa è del ricco, ma non ci vuole una gran logica per capire che tale congettura non ha senso.  i poveri son poveri perché la povertà ce l’hanno nel sangue. chi nasce povero non ha ragione alcuna di recriminare. a render complicata la faccenda c’è quella piccola eccezione di poveri ricchi per caso. sono davvero pochi ma l’indagatore attento non fatica a snidarli di modo che il caso venga senz’altro smascherato. i poveri ricchi per caso sono quei poveri che per qualche scherzo di natura – anch’ella, checché si dica, non è del tutto esente dall’errare – si trovano nel torbido a gozzovigliare con mezzi di proprietà e d’uso geneticamente non propri. quando questa vergogna accade, i poveri non stanno a proprio agio e allora non passa molto tempo che restituiscono non sempre volentieri il maltolto pagando il fio con qualche decennio di prigione, con l’infamia a vita o con la morte.

il secondo motivo si rafforza per un’altra ragione.

l’intelligenza non si addice ai poveri –  nei loro geni è dimostrato che la stupidità prolifera balzando ben oltre i limiti della decenza – eppure un qualche  barlume di ratio alligna pure dove meno te l’aspetti. se così non fosse molti poveri non avrebbero coscienza che sono poveri per colpa e per natura e invece conoscono davvero bene la verità tant’è che  passano la vita a odiare i genitori che li hanno gettati nella vita in questo stato. l’odio cresce con l’età tant’è che se i poveri meno scemi potessero agire impunemente nessun loro genitore sopravviverebbe alla furia che hanno generato. se l’odio maturato dalla nascita si raggruma più spesso nell’astio atavico anziché nell’omicidio dei genitori è per viltà, per la paura che ammazzando il padre o la madre toccherebbe qualche annetto di galera in più. ma questa frustrazione dell’inibirsi a volta di ammazzare mamma e papà a causa dei natali socialmente indesiderati si scatena contro il prossimo, infatti è cosa nota che i poveri si ammazzano tra di loro alla prima occasione. il secondo motivo umanitario rafforzato per ammazzare i poveri è dunque di necessità per cancellare questo scempio liberando in un colpo solo odio, viltà e astio che non si addicono certo al resto dell’umanità.

 

 

il terzo motivo è che nel vizio innato che i poveri hanno d’ammazzare capita che ci vada di mezzo qualche innocente ricco. i poveri si ammazzano tra di loro, è vero, ma qualche volta nel loro furore umanicida c’è qualche onesto cittadino che ci capita di mezzo. non è più per volontà classista che i poveri ammazzano qualche ricco – ormai questa vergogna è stata per fortuna quasi completamente eliminata dalla faccia della terra – pur tuttavia qualcuno dei ricchi ripeto non proprio di proposito ci capita tra gli ammazzamenti dei poveri. se i ricchi non fossero mai toccati i poveri dovrebbero essere lasciati liberi di ammazzarsi tra di loro così parte della fatica di farli fuori tutti sarebbe risparmiata e il terzo motivo verrebbe volentieri a mancare.

 

il quarto motivo è il commercio carnale a cui i poveri si danno nel goffo  tentativo di accalappiar qualche ricchezza. vendere il proprio o l’altrui corpo dovrebbe essere attività da perseguire duramente, ma così non è perché purtroppo vi è qualcuno anche tra i ricchi che compra ciò che non andrebbe mai venduto. qualcuno potrà dire che non tutti i poveri si donano alla prostituzione e quel qualcuno avrebbe sicuramente la ragione dalla sua. l’autore non intende negare che fra i poveri vi è chi non si prostituisce. assodato il fatto, tuttavia, non si può non constatare che la prostituzione è esclusiva facoltà dei non aventi. da ciò ne discende che con l’ammazzamento dei poveri il commercio carnale si estinguerebbe per la prima volta nella storia dell’umana specie.

 

il quinto motivo è che i poveri sono tarati eticamente. con quel deficit che hanno non c’è bisogno di diventar malvagi. lo sono di costituzione. nella malvagità congenita sviluppano un senso di colpa davvero originale che gli occupa la totalità della materia cerebrale. il senso di colpa non rivolto alla propria persona, sia beninteso, ma a quella altrui. la loro mente non si pervade come sarebbe sensato e giusto della coscienza della propria colpevolezza, ma della scriteriata sensazione della colpa altrui. sono davvero maniacalmente bravi a trovare la colpa di altri nella bugiarda presunzione di essere innocenti sempre. se sono povero il povero pensa la colpa non è mia. e non essendo sua il povero si trova qualche nemico da colpevolizzare tra la folla. la società, la chiesa, lo stato, il ricco, il vicino, non importa chi. il povero non pensa sia merito suo la sua povertà. il ricco invece è di gran lunga più intelligente. sa che non ha nessuna colpa per la sua condizione, non va cercando colpe a caso ma meriti circostanziati e per coerenza estrema ritiene giustamente che l’avere assai è esclusivo merito suo. i ricchi dunque sono per il giusto merito, i poveri invece non riconoscono la giustezza di questa fondamentale priorità dell’umana condizione. senza avere merito alcuno pensano di appropriarsi degli altrui averi, ma questo notoriamente è un furto che andrebbe sradicato.

 

l’invidia compare come sesto ma è tra i più validi motivi per ammazzare i poveri che giuro sono invidiosi di natura. sembrano servizievoli e fedeli, si strusciano sui ricchi come fossero gatti in calore, rispondono a bacchetta sissignore appena intravedono un abbiente disponibile a sganciare la moneta ma non è onesto quel che fanno. anche quando sembrano fedeli più del cane fido sono soltanto opportunisti pronti a tradire al primo segnale di profitto. l’invidia dell’altrui ricchezza gli scorre nel sangue che circola in ogni corporea parte della persona per cui da quell’invidia primigenia il povero sviluppa una natura invidiosa  di ogni cosa. l’invidia è il sentimento generale della povertà. i ricchi si sa non sono affatto invidiosi, perché dovrebbero provare invidia davvero non si capisce, per cui si può dedurre senza probabilità d’errare che una volta ammazzati i poveri anche l’invidia sarebbe definitivamente debellata.

 

il settimo motivo riguarda il sistema della pecunia. tutte le società sopportano con cadenze sempre più vicine crisi devastanti che scuotono l’umano agire mettendo a rischio davvero grande ogni colonna della società. eppure  la causa generale di ogni crisi non è un mistero per nessuno: sono loro i poveri senza dubbio alcuno l’origine del male. per chi, per pregiudizio veramente irriguardoso verso le scienze che studiano con meticolosa precisione come e perché l’economia va in crisi, conservasse un residuo dubbio l’autore consiglia un supplemento d’informazione. il dubbioso a quel punto non potrebbe disconoscere le ciclopiche risorse che sono dilapidate con l’obiettivo  di tenere i poveri in vita. inoltre, la ragione umanitaria esagera fornendo oltre il necessario per  la sopravvivenza anche i mezzi immeritati per condurre esitenza dignitosa a tutta la canaglia.

tra prigioni, scuole e ospedali, tra il circo e il pane, quel dubbioso così saprebbe quanto costano i poveri alla comunità che a un certo punto è naturale non ce la fa più a sopportare quell’immenso peso e crolla come la pera un tempo molto aggraziata e bella ma resa fragile in breve dal beccare di corvi e merli che in compagnia di mosche, formiche e altri insetti la bacano così tanto che al primo fievole vento si butta a terra dalla disperazione anche se non è poi così matura. senza l’ingiustificata poverofilia che porta le società a spese così vertiginose le crisi non scuoterebbero più il mondo. la poverofilia fa male al resto del creato, dunque se per ragioni umanitarie è duro abbandonare i poveri al loro colpevole destino, l’autore deduce che è meglio ammazzarli tutti così da estirpare all’origine la sorgente delle crisi.

 

l’ottavo valido motivo è di ordine demografico. i poveri sono come i conigli, più sono poveri e più fanno figli. nel tempo in cui la poverofilia non era così in voga il problema si risolveva spontaneamente. l’innata pulsione proletaria del poverume era bilanciata dalla provvida natura che decimava i frutti della povertà in eccesso. se ogni povero senza pensiero generava dieci e più figli in media ne restavano due a perpetuare con generazioni successive la vergogna. ma adesso la natura non è lasciata libera di fare il suo mestiere perché i poverofili l’hanno espropriata della sua facoltà massima, quella di selezionare il buono e di sopprimere il marcio. se come tutti dicono la natura va aiutata sarebbe logico e giusto sopprimere il marcio in vece sua che è impedita da circostanze veramente disgraziate. questa missione è avvalorata da un’altra considerazione. i poveri non è che fanno i figli e basta. non si contentano di riempire il mondo di problemi, pretendono anche che a mantenerli non siano loro che li hanno a casaccio generati  ma quelli, i ricchi dico, che stanno bene attenti a partorir la prole perché si sentono, è ovvio, responsabili di ogni loro azione. dunque, ammazzando i poveri come da programma l’equilibrio demografico sarebbe assicurato.

 

 

il nono motivo è davvero cruciale. in tutto il mondo esiste la questione criminale.  tra mafie di diverso colore e stile, tra bande di farabutti che studiano ogni modo per truffare, tra ladri bambini giovani e vecchi che ruberebbero pure la preghiera sopra l’altare, non c’è spazio della vita che non sia contaminato dalla furfanteria. l’insicurezza endemica fa molto male alla salute, con la canaglia in giro non è in stato precario solo la proprietà privata ma l’intera sfera della vita in ogni momento è resa insicura, vilipesa, minacciata.

in più c’è un crimine sottile che si dovrebbe evidenziare anche se quel crimine più fastidioso di tutte le mosche e le zanzare non è non si capisce per quale insana ragione trattato sempre come tale.

l’autore si riferisce alla questua e alla sua variante, il barbonaggio. vedere le città colme di parassiti che lasciano puzze, orine ed escrementi in ogni angolo,  che si attaccano alla coscienza della gente fin quando stufa di lamenti e piagnistei si scuce la moneta sudata con fatica è una pena quotidiana assai gravosa. vi è chi per compassione si sente d’elargire una moneta, un vestito usato o un sorriso a caro prezzo, ma non è questo il giusto piglio d’affrontare la questione. l’elemosina non è come lo sprovveduto crede un modo gentile di chiedere. è invece un furto con destrezza compassionevole. la questua e il barbonaggio sono altri modi di rubare.

eppure, niuno disconosce il grande utero che partorisce il crimine. ognun sa che il povero più onesto è un ladro patentato. di più. è un criminale nato. le scienze di diverso indirizzo e tipo hanno tentato di curare la situazione col farmaco, con la catena, con l’educazione. ma ogni sforzo è risultato vano. chi nasce criminale non si può emendare. l’unica soluzione è quella finale. solo ammazzando i poveri in un baleno del problema criminale non si avrebbe realtà e neanche memoria, aspetto quest’ultimo tutt’altro che da minimizzare perché quando il crimine appare la memoria diventa un male assai difficile da curare.

 

 

il decimo motivo è davvero intuitivo. i poveri non si sa per quale genetica ragione hanno la pulsione di muoversi in modo convulsivo. qualcuno va dicendo che amano migrare per questioni di guerra o di lavoro, ma non è vero niente. si muovono per pulsione innata come fanno le mosche o le zanzare. provate se volete a servirle di sostanze zuccherose e di sangue. zampettano giusto per riempirsi la pancia a sbafo approfittando delle scorte altrui, ma poi che fanno, se ne stanno forse fermi o continuano a mordicchiare a destra e a manca senza omettere di scacazzare? la risposta al facile quesito va da sé.  anche quando sono abboffate di reddito e di lavoro non perdono il gusto di fastidiare il prossimo per puro spirito persecutorio. come le mosche e le zanzare i poveri sciamano ovunque. la genetica ragione glielo impone. e dove vanno portano in dono tutti quei problemi trattati negli altri nove validi motivi. cercare di fermarli, respingerli, spedirli al mittente non serve proprio a niente. anche riempire le prigioni è un errore colossale. l’unico rimedio ormai lo sapete, dunque che ve lo dico a fare.

 

per ultimo occorre segnalare le perplessità di un caro amico il quale venuto a conoscenza dei qui presenti dieci validi motivi per ammazzare i poveri mi ha redarguito. dieci son troppo pochi. in verità lui dice i validi motivi sarebbero infiniti, infatti per quanto il caso nella storia sia stato a lungo studiato nessuno ha mai trovato un motivo davvero serio perché i poveri debbano rimanere in vita. il caro amico ha ragione, non lo si può negare, ma per difendere l’autore almeno parzialmente dall’accusa tocca segnalare che se avesse dovuto stilare anziché dieci tutti i validi motivi l’impresa iniziata con dedizione e cura non avrebbe conosciuto fine. perciò la scelta di limitarsi ai dieci che sono senz’altro validi non ha pretese che siano quelli gli unici motivi per ammazzare i poveri. d’altronde ciascuno può trovare i suoi, chi glielo impedisce, il menu dei validi motivi offre possibilità di scelta illimitate.

ciò che conta per davvero è che il presente scritto sia ultimo nel suo genere. il più famoso data quasi trecento anni or sono. ma swift, il grande maestro dell’umile autore, scrivendo la sua modesta proposta in due cose certamente si sbagliava. la prima è prevedere di ammazzare solo una parte dei bambini nati in povertà col che il problema si attenua certo ma non si risolve affatto. il secondo consiste nel trattare quei bambini da ammazzare come cibi prelibati la qual cosa non si può negare ma non corrisponde in pieno ai gusti alimentari dell’autore.

i dieci validi motivi invece dovrebbero godere di unanime consenso e di legittime aspirazioni a divenir prassi reale per l’umana specie nel sol dell’avvenire.

se nei prossimi secoli qualcuno contrariamente alle speranze dell’autore avrà l’ardire di affrontare la questione vorrà dire ahimé che anziché estinguersi per sempre i poveri non si sa per quale assurda ragione saranno stati almeno in parte risparmiati dall’essere ammazzati.

 

 

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Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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