Il vino buono

di Antonio Sparzani

A chi venisse in mente di salare il vino, o, meglio, i vini, io non darei alcun affidamento, se poi lo facesse nel mese di maggio, peggio che peggio, vi immaginate voi uno stupendo nebbiolo, o un brunello ben invecchiato con dentro del sale? Io proprio non riesco non solo a desiderarlo, ma neppure ad immaginarlo. Per non parlare poi dei soprannomi e dei nomignoli con i quali costui potrebbe venire indicato, ma questi li lascio immaginare a voi.
Vi immaginate poi se dovesse rivestire una carica pubblica che pessimo esempio darebbe ai concittadini, non solo lombardi e piemontesi ma perfino agli abruzzesi, con quella loro mania di saltare la doppia “g” nelle parole, così che “raggio” lo pronuncerebbero qualcosa come “raio” o simili.
Non si capisce poi perché un tale individuo dovrebbe perpetrare un simile delitto, forse per paura della migragna (o anche micragna, come avverte il dizionario Garzanti della lingua nostra), cioè della penuria di vino che gli si produrrebbe se tutti bevessero il suo buon vino non salato, tantoché mi dicono che tutti costoro che vorrebbero bere il suo buon vino, lui li chiama “migragnanti”, o per brevità “migranti”. Perché è anche un po’ ignorante e non sa che così invece si designano tutte quelle persone, esseri umani come lui e che mai forse farebbero queste corbellerie col vino, che scelgono di cambiare paese perché al loro paese stanno male, o sono perseguitati, perché sul pianeta nostro di stolti perseguitanti ce n’è tanti, del genere del Nostro, ricordiamocelo. E che poi – ormai lo si è detto milioni di volte – gli italiani in tempi anche non troppo lontani sono stati migranti un po’ dappertutto, e talvolta bene e talvolta male, accolti, ma pur sempre accolti, e autorizzati a fare un lavoro per mantenersi. Che se poi andiamo a tempi lontani, ma bastano meno di un migliaio di generazioni, tutti noi che siamo qua nel bel paese, siamo arrivati dal sud, da quello straordinario serbatoio di vita nascente che è stata l’Africa. Ci fosse ancora il grande Luigi Luca Cavalli-Sforza, gli farebbe lui una bella spiega di cosa accadde nell’umanità, anche se ormai quasi ogni giorno si apprende che nuovi reperti sono stati trovati, con resti umani, di tipi ancora non ben classificati e che comunque sempre se ne sono andati in giro per il mondo.
E perché mai dovrebbero tutto d’un colpo fermarsi?

(vignetta di Kira Boker)

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2 Commenti

  1. Perfetto Antonio anzi quasi lapalissiano. Il Bel Paese grazie al ministro primate inferiore ha congelato la dizione di ‘rifugiato politico’ per cui, nel caso che mi sta occupando, di una rifugiata nicaraguense che ha chiesto asilo risulta che i rifugiati politici di questo paese centro americano hanno libera accoglienza negli USA (!!!), in tutti i paesi europei tranne l’Italia. La permanenza di questa persona che era venuta dietro assicurazione che sarebbe stata accolta….etc etc
    Alla faccia di Luca Cavalli Sforza…..Naturalmente Salvini non ce la potrá fare ad alterare qualcosa che affonda le radici….

    • grazie, Carlo, spero anch’io che non ce la faccia, nel lungo periodo, ma sempre dipende da quanto è “lungo” questo periodo!

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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