Lo spazio duale

di Nicola Fanizza

( il libro di Waldemaro Morgese verrà presentato alla Spazio Milano, viale Montenere 6, il 31 ottobre 2019, alle ore 18.30; oltre all’autore, interverranno Nicola Fanizza e Stefano Boldorini, letture di Paola Martelli, g.m.)

Duecentoventi pagine costituiscono I guerrieri cambiano, l’ultimo libro di Waldemaro Morgese pubblicato da Homo Scrivens, nel quale vengono trascritti il vagabondaggio e i sogni di un uomo che da diversi anni è catafratto nella sua identità e che poi, improvvisamente, si mette in transito.

Scisso, disorientato, maschera della propria maschera, Ugo, nel primo dei due racconti che compongono il volume, è il prototipo dell’uomo moderno, di un uomo che fa della dissimulazione il proprio credo, di un uomo che da alcuni decenni vive in una società, caratterizzata da una fobia per l’esterno e da un’affermazione identitaria. Tutto ciò ha portato alla cancellazione dell’alterità e a un interno ridotto a mera cassa di risonanza del discorso canonizzato della polis.

I sogni di Ugo, come tutti i sogni, si configurano come lo spazio in cui da una parte vanno in scena le paure e le angosce che costellano la sua vita e, dall’altra, come ciò che consente ai suoi desideri di assumere una forma. E cos’è la forma se non una ricerca di senso?

Così, nel primo racconto che ha per titolo Oltreoceano, il viaggio di Ugo in America diventa l’occasione per desituare il male fuori dall’orizzonte in cui stazionano i protagonisti oppure in un lontano passato. Assistiamo alla celebrazione dei buoni sentimenti e del sogno americano: Ugo ha finalmente l’occasione per realizzare sul piano fantasmatico gran parte dei sogni che gli venivano negati in patria, sogni che l’autore aveva sognato nel corso della sua vita.

Il primo sogno si realizza presso l’Emotive Theatre di New York. La messa in scena del suo libro di racconti che ha per titolo Città buie evoca le recondite ambizioni, che l’autore, come critico teatrale, aveva coltivato durante la sua giovinezza. Tradisce, infatti, il suo desiderio di promuovere l’arte totale, una particolare teoria dell’arte di cui aveva parlato per primo Antonin Artaud e in seguito Carmelo Bene. Si tratta di una miscidanza dei generi e soprattutto della valorizzazione del corpo come strumento di comunicazione.

L’incapacità di Ugo di comunicare con l’altro da sé appare al lettore sin dall’inizio dei lavori preparatori alla messa in scena del suo romanzo. Salvo che con Marguerita, che aveva provveduto a tradurre il suo romanzo in inglese, le relazioni con gli altri membri della compagnia teatrale sono cordiali e stazionano nell’atmosfera del mero interesse. Sin dal loro primo incontro, Marguerita gli appare come un «simbolo aurorale, l’annunzio di un nuovo sperato amore». La loro relazione, però, si mantiene solo nell’ambito dei rituali della reciproca seduzione, non riesce ad andare oltre. La paralisi di Ugo è riconducibile alla sua incapacità di accogliere e far posto all’altro da sé. Marguerita da una parte gli appare come una donna che è attraversata da un processo di alterazione che la rende inafferrabile e, dall’altra, Ugo non sa rinunciare alla sua integrità, la passione identitaria è così pervasiva da spingerlo a porre l’altro solo fuori di sè.

Le conferenze tenute da Ugo – «scrittore di successo» – e soprattutto la curiosità manifestata dal pubblico nei suoi confronti rimandano per molti versi a un sogno che ci sogna: il desiderio dell’autore – e anche nostro – di godere di quella visibilità che, invece, gli è stata negata. Si tratta di un desiderio che abita nei nostri pensieri, un desiderio che, tuttavia, ci fa sognare i sogni del potere, un desidero che è oltremodo pervasivo. Da qui l’esigenza di negare non solo il desiderio di potere, bensì il potere del desiderio in quanto tale.

Suggestiva è, invece, la descrizione di Buffalo, una città attraversata da ferite e laceranti scissioni. La povertà e il degrado caratterizzano le abitazioni dei quartieri operai e le facciate scolorite dei palazzi delle zone semicentrali denotano la crisi della classe media. Il tutto fa da contraltare agli agglomerati di gran lusso, dalle architetture neoclassiche immerse nei parchi. Si tratta, però, di costruzioni che si sottraggono allo sguardo, poiché sono protette da guardie armate.

Buffalo è anche la meta finale del viaggio di Ugo negli Usa. Qui deve partecipare a un ciclo di conferenze incentrate sul memoriale del figlio di un immigrato italiano che negli anni Trenta, dopo aver vissuto alcuni anni proprio a Buffalo, si era trasferito nell’Urss, sperando di trovare il paradiso in terra. La sua scelta, tuttavia, si era rivelata esiziale, in quanto era stato imprigionato per quindici anni in un gulag siberiano. Il senso della partecipazione di Ugo a questi rituali, con la relativa denuncia dei crimini dei comunisti sovietici, serve per desituare il male in un lontano passato. D’altra parte, consente all’autore di prendere le distanze da quel periodo della sua vita in cui era stato fin troppo acquiescente nei confronti del comunismo albanese, che si richiamava esplicitamente agli insegnamenti di Stalin.

Finalmente nel secondo racconto Oltreverso, con la comparsa del negativo, le vicende narrate diventano avvincenti come in un giallo. Il male questa volta non lo troviamo relegato in un lontano passato da emendare oppure nella natura matrigna o situato nell’altro che sta fuori dall’identità di Ugo, bensì abita proprio nei suoi pensieri.

«Vivo bene – dice Ugo – in mezzo alle contraddizioni», sente di essere diventato un altro, è attratto dalla nuova vita che lo afferra e lo travolge, le esperienze estreme amplificano le sue capacità vitali. I rituali erotici sempre più appaganti diventano il fuoco da cui dovrebbe originarsi un flusso di energie capaci di sortire la «sconfitta totale della morte». Questi riti, però, hanno un esito comunque tragico, poiché sono connessi – come confessa lo stesso Ugo – al «desiderio di far piazza pulita intorno a me».

Il viaggio di Ugo in Brasile – meta del turismo libidinale – si configura anch’esso come un sogno. Si tratta però di un sogno diverso da quelli precedenti, un sogno in cui si dà il groviglio dell’esistenza. Così vengono rappresentati i conflitti e le contraddizioni che agitano la nostra vita, ciò che è certo diventa incerto, le maschere del potere possono trovare il loro contraltare nel desiderio di andare oltre le identità cristallizzate, in cui il potere vuole per sempre inchiodarci. Tuttavia nei sogni le situazioni che amplificano le nostre capacità vitali possono trovare il loro contraltare nelle pulsioni di morte, in ciò che rende possibile la violazione deliberata di alcuni tabù (l’unica definizione accettabile del male!).

Ciò che va in scena in Oltreverso non è il «Teatro della Crudeltà». Morgese è attento alla sensibilità del lettore e cerca per quanto gli è possibile di stendere un velo di silenzio sulle scene di violenza. Il suo obiettivo, a differenza di Artaud, non è quello di produrre, con le scene di violenza, il disagio del lettore e la sua successiva catarsi, bensì quello di dar vita a uno spazio duale, in cui si delinea un’alterità più sottile e complessa. Mentre nel primo racconto l’altro si trovava fuori dall’identità, ora invece in questo nuovo spazio esistenziale l’altro che era fuori di noi viene a trovarsi anche e soprattutto dentro di noi, ossia l’altro è fuori di noi e, insieme, dentro di noi.

L’identità in questo modo non appartiene in tutto e per tutto alla zona dell’essere sempre identico, bensì anche e soprattutto alla potenza del divenire. È di fatto riconducibile all’insieme delle identità che ciascun individuo, in modo differente dagli altri, immagazzina nel suo essere nel mondo. Ognuno di noi sperimenta a volte la sua estraneità a se stesso, sa che il suo sé è inaccessibile anche a se stesso e perciò sacro. Da qui l’esigenza di rigettare ogni pretesa di pervenire a un’identità totale.

Si tratta di una condizione umana che più di ogni altra corrisponde alla concezione sintetica degli opposti, a una dialettica aperta. La cifra della nostra esistenza diventa così incessante reinvenzione, non escludendo le identità passate, tende sempre a riproporle in modo diverso. Tutto ciò mira ad aprire per l’appunto uno spazio duale, uno spazio in cui si manifesta una sorprendente azione creatrice, uno spazio in cui si è sempre in transito. Possiamo solo andare oltre!

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Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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