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Le convivenze elementari

 

 

di David Watkins

 

Opera grafica di Andrea Balietti

 

 

Sorvolano sulle faccende, lasciano fare, con quella specie di tatto e discrezione che li contraddistingue da sempre. Persino la lagnanza, in loro, si è come rischiarata via la pesantezza materica dei giorni. Le bollette, la pentola incrostata dentro il lavandino, la spazzatura ancora da buttare: mai sentito uno che aprisse bocca per così poco.

Hanno buone maniere. Non entrano nelle stanze, scivolano tra le cose. Fanno capolino dal quadernetto su cui prendi appunti, o sbucano nella voce di un passante, nel profumo delle strade. Li stani un po’ dappertutto, ti spostano il sorriso, mentre si iniettano in un clima. Ma poi se ne ritornano al fresco, in camera loro, si appoggiano lì da qualche parte, senza rumore, senza neppure chiudere la porta.

È che lasciano tutto aperto, sempre. Godono di un’integerrima distrazione. Tu parli parli, loro, finta di niente. Non ti resta che parlare come se tu non ci fossi. Alla lunga, finiscono per abituarti a un’altra forma d’ascolto con cui intendere le cose, a sentire come di traverso, senza star lì ad ascoltarsi troppo, quasi lasciando le parole, come una musica in lontananza, come qualcosa che si possa soltanto origliare.

Certo, sono molto più terra terra di quanto noi non si creda, ma agiscono teneramente, nella logica di un occhiolino. È come un cenno, come una volta che tenga assieme la prima e l’ultima, senza essere nessuna delle due. Ecco: la postura con cui tieni il bicchiere adesso, mentre te ne vai con le parole a vanvera tra le cose, quel modo di trattenere il gomito nell’aria, come in un vuoto di scena. Oppure queste gambe che si accavallano al momento giusto, sottolineando il loro stesso movimento, sì, ma senza dare troppo nell’occhio, senza fastidio.

Insomma qualcosa, nell’aria che ti circonda, mette in circolo una loro postura, una movenza qualunque. Ci si scambia di posto, il tempo appena di un’intesa, come in un’amicizia o in una piccola citazione.

Allora ti fa come ridere, questo modo che hanno di rimanerti addosso, li senti ancora ridere se ci pensi, i morti sono inquilini ideali.

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Giorgiomaria Cornelio è nato a Macerata nel 1997. E’ poeta, regista, curatore del progetto “Edizioni volatili” e redattore di “Nazione indiana”. Ha co-diretto insieme a Lucamatteo Rossi la “Trilogia dei viandanti” (2016-2020), presentata in numerosi festival cinematografici e spazi espositivi. Suoi interventi sono apparsi su «L’indiscreto», «Doppiozero», «Antinomie», «Il Tascabile Treccani» e altri. Ha pubblicato "La consegna delle braci" (Luca Sossella editore, Premio Fondazione Primoli, Premio Bologna in Lettere) e "La specie storta" (Tlon edizioni, Premio Montano, Premio Gozzano Under 30). Ha preso parte al progetto “Civitonia” (NERO Editions). Per Argolibri, ha curato "La radice dell'inchiostro. Dialoghi sulla poesia". La traduzione di Moira Egan di alcune sue poesie scelte ha vinto la RaizissDe Palchi Fellowship della Academy of American Poets. È il direttore artistico della festa “I fumi della fornace”. È laureato al Trinity College di Dublino.
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