Intensificare la vita ovvero il tempo degli eventi ( opinioni di un disadattato)

di Giorgio Mascitelli

Prima dell’avvento dell’epidemia di Covid 19 e delle conseguenti misure di distanziamento la forma di vita sociale più tipicamente contemporanea nelle nostre città era quella dell’organizzazione di grosse manifestazioni che tuttavia non restano confinate in uno spazio apposito magari di tipo fieristico, ma tendono a coinvolgere tutto il territorio cittadino con una miriade di eventi collaterali o addirittura non hanno nessun evento centrale, ma consistono proprio nella diffusione sul territorio. Manifestazioni come Il Salone del mobile o Milano city books non sono che varianti locali di un modalità diffusa in tutte le metropoli occidentali e che se non sarà possibile ripristinare nel giro di breve  tempo, entro un anno al massimo, determinerà una crisi sia dell’economia che la sostiene sia dei modelli ideologici di riferimento, portando in breve a una crisi di paradigma.

Si tratta di manifestazioni che richiedono una partecipazione per così dire assiduamente assoluta e un impegno che sembra essere più tipico di un contesto lavorativo, pur apparendo a prima vista forme innanzi tutto di intrattenimento: spesso due appuntamenti sono collocati a breve distanza temporale, ma in luoghi molto lontani della città, il numero stesso delle  iniziative è chiaramente superiore alle capacità di presenza di un individuo, le forme della convivialità sono regolate dall’etichetta sociale dominante e perfino la consultazione del catalogo della manifestazione diventa già un lavoro in sé. In questo contesto seguire un numero anche ristretto di eventi richiede una prestazione di un certo livello anche sul piano fisico con il suo carico di stress e il senso di fallimento e di isolamento sociale nel caso non si possa mantenere il livello di presenzialismo che ognuno si è posto silenziosamente come proprio obiettivo. Gli eventi della manifestazione scandiscono il tempo, che è un tempo accelerato, sicuramente superiore alle capacità individuali di movimento e attenzione, e così il singolo evento cessa di avere un significato specifico e diventa parte di un flusso continuo. In fondo queste grandi manifestazioni non ripropongono che in forma concentrata quella logica degli eventi, che troviamo in un normale fine settimana o anche nel sistema mediatico e nei social. Il premio però che offrono in palio a chi affronta la prova e ne esce vittorioso è la convinzione di vivere una vita piena e intensa, in cui si coglie il meglio per la propria autostima che una realtà vorticosa lascia intravvedere. Non è peraltro un fatto nuovo la presenza di un elemento performativo nei piaceri sociali liberamenti scelti: si sa che indossare gli abiti che le dame dell’alta società settecentesca portavano nelle occasioni più prestigiose richiedeva una vera e propria performance atletica con la non trascurabile differenza che essi rientravano nei non numerosi obblighi sociali di un’élite per tutto il resto riverita e servita, mentre attualmente sono lo sforzo minimo richiesto a chiunque voglia sentirsi cittadino del mondo.

Come scrivevo sopra, uno dei caratteri principali del flusso degli eventi, sia di quelli previsti nelle manifestazioni sia di quelli che punteggiano la vita quotidiana,  è quello di dare un preciso ritmo, elevato e possibilmente crescente, alla scansione temporale della vita sociale e del tempo libero del singolo, il che è un elemento sorprendente per una cultura moderna, nella quale la misurazione esatta del tempo è legata al ritmo di lavoro, la ricerca sistematica della sua intensificazione al calcolo della produttività e dunque all’industrializzazione. Si ha qui invece un’intensificazione dei ritmi del tempo non lavorato e un nuovo Charlot protagonista di un ipotetico remake di Tempi moderni forse non avrebbe bisogno del suono della sirena d’inizio turno per dedicarsi alle sue mansioni con ritmi folli. Pare probabile che questa accelerazione del tempo libero sia un segno del fatto che tempo libero e tempo di lavoro tendano a mescolarsi e a tracimare reciprocamente negli spazi riservati all’altro e questo, a sua volta, sia connesso con quel fenomeno che alcuni critici dell’attuale società hanno chiamato svolta linguistica dell’economia, che sarebbe poi la tendenza del capitale a mettere a profitto non solo l’attività produttiva nel senso tradizionale del termine ma l’attitudine comunicativa dell’uomo e tutti gli aspetti della vita.

Se il tempo degli eventi è un tempo accelerato e per più di un verso simile a quello lavorativo, che a sua volta subisce delle modificazioni postfordiste per così dire, come attesta la diffusione delle varie forme di orario flessibile e di lavoro informatizzato potenzialmente senza limiti di tempo, possiamo notare un carattere profondamente divergente dalla dimensione festiva popolare nel senso classico che propone un’altra temporalità rispetto al calendario normale e alla sua organizzazione. La festa popolare tradizionale propone un rallentamento dei ritmi di vita rispetto a quelli feriali. Non alludo qui alla festa popolare storica, al Carnevale medievale, portatore di una sua propria cultura e visione del mondo, ma semplicemente a quelle feste che esistono o sono esistite nel mondo moderno industriale, ma che si sono formate spontaneamente senza nessuna forma di governo. Un esempio, anche becero se si vuole, è quello della partita di calcio, il cui tempo per gli spettatori, specie nelle curve e nei settori caldi dello stadio, era ben superiore a quello della durata della partita in sé perché era preceduto da canti, schiamazzi, bevute e spuntini sia dentro lo stadio sia fuori, mentre da quando gli incassi del calcio coincidono per la maggior parte nella cessione dei diritti televisivi lo sforzo è portare gli spettatori allo stadio esattamente per il tempo che dura la partita.

Uno dei caratteri dominanti dell’attuale società neoliberista è l’introduzione di una dimensione didattica permanente che deve servire a far interiorizzare agli individui alcuni elementi essenzialmente propedeutici alla vita nel mercato, in particolare le idee di performance individuale, di autovalutazione continua delle proprie prestazioni e di competizione. Questo processo non è naturalmente gestito soltanto dalle agenzie formative tradizionali, scuola, media e famiglie, ma trova la sua più completa realizzazione nell’esperienza sociale generale, in questo senso il modello di socialità basato sugli eventi ha un ruolo di primo piano perché consente di introiettare la performance e l’adeguamento a ritmi accelerati come orizzonte necessario per raggiungere il godimento.

In uno dei libri più citati, non so se altrettanto letti, della seconda metà del secolo scorso, La società dello spettacolo, Guy Debord scriveva che “è noto che il risparmio di tempo costantemente perseguito dalla società moderna- che si tratti della velocità dei trasporti o dell’uso di minestre in polvere –  si traduce positivamente per la popolazione degli Stati Uniti nel fatto che la sola contemplazione della televisione la tiene occupata in media da tre a sei ore al giorno” ( trad.it., 1997, tesi 153, pag.143). In un certo senso il tempo degli eventi che viviamo oggi è figlio di questo uso del tempo, che Debord chiamava  tempo spettacolare, ma in un punto decisivo se ne allontana. Ne è figlio perché la temporalità degli eventi è una forma di merce, esattamente come il tempo spettacolare, destinata a essere consumato all’interno di uno stile di vita che è essenzialmente consumo di esperienze come merci di un supermercato; se ne distacca perché in Debord è chiaro che la dimensione del tempo spettacolare è fondamentalmente contemplativa, tipica di uno spettatore che guardi degli spettacoli, mentre il tempo degli eventi è caratterizzato in primo luogo da un elemento performativo e quasi attivistico. Questa trasformazione può essere spiegata in prima battuta con un cambio di paradigma politicoeconomico: da un capitalismo che vive il proprio boom in paesi democratici in cui lo scopo principale è addormentare la popolazione perché il suo attivismo rischia di alimentare il conflitto sociale a un capitalismo di tipo neoliberista che per garantire il mantenimento del livello dei profitti deve mettere al lavoro ogni aspetto della vita umana, avendo ormai virtualmente frantumato le possibilità del conflitto sociale, che è ridotto a un elemento resistenziale non in grado di condizionare il funzionamento della macchina economica, e dunque può sollecitare nelle masse una mobilitazione individualizzata che coincide nell’idea che si debba intensificare la propria vita ( fare più cose in meno tempo) per realizzarla.

La socialità che gli eventi promuovono, in fin dei conti, è già una socialità competitiva in cui ogni soggetto introietta il concetto di prestazione. Non è un caso che  Peter Sloterdijk nel commendevole  tentativo di dare un’interpretazione positiva di questo fenomeno, strappandolo alle attenzioni pelose di critici e disadattati, alcuni anni fa intitolava un libro molto fortunato Devi cambiare la tua vita,  nel quale curiosamente questo imperativo, che di solito assume un valore etico o religioso, viene inteso come miglioramento delle prestazioni fino al superamento delle posizioni di partenza, in senso quantitativo e intensivo. Proprio stamattina ho ricevuto un sms di pubblicitario che iniziava  con l’invito a cambiare la propria vita e finiva con la raccomandazione di comperare azioni Amazon per realizzare questo cambiamento. L’anonimo estensore del messaggio pubblicitario si è dimostrato il più acuto interprete della tesi di Sloterdijk. Per cambiare la propria vita non si tratta più di ritornare sulla retta via o di andare a vivere in Polinesia, ma di ottimizzare e intensificare le proprie prestazioni. L’organizzazione della vita sociale per eventi rientra in questo percorso di cambiamento della propria vita ossia di sua intensificazione, anzi ne è una delle colonne portanti perché diffonde la convinzione che una vita intensa sia una vita dalle cadenze sempre più veloci.

Ora, le misure di distanziamento sociale seguite alla pandemia vanno a colpire questa modalità di relazione in modo particolare perché essa si basa su una accelerazione funzionale all’aumento dei contatti individuali: se questa modalità non verrà ripresa al più presto, visto che non è sostituibile se non per brevi periodi con contatti virtuali, potremmo trovarci di fronte a una crisi di identità di una parte considerevole della popolazione, specie della parte che sui giornali viene definita come la più dinamica. Infatti la crisi di quel modello di socialità coinvolgerebbe anche il processo di autoriconoscimento sociale e di individuazione del singolo e questo a sua volta metterebbe in crisi anche un tipo di economia degli eventi che nei centri urbani si è sviluppata su questo processo. E’ chiaro che qui si apre una linea di frattura piuttosto interessante perché da un lato ci sarà una spinta a ritornare quanto primo alla normalità degli eventi e dall’altro ci sarà chi vuole sfruttare le economie che il lavoro domestico fa realizzare, mettendo però fatalmente in crisi l’economia degli eventi. Si prospettano tempi duri insomma, ma restando in equilibrio su questa linea potrebbe anche essere un’occasione per provare a vivere con lentezza.

 

 

 

 

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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