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L’umanità delle migrazioni: Titanic africani di Abu Bakr Khaal

di Giuseppe Acconcia

Abu Bakr Khaal, in Titanic africani (Atmosphere libri, 14 euro, 122 pp, traduzione di Barbara Benini) umanizza i viaggi dei migranti africani verso l’Europa. L’autore eritreo che ora vive in Danimarca ha combattuto contro l’occupazione etiope nel suo paese, ha passato anni in Libia e in un campo profughi tunisino, in questo romanzo racconta la vicenda del migrante eritreo Abdar che dal Sudan cerca di attraversare il Mediterraneo. Il primo viaggio è da Omdurman a Khartoum. E così dalle prime pagine traspaiono subito racconti fantastici di personaggi incredibili che Abdar incontra nel suo viaggio. Il romanzo diventa quindi subito corale, ospitando esperienze, aneddoti e racconti di viaggio di decine e decine di compagni di viaggio passati, presenti e futuri che hanno condiviso sorti diverse tra loro. Eppure, nonostante l’autore non lesini nomi stravaganti di trafficanti (come Wanaas l’adulatore o Wad al-Layl, il figlio della notte, o Multham, il velato) e profondi racconti di vita nel deserto, la migrazione non viene mai idealizzata, anzi è un virus, un’infezione che si impadronisce di chi è costretto a percorrere quel viaggio infernale. A tal punto che la traversata verso l’Europa, a bordo di barche, i Titanic del titolo, più che un andare verso un mondo nuovo è un ritornare al proprio (nostos) per Abdar e la sua compagna di viaggio Terhas che alla fine del romanzo fanno rientro in patria prendendo un volo dalla Libia. Ma non per tutti vale lo stesso. È il caso del musicista e poeta liberiano Maluk che Abdar incontra nel suo viaggio verso la Libia e che finirà i suoi giorni nel naufragio del suo Titanic che dalle coste tunisine lo portava verso l’Italia. E così se il deserto è un diavolo, costellato di morti per mancanza di acqua e per la crudeltà dei trafficanti, il mare è un demone di cui nessuno può fidarsi. Perché il viaggio attraverso il Nord Africa è già di per sé un arrivo per i tanti che non vedranno il futuro a cui aspiravano, come Asgedom, che, un giorno giovane e forte, si trovò poco dopo a morire di sete nonostante le ultime gocce della sua urina che gli aveva porto Terhas. Nonostante la vita degradante a cui sono costretti i migranti nei lager libici, Abdar non si abbandonerà mai allo sconforto della privazione o all’approssimazione, vivrà il suo amore per Terhas pienamente, informandosi tra voci, giornali e telegiornali sul modo migliore per raggiungere l’Italia decidendo così di non affidarsi ai trafficanti libici ma di puntare a partire da Tunisi. Attraversato il confine inconsapevolmente proprio durante la festa del golpe del 7 novembre, Abdar, Maluk e Terhas, scambiati per mauritani dalla polizia tunisina, si rifugiarono nell’ostello al-Halfa dove inizialmente nessuno chiese loro i documenti. Purtroppo è qui che le strade dei tre compagni di viaggio si separano per sempre, Abdar e Terhas verranno arrestati e rimpatriati in Libia mentre Maluk morirà nella traversata. Non senza lasciare l’ultima delle sue bellissime poesie, che diventa una sorta di manifesto dei Titanic africani, e un ricordo indelebile nella mente di Abdar: Privo di amuleti/Varcai cancelli sorvegliati/strisciando come un verme/attraverso il filo spinato/Fui inghiottito da acquitrini salmastri/Circondato da cani del deserto/E fuggii/tra piante maligne/che mi strappavano i vestiti/mentre la pioggia mi sferzava/vidi le mie gambe/sprofondare in fosse di fango/che si trasformavano in torrenti/E tuttavia li attraversai/Ora, però/Voglio un amuleto/Per attraversare/Stretti di fuoco/Verso continenti di ghiaccio.

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giuseppe acconcia
giuseppe acconcia
Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente di Geopolitica del Medio Oriente all'Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze Politiche all'Università di Londra, è stato Visiting Scholar all'Università della California (UCLA – Centro Studi per il Vicino Oriente), docente all'Università Bocconi e all'Università Cattolica di Milano (Aseri). Si occupa di movimenti sociali e giovanili, Studi iraniani e curdi, Stato e trasformazione in Medio Oriente. Si è laureato alla School of Oriental and African Studies di Londra, è stato corrispondente dal Medio Oriente per testate italiane, inglesi ed egiziane (Il Manifesto, The Independent, Al-Ahram), vincitore del premio Giornalisti del Mediterraneo (2013), autore del documentario radiofonico per Radio 3 Rai “Il Cairo dalle strade della rivoluzione”. Intervistato dai principali media mainstream internazionali (New York Times, al-Jazeera, Rai), è autore de Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), The Great Iran (Padova University Press, 2018), Liberi tutti (Oedipus, 2015), Egitto. Democrazia militare (Exorma, 2014) e La primavera egiziana (Infinito, 2012). Ha pubblicato tra gli altri per International Sociology, Global Environmental Politics, MERIP, Zapruder, Il Mulino, Chicago University Press, Le Monde diplomatique, Social Movement Studies, Carnegie Endowment for International Peace, Policy Press, Edward Elgar, Limes e Palgrave.
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