Contro Odifreddi: per difendere la scienza

di Daniele Barbieri

Non mi interessa particolarmente difendere Cacciari o Calasso, ma le parole di Piergiorgio Odifreddi su “Cacciari, Calasso e gli antiscienza” pubblicate su La Stampa del 1 agosto 2021 non sono perdonabili, e dimostrano una visione della scienza pervicacemente arcaica, quella stessa contro cui Nietzsche poteva legittimamente avanzare qualche riserva, ma che la riflessione del Novecento ha davvero da lungo tempo superato.

In un articolo pieno di supponente acredine nei confronti di un fantomatico umanismo antiscientista di cui i due Ca sarebbero esimi rappresentanti, Odifreddi arriva a scrivere la seguente perla: “Ora, non c’è bisogno di aver letto l’opera omnia di Nietzsche per sapere che uno dei suoi detti più memorabili e influenti per una certa cultura, che è appunto quella di Cacciari e Calasso, è: ‘Non ci sono fatti, solo interpretazioni’. Detto altrimenti, la scienza non conta nulla, perché si basa appunto su fatti che non ci sarebbero, e conta solo l’umanesimo, che fornisce le interpretazioni chiamate ‘valori’”.

Ora, se Odifreddi si fosse mai preso la briga di leggere almeno una piccola parte di Nietzsche, si sarebbe reso contro a priori del livello di ignorante faciloneria che sprigionano queste parole. Prima di tutto, la scienza si basa sulle interpretazioni, è costituita di interpretazioni del mondo, e i fatti stessi non sono a loro volta che interpretazioni di dati, i quali sono risposte a domande precise che il ricercatore fa alla natura, e quindi a loro volta interpretazioni. Odifreddi non ha, evidentemente, nemmeno letto Kant, altrimenti avrebbe almeno un’idea della differenza tra noumeno e fenomeno, e dell’inattingibilità del primo se non nei termini (interpretativi) del secondo.

Dire che ci sono solo interpretazioni non vuol dire che tutte le interpretazioni sono uguali e la scienza non ha senso, ma solo mettere in guardia dalle generalizzazioni indebite, la qual cosa è comunque parte della regola scientifica. Molto scorrettamente, Odifreddi cerca di sostenere che, al di fuori dei fatti ci sarebbe solo la doxa, della quale sarebbe dunque costituito l’umanesimo, per cui ogni opinione varrebbe quanto ogni altra. La retta scienza, che conoscerebbe il vero, viene contrapposta al corrotto umanismo, che non farebbe altro che fornire le interpretazioni chiamate valori.

Quello che Odifreddi in questo articolo difende, a guardar bene, non è affatto la scienza, bensì una sua specifica interpretazione, che ha nome scientismo. Lo scientismo è una fede, più o meno come quella in Dio, che bisogna avere per poter credere: lo scientismo non crede in Dio come garanzia del vero, ma nella scienza, unica detentrice della verità, e unica depositaria del valore (unico, al singolare, non come i “valori” vari costruiti dalle interpretazioni degli umanisti). Secondo lo scientismo esiste una realtà oggettiva e verificabile sino in fondo con strumenti scientifici e solo con quelli, ma lo scientismo dimentica che gli strumenti vengono costruiti dagli scienziati (e prima di loro dai filosofi), e non esistono al di fuori della cultura che li produce; e che il processo di raffinamento che li porta a risultati sempre più sottili è comunque un processo che dipende dalla cultura e non dalla natura.

Come ci insegna Carlo Rovelli (che, pur non essendo né new age né orientaleggiante, è stato pubblicato da Calasso) il concetto di fatto nella fisica quantistica diventa estremamente incerto, visto che i fenomeni cambiano a seconda dell’osservazione che se ne fa. Più che una realtà oggettiva, sembra emergere l’immagine di una realtà che muta continuamente a seconda del modo di osservarla. Del resto, Einstein osservava la stessa realtà di Newton, ma l’interpretazione cosmologica che ne esce non è certo la stessa: Einstein aveva a disposizione dei punti di vista che Newton non poteva avere, ovvero dei dati nuovi, i quali erano a loro volta frutto di interpretazioni scientifiche.

Tutta questa sottigliezza viene cancellata dall’atteggiamento grossolanamente manicheista che emerge dalle parole di Odifreddi, secondo le quali chi nega lo scientismo negherebbe la scienza, e sosterrebbe l’equivalenza di tutte le opinioni. Per fortuna, la scienza rimane un’impresa straordinaria e straordinariamente utile anche a dispetto di difensori come questo, molto più utili alla causa della cialtroneria ignorante (contro cui Odifreddi pretenderebbe di scagliarsi) che a quella di un dibattito epistemologico a cui la filosofia del Novecento (a partire da un nietzschiano come Wittgenstein) ci ha per fortuna abituato.

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50 Commenti

  1. Articolo molto interessante. Il problema è , come sempre, il voler piegare la scienza ad interessi “altri” ….

  2. il sapere capillare di 7 miliardi di persone sono osservazioni dei fenomeni di un tutto nello spazio tempo con le condizioni date che si incanala nella volontà collettiva, e nelle strutture successive utili e conseguenti, atte a soddisfare i suoi bisogni, questo è coscienza, conoscenza e scienza, è una prima complessità del tutto stabilizzata, la filosofia da sempre vede questo tutto, la foresta, la scienza è un operatore del meccanismo, un termine con la stessa utilità degli altri con profilo disciplinare.

  3. Le menti soni come i paracadute ,funzionano solo se aperte!!! E per fortuna siamo nell’anno 2021 ,new dimension… new estensione…

  4. Tutto interessante e anche condivisibile: i “fatti”sono sempre “interpretati” da una “teoria”, ma importante è che quella teoria cerchi delle “prove” e non agende presupposte. Questi filosofi, a cominciare da chi ha scritto la Bibbia (il libro più “falso” mai scritto) a grandi come Kant etc, hanno i loro epigoni in Heidegger fino a teologi del vaneggiare come Vito Mancuso e allo stesso Cacciari, che cercano di salvare una prospettiva “religiosa” aldilà della verifica che la “scienza” richiede sempre come atto finale. Le loro “interpretazioni” non hanno una verifica, ma un’altra “scienza”, la filologia, dimostra come quelle interpretazioni sono nate nel corso della storia, attraverso quali presupposti e adattamenti, e questo basta a scienziati come Odifreddi, col quale concordo totalmente, per giudicarle completamente fasulle e velleitarie, inverificabili. A livello popolare, dalle mie parti, si dice: “Chi vive sperando muore cacando”, altra Kakania dove tutte queste persone meritano di andare…

    • Gli interventi dei lettori sono i benvenuti e arricchiscono il testo, anche quando sono critici, e tuttavia mandare a quel paese chi la pensa diversamente non è elegante e tra l’altro non si addice a chi, in possesso del metodo certo per distinguere le ipotesi giuste da quelle false, dovrebbe guardare a queste polemiche con quel distacco e disinteresse che la scienza da sempre indica come le caratteristiche tipiche del suo discorso

      • Caro Giorgio Mascitelli, io sono un “polemista” e non un chierichetto. Ho scritto epigrammi feroci (oltre a poesia “seria”), critica letteraria, e in questi ultimi 15 anni almeno 20000 lettere sulla “genetica delle popolazioni”. Mi sono fatto 40 di insegnamento liceale, corretto compiti, oltre a tutte le incombenze della vita. Capirai che non appartengo al coté cattocomunista che si spartisce l’Italia da quando sono nato, poco dopo WWII. Nihil scriptum a me alienum puto, insomma penso di giocarmela con chiunque quasi in ogni campo. A questo punto che mandi a “fare in culo”, come si dice dalle mie parti, alcuni di questi individui mi sembra il minimo che possa fare. Di Cacciari ho un ricordo quando lo sentii parlare a un convegno a Firenze nel 1965 (io avevo 17 anni ed ero con quelli di Pisa), già “geniale” allora. Di Agamben ho una sua lettera in risposta a una mia su “L’uomo senza contenuto”, da Parigi. Molto gentile e molto disponibile. Hanno fatto grandi carriere entrambi. Molti libri. Ma Seneca aveva già risposto loro. Dove andiamo dopo la morte? Ubi non nati sunt.

  5. Ottima analisi e tempestiva. Ma lo leggerà Odifreddi? Sarebbe interessante a questo punto la sua replica.

  6. caro barbieri,

    mi stupisco che, nonostante il suo “nominare invano” kant, nietzsche e wittgenstein, lei non si accorga nemmeno che contestare il detto “non ci sono fatti, solo interpretazioni” non significa affatto sostenere che “non ci sono interpretazioni, solo fatti”: cosa che nessuno scienziato si sognerebbe di affermare, e che lei sembra attribuire in particolare a me. la sua filippica è dunque fuori luogo e fuori bersaglio: semmai, gli scienziati pensano che ci siano i fatti, e cercano di interpretarli al meglio, continuamente cambiando e affinando le proprie interpretazioni alla luce di altri fatti. ed è proprio perché ci sono i fatti, che le interpretazioni vanno cambiate per adattarsi ai nuovi fatti che man mano si osservano.

    anche la sua lettura di rovelli è fuori luogo e fuori bersaglio. rovelli non sostiene affatto che non esiste una realtà oggettiva, come un qualunque anacronistico idealista. e non lo sosteneva neppure bohr, nella sua interpretazione (guarda caso) della meccanica quantistica: semmai, bohr (a cui rovelli si rifà) sosteneva che la realtà è un fenomeno emergente, come il colore. e discuteva con einstein sulla base di una precisa definizione di “realtà”, molto più sofisticata e precisa del “noumeno” kantiano (che è comunque meglio lasciar perdere, visto l’uso e l’abuso che ne hanno fatto gli idealisti successivi).

    la mia critica ai libri di divulgazione scientifica pubblicati dall’adelphi, secondo un preciso piano editoriale di calasso, è appunto questa: che si rivolgono ammiccando a quelli come lei, dando loro l’impressione che ci sia una visione della scienza che si adatta ai loro pregiudizi, quando invece la stragrande maggioranza degli scienziati, compresi quelli che quei libri li scrivono, la pensa esattamente al contrario di loro. e, per sua informazione, esattamente come me (rovelli compreso). in particolare, nessuno scienziato, così come nessuna persona sana di mente, negherebbe l’esistenza di una realtà macroscopica oggettiva: la discussione tra gli scienziati verte semmai sul fatto se esista anche una realtà microscopica oggettiva, o se invece il concetto di realtà si applichi soltanto al mondo macroscopico.

    • Caro Odifreddi,
      né Nietzsche né (nel mio piccolo) io, ci sogneremmo di dire che non esiste la realtà. Ma fare dire a lui che, sulla base della frase imputata, “la scienza non conta nulla, perché si basa appunto su fatti che non ci sarebbero” mi sembra decisamente eccessivo. La frase di Nietzsche andrebbe piuttosto intesa come un caveat, rivolto alla scienza ottocentesca, che poteva ingenuamente ritenere che esistessero fatti puri, indipendenti dall’osservazione.
      La riflessione sulla scienza del Novecento è andata molto più in là, e in molti casi ha inglobato l’osservazione di Nietzsche, il quale è interessato, fondamentalmente, al ruolo determinante del linguaggio anche nella costituzione dei cosiddetti “fatti” (primo tra tutti, il Wittgenstein del Tractatus).
      Ritengo anch’io che, mediamente, gli umanisti italiani abbiano scarse conoscenze scientifiche e che questo rappresenti un problema, ma il suo articolo, purtroppo, mi sembra portare acqua al pregiudizio, piuttosto che scalzarlo. Lo dimostra forse anche il fatto che non mi pare che lei abbia letto attentamente nemmeno le mie parole: come “la stragrande maggioranza degli scienziati”, nemmeno io potrei infatti sostenere che non esiste una realtà oggettiva, ma se Bohr e Einstein potevano dare una definizione di realtà “molto più sofisticata e precisa del noumeno kantiano” è evidentemente perché si accordavano per una certa definizione di realtà, ovvero la interpretavano in un certo modo (come peraltro Kant e chi prima di lui).
      Il punto non è certo se esista una realtà (macroscopica) oggettiva, magari come fenomeno emergente (il che sarebbe comunque preoccupante), ma se di questa realtà sia possibile avere una conoscenza oggettiva, qualunque cosa si possa intendere con la parola “oggettiva”. E’ semplicemente questo a essere sottolineato dall’affermazione di Nietzsche, perché qualunque conoscenza di un fatto è inevitabilmente mediata dalle interpretazioni (sensoriali e cognitive) che ci permettono di averne notizia: non esistono fatti, dunque, se non attraverso interpretazioni, e non capisco proprio come si potrebbe sostenere il contrario – salvo che fideisticamente, proprio come si può sostenere che esiste oggettivamente Dio, o Babbo Natale.
      Per cui, certo, le interpretazioni della scienza si basano sui fatti, e cambiano quando nuovi fatti emergono (come la relatività generale rispetto alla gravitazione newtoniana), ma i nuovi fatti sono a loro volta il prodotto di nuove interpretazioni del mondo, e da questo circolo non si esce. Quando si passa alla dimensione microscopica, il principio di indeterminazione aggiunge nuovi problemi al concetto di “fatto” (certo non a quello di “esistenza”) perché se lo spin di un elettrone dipende dal modo in cui lo si osserva, la sua oggettività risulta essere ulteriormente problematizzata.
      Quello che ho trovato sgradevole nel suo articolo (e tanto più perché trovo sempre interessanti e divertenti i suoi pezzi che si occupano di matematica) è il fatto di difendere apparentemente la scienza da chi evita di conoscerla, mentre in realtà viene proposta un’immagine della scienza che appartiene a un’altra epoca, una scienza che attingerebbe alla verità e che si opporrebbe all’oscurantismo umanista. Trovo che la scienza, oltre che dagli umanisti a oltranza, dovrebbe essere difesa anche dalle banalizzazioni, che portano acqua al mulino di chi (non leggendo né Adelphi né altro) cerca soluzioni facili, quelle che sono comunque sbagliate.

      • se “oggettivo” si contrappone a “soggettivo” (per definizione), è perfettamente possibile avere una conoscenza oggettiva della realtà: basta che tutti i soggetti si trovino d’accordo al proposito, il che è esattamente ciò che succede nella scienza, in tutte le situazioni in cui le osservazioni coincidono fra loro. e infatti, proprio su questo su basa il principio di falsificazione “di popper” (tra virgolette, perché in realtà quell’ovvio principio risale agli stoici, anche se questo popper non lo sapeva, visto che lo si è scoperto soltanto negli anni ’50, grazie agli studi di benson mates): nel momento in cui qualcuno rileva qualcosa di contrario agli altri, o si mette in dubbio l’esistenza di un fatto, o la sua osservazione. e se nessuno mette in dubbio una conoscenza soggettiva di qualcuno, quella è in realtà una conoscenza oggettiva.

        il principio di indeterminazione, invece, non dice quello che può apparire da certe divulgazioni fatte appunto “pour épater les bourgeois”. in particolare, dire che qualcosa “dipende da come lo si osserva” è, a seconda di come lo si intenda, banale o falso: è banale, se lo si intende nel senso che anche la prospettiva di un edificio dipende da dove lo si osserva, ma questo non impedisce che mettendo insieme le varie prospettive, poi uno non possa derivarne una immagine oggettiva; ed è falso, se lo si intende nel senso che non si può misurare con la precisione voluta una certa grandezza, perché il principio di indeterminazione dice che invece lo si può fare, al costo però di precludendosi la possibilità di misurarne con altrettanta precisione un’altra (ad esempio, si può misurare con precisione la posizione di una particella, o la sua velocità, ma non entrambe).

        se lei trova problematico per l’oggettività questo secondo senso, allora deve anche trovare problematico per l’oggettività il fatto che non si possa misurare in maniera esatta, con una qualunque unità di misura, sia il lato che la diagonale di un quadrato, perché è proprio questo che la scoperta pitagorica degli irrazionali dimostra.

        che poi due persone che discutono si debbano mettere d’accordo sulla definizione dei termini che usano, è una cosa ovvia nella scienza, dove naturalmente lo si fa di norma, e per le regole del gioco. purtroppo non lo si fa in altri campi, e il motivo per cui alla gente come me le argomentazioni di cacciari (ma anche quelle di severino, vattimo, e compagnia bella) fanno perdere la pazienza, è proprio perché si evita accuratamente di definire ciò di cui si parla, così che se ne possa dire a piacere qualunque cosa. a riprova veda, se è germanofilo, la critica di carnap al “che cos’è la metafisica” di heidegger, o se è italiofilo, la critica di mugnai al “tautotes” di severino (pubblicato da adelphi, appunto…). o, se preferisce, veda le citazioni a iosa raccolte da sokal in “imposture intellettuali”, dopo la sua famosa “beffa”. ma queste sono purtroppo cose che “intender non le può, chi non le prova”…

        • Purtroppo non basta che tutti i soggetti si trovino d’accordo per avere conoscenza oggettiva. Tecnicamente, questo è l'”universale”, non l'”oggettivo”. E tale è, appunto, la conoscenza scientifica. Ma l’universale è comunque dipendente dal punto di vista dell’osservatore, e dai suoi parametri sensitivi e cognitivi. La scienza del Settecento non era solo meno ricca di nozioni di quella del Novecento, ma anche fondamentalmente diversa, concettualmente diversa: Michel Foucault lo spiega molto bene, in “Le parole e le cose”.
          La scoperta pitagorica degli irrazionali fu un tale trauma che essi stessi la tenevano segreta. Assumerla all’interno della matematica trasformò profondamente la matematica, che non fu più la stessa cosa. Se il principio di indeterminazione mi dice che non posso fare diverse osservazioni contemporaneamente, mi sta dicendo anche che gli assunti dell’osservazione scientifica newtoniana non sono più validi. Mettere insieme le diverse prospettive di un edificio non mi fa derivare un’immagine “oggettiva”, ma semmai un’immagine più efficiente (una pianta, una ricostruzione in 3d), che potrebbe essere efficiente anche se non ha l’universalità di cui si diceva sopra. Se metto insieme le diverse osservazioni mutuamente incompatibili della traiettoria di una particella, ne ricaverò al massimo una teoria, non certo un’osservazione oggettiva. Ma se estendo il principio di indeterminazione al di là dell’osservazione scientifica, e lo assumo come un principio naturale generale, a livello microscopico ogni fenomeno si troverà determinato solo attraverso l’interazione con un altro fenomeno, e mai e poi mai in sé. In altre parole, nella sua interpretazione più estrema, il principio di indeterminazione mi suggerisce un generale relativismo dei fenomeni ad altri fenomeni, così che l’oggettività stessa (e non solo la realtà) sarebbe una proprietà emergente.
          Infine, naturalmente l’accordo cercato e trovato sui termini che si usano è una cosa importante, nella scienza come altrove, ma la necessità di questo accordo mostra una volta di più la necessità di una condivisione concettuale “universale”, e mette l’oggettività definitivamente fuori gioco. Purtroppo non sempre questo accordo è possibile, e non per cattiva coscienza: forse di tutto quello di cui non si può parlare (chiaramente) si dovrebbe tacere, ma questo ucciderebbe la filosofia, il pensiero, l’epistemologia, il metodo scientifico e in fin dei conti la scienza stessa. Quando ci si occupa di linguaggio, emerge con evidenza che le significazioni nascoste trasformano persino i discorsi e i concetti apparentemente più condivisi ed evidenti. Carnap ha buon gioco a sputtanare Heidegger, ma sono convinto che una buona analisi del discorso rivelerebbe una serie di ambiguità anche nel discorso di Carnap. Si tratta però di ambiguità proficue, che permettono al sistema di arricchirsi quando qualcuno le mette in evidenza, permettendo nuove scoperte, magari anche scientifiche. La pretesa di arrivare all’oggettività delle cose, l’idea scientista della scienza, uccide tutto questo, progresso scientifico incluso.
          Forse gli intellettuali che lei cita dovrebbero conoscere meglio la scienza. Probabilmente a molti (magari persino ottimi) scienziati non farebbero male un po’ di lezioni di epistemologia. La contrapposizione fa male a tutti.

          • Gentile Daniele Barbieri,

            ho notato che il Prof. Odifreddi non ha risposto al suo ultimo commento (e credo che abbia fatto bene). Vorrei semplicemente condividere con lei alcune mie considerazioni sul suo articolo e sulle sue risposte al prof. Odifreddi.

            Nel suo articolo, lei afferma che ” Secondo lo scientismo esiste una realtà oggettiva e verificabile sino in fondo con strumenti scientifici e solo con quelli”. La visione secondo cui esiste una realtà oggettiva e conoscibile attraverso gli strumenti scientifici non è lo “scientismo”, ma il “realismo scientifico”, che è prima di tutto una posizione filosofica (tra l’altro, una posizione estremamente popolare fra i filosofi della scienza contemporanea: di anti-realisti in giro ne sono rimasti ben pochi). Prosegue poi dicendo “ma lo scientismo dimentica che gli strumenti vengono costruiti dagli scienziati (e prima di loro dai filosofi), e non esistono al di fuori della cultura che li produce”. E quindi? Siccome ‘gli strumenti sono costruiti dagli scienziati’ allora significa che tali strumenti non ci aiutano a interpretare la realtà? Faccio un esempio: siccome il vaccino è stato scoperto (o ‘costruito’, o ‘creato’, o come tutto quello che vuole lei) da Louis Pasteur nella Francia dell’Ottocento, con determinati strumenti e all’interno di una determinata cultura, significa forse che i vaccini non funzionano se li diamo a un cinese nel 2021? La prova dell’oggettività della scienza risiede proprio nel fatto che i suoi risultati sono ‘transculturali’ ed ‘esportabili’: quello che viene scoperto a Parigi oggi funzionerà pure a Città del Messico dopodomani.

            Ho anche notato che nell’articolo lei parla (abbastanza a sproposito) di fisica quantistica. Non riesco a seguire il suo ragionamento. “Come ci insegna Carlo Rovelli (che, pur non essendo né new age né orientaleggiante, è stato pubblicato da Calasso) il concetto di fatto nella fisica quantistica diventa estremamente incerto, visto che i fenomeni cambiano a seconda dell’osservazione che se ne fa”: ma quindi? La meccanica quantistica è ‘folle’ proprio perché segue una logica tutta sua e descrive un mondo per noi incomprensibile (basti pensare, appunto, al principio di indeterminazione, o al non-localismo). Ma il mondo macroscopico funziona in tutt’altro modo. Ironicamente, il suo voler “estendere il principio di indeterminazione a tutto il resto” sembra strizzare l’occhio a una posizione conosciuta come ‘riduzionismo’ (questa sì abbastanza scientista/materialista) secondo cui esistono solo e unicamente le ‘leggi fondamentali’ (in questo caso, quelle che governano la realtà microscopica) e che quelle leggi solamente bastano per spiegare tutto il resto del mondo. Ma in realtà noi non viviamo in un mondo ‘che fluttua continuamente’ (come sembra sostenere lei), quindi non vedo cosa giustificherebbe l”estensione’ del principio di indeterminazione a tutto il resto.

            Nei suoi commenti e nelle sue risposte a Odifreddi, e sempre abbastanza ironicamente, lei finisce col dare una definizione di ‘oggettività’ alquanto scientista: “Purtroppo non basta che tutti i soggetti si trovino d’accordo per avere conoscenza oggettiva. Tecnicamente, questo è l’”universale”, non l’”oggettivo”. E tale è, appunto, la conoscenza scientifica. Ma l’universale è comunque dipendente dal punto di vista dell’osservatore, e dai suoi parametri sensitivi e cognitivi”. Mi sembra che lei supporti una definizione di oggettività che corrisponde alla “view from nowhere and of no-one in particular” di cui parla Nagel. Oggettività come ‘convergenza’ di punti di vista soggettivi, la cui definizione è suggerita da Odifreddi, non solo è una definizione valida di ‘oggettività’, ma è sostenuta da diversi scienziati, da filosofi come Husserl (le suggerisco la quinta Meditazione Cartesiana) e da gran parte dei filosofi della scienza contemporanea (le suggerisco di dare un’occhiata ai lavori di Helena Longino, o di Heather Douglas, o al libro di Lorraine Daston e Peter Gallison intitolato, appunto, ‘Objectivity’).

            Nella sua ultima risposta al prof. Odifreddi, lei conclude dicendo: “Probabilmente a molti (magari persino ottimi) scienziati non farebbero male un po’ di lezioni di epistemologia”. La trovo una posizione estremamente arrogante: nessun epistemologo serio e qualificato si permetterebbe di “dare lezioni agli scienziati”. L’epistemologia ‘ricostruisce’ il metodo scientifico, ma non lo ‘impartisce’. Tra l’altro, da quanto lei scrive, io proprio non riesco a comprendere quali siano le sue effettive competenze non dico sulla fisica quantistica o sulla relatività (che lei getta nel mucchio con la stessa libertà con la quale Odifreddi cita Nietzsche), ma anche sulla filosofia della scienza contemporanea, la cui bandiera lei sventola in nome di non si capisce bene quale causa. Parlando con molti ‘umanisti’ italiani, ho spesso l’impressione che per loro l’epistemologia sia tutta riconducibile a Popper, Kuhn e Feyerabend, a qualche testo di storia della scienza, a filosofi come Foucault. A parte che sia Kuhn che Feyerabend prima di essere filosofi erano anche scienziati (il primo ottenne il suo dottorato in fisica a Harvard, il secondo studiò fisica per molti anni all’Università di Vienna e solo in un secondo momento decise di cambiare e dedicarsi alla filosofia della scienza), e quindi parlavano con un certa cognizione di causa, ma c’è anche da dire che dai loro tempi sono passati più di 60 anni. Nel frattempo, sia la scienza che la filosofia si sono sviluppate in modi nuovi e sempre più articolati. Ho come l’impressione che, per lo meno in Italia, nella lotta fra scienziati e umanisti, questi ultimi dimostrino non solo una scarsa conoscenza della scienza ma anche (e in maniera molto più preoccupante!) della filosofia della scienza.

            Un saluto,
            Vincenzo Politi

          • Rispondo a Vincenzo Politi, che ringrazio per le sue osservazioni, sulle quali ho però da fare le mie.
            In primo luogo, non ho attaccato l’epistemologia contemporanea in toto, ma solo quanto espresso da Odifreddi in quell’articolo.
            In secondo luogo, se avesse letto con attenzione le mie parole che lei cita (”Secondo lo scientismo esiste una realtà oggettiva e verificabile sino in fondo con strumenti scientifici e solo con quelli”) si sarebbe accorto che c’è verso il fondo un “solo” che rimanda al riduzionismo, posizione che lei, poco più avanti, riconosce essere “scientista/materialista”.
            In terzo luogo, piuttosto evidentemente, visto che vorrei difendere la scienza, non ho alcun dubbio sulla sua efficacia, e nemmeno sulla sua universalità, ma che i suoi risultati siano transculturali ed esportabili non comporta che siano oggettivamente veri. Comporta solo che sono universali e universalmente utili, il che non è poco.
            In quarto luogo, né la scienza né la filosofia sono democratiche. Che la maggior parte degli scienziati sia vicina al “realismo scientifico” è irrilevante quanto alla sua validità. La maggior parte di un qualsiasi gruppo culturale o sociale ha a volte sostenuto posizioni che a noi oggi appaiono del tutto insostenibili.
            In quinto luogo, non vedo perché si debba salvare a tutti i costi una chiaramente insostenibile nozione di “oggettività” (quella definita da Nagel come “view from nowhere and of no-one in particular”) camuffandola da universalità. Diciamo piuttosto che la scienza è universale, e accettiamo i limiti che questo comporta: la scienza non ne soffrirà, ma ci sarà una confusione di meno nel mondo. Certo, l’universalità patisce il fatto che si basa su procedure universalmente condivise, e queste procedure sono costruite (concordemente, certo) da uomini, i quali, pur nella diversità delle culture, hanno una serie di valori e intenzioni comuni. Benché si ottengano interpretazioni di valore universale, questo non garantisce né l’oggettività né la verità, anche perché nuove scoperte potranno ribaltare o integrare la più assestata delle teorie (e se ho gettato nel mucchio la teoria della relatività era solo per esemplificare questo fatto).
            In sesto luogo, non vedo dove avrei cercato di esportare l’indeterminazione alla realtà macroscopica. L’osservazione su Rovelli/Heisenberg riguardava solo l’impossibilità dell’oggettività, la quale di fronte a un principio di indeterminazione (per quanto valido solo a livello microscopico) si ritrova con un problema in più. Lei mi fa poi dire cose che non dico (qui e altrove) e attacca quelle: non ho affatto detto che viviamo in una realtà che “fluttua continuamente”, e non lo penso affatto. Non sono l’unico a pensare che questa meccanica “folle” ponga dei problemi al realismo scientifico, tentato di approdare a un dualismo (tra micro- e macro-mondo) che lo salverebbe sì, ma a un prezzo enorme.
            Infine, credo che agli scienziati farebbe bene studiare filosofia (e non solo epistemologia) quando vogliono generalizzare le loro conoscenze e renderle leggi universali. Finché fanno bene il loro mestiere di scienziati, sono rispettabilissimi e spesso ammirevoli, anche nello specificare il proprio metodo – il quale è giusto che l’epistemologia ricostruisca a posteriori. Ma si tratta di un metodo, appunto, ovvero di una procedura operativa. Non di un principio di conoscenza universale. Certamente non di qualcosa che metta in grado Odifreddi di denigrare posizioni diverse dalle sue, che possono essere pure non condivisibili, però non sulle fondamenta (inconsistenti) su cui si basa lui.

      • Volendo difendere l’idea di scienza proposta da Odifreddi, mi proporrei almeno di guardare ad altre posizioni vicine a questa forma di “scientismo”, per dimostrare che non è una visione così arcaica. Primo su tutti: Dawkins. Ma anche Hawking, Lawrence Krauss. Peter Atkins (praticamente l’autore dei maggiori manuali di chimica e chimica fisica al mondo). Questo per gli addetti ai lavori. Parlando di filosofi contemporanei, il primo che mi viene in mente è Stathis Psillos, che ha ampliamente difeso una forma di realismo scientifico (secondo cui ciò che esiste è ciò che ci viene detto dalla scienza). Ma questa posizione può essere ritrovata in vari momenti della storia del Novecento e recente. Un altro esempio di riduzionismo estremo in scienza (di scientismo in un certo senso), è Ernest Nagel e il suo “La struttura della scienza”. Anche il primo Putnam la pensava così. MI viene in mente a tal proposito un argomento, l’argomento del miracolo, che può rispondere alla domanda se ci sia o meno una conoscenza oggettiva (tema che comunque è stato affrontato recentemente da Evandro Agazzi).

        L’argomento del miracolo è semplice. Il sistema di conoscenze scientifiche che abbiamo rispetto al mondo, è talmente coerente e funzionante che, se non esistesse una realtà esterne corrispondente e consistente con le nostre conoscenze, allora l’unica alternativa sarebbe ipotizzare che le nostre conoscenze siano frutto di un miracolo. Questo significa che la conoscenza scientifica è una buona approssimazione del mondo. Ma se è una buona approssimazione del mondo, allora non può essere realmente soggettiva. Ergo…

        Il discorso potrebbe continuare. La posizione di realismo scientifico professata negli scritti di Odifreddi e che anche io tendo a difendere, mi sembra essere perfettamente al passo con i tempi e che, se pure risalente a qualche tempo fa, non sta invecchiando per nulla male.

      • Gentile Barbieri,

        Lei scrive: “qualunque conoscenza di un fatto è inevitabilmente mediata dalle interpretazioni […]: non esistono fatti, dunque, se non attraverso interpretazioni, e non capisco proprio come si potrebbe sostenere il contrario […]”.

        Potrebbe cortesemente spiegare dove starebbe l’interpretazione in uno o più seguenti esempi di fatto?

        1) Daniele Barbieri è un essere umano.
        2) La natura della materia è discreta e non continua.
        3) Se mando un fascio di atomi di argento attraverso un apparato di Stern-Gerlach osserverò una distribuzione quantizzata in uscita.

        Tutti gli esempi sopra sono fatti, e prescindono da qualsiasi interpretazione. Come già sottolineato da Odifreddi questo ovviamente non esclude la possibilità di aggiungere un interpretazione, ma questo non è essenziale si fino di enunciare un fatto.

        Si noti e.g. nel primo caso che “essere umano” richiede una definizione prima che si possa rispondere alla domanda. Lo stesso si applica a qualsiasi altro termine quali “materia”, “discreto”, “distribuzione quantizzata”. La definizione del problema è essenziale, ma nulla ha a che vedere con l’interpretazione.

        Il problema, col dovuto rispetto, temo sia nella sua mancanza di comprensione dei temi che cerca di trattare e/o prendere ad esempio. È esemplificativo la sua mancanza di comprensione del principio di indeterminazione ad esempio, e del significato di “misurare uno spin”. E.g. a grandi linee il supposto ‘problema’ col principio di indeterminazione deriva dal voler attribuire natura corpuscolare all’elettrone, quando sappiamo che questo è da descrivere in termini di campi (quantizzati). Si noti che un principio simile si applica anche alle onde classiche. La problematica qui deriva solo dal tentativo di mettere in parole i fatti che sappiamo invece descrivere numericamente e matematicamente.

        • Caro Mingarelli, come sa che Daniele Barbieri è un essere umano? Come sa che cosa è un essere umano? Come sa di essere un essere umano? Come definisce la materia senza interpretare le sue stesse percezioni? Come definisce “discreto” o “continuo”? Riesce a pensare a un qualsiasi senso che non sia il prodotto di un processo inferenziale? Quando descrive matematicamente un fenomeno, come ha deciso quali siano le misurazioni pertinenti? E quale sia la matematica pertinente? Come sa che l’elettrone è da descrivere in termini di campi quantizzati? Come sa che cos’è un campo quantizzato? Ne ha mai visto o toccato uno? E se anche avesse mai potuto averne percezione diretta, come saprebbe che i suoi sensi non la ingannano? Come sa che i suoi sensi non la ingannano? Ecco: in qualunque modo lo sappia, è perché ha interpretato la sua esperienza. I fatti sono il risultato di questo lavoro, per quanto immediati ci possano apparire. Pensare che esistano in sé vuol dire semplicemente ignorare tutto il processo che li forma: semplicemente ingenuità. Si può curare, non si preoccupi.

  7. Ho insegnato fisica per 40 all’ università di Milano. Condivido parola per parola quanto scritto nell’articolo di Barbieri, che molto ringrazio.

  8. Domanda: io dico che una mela, da sola, non può decollare dall’albero come se fosse un razzo: è un fatto o un’interpretazione?

    Qui non è questione di essere scientisti o umanisti. Si tratta di sapere qualcosa sui metodi utilizzati dalla scienza moderna, e purtroppo, tranne gli scienziati sono in pochissimi a saperlo. Certo, se per sapere cos’è la scienza uno legge Nietzsche o – con rispetto parlando – Deleuze, che cosa ci si può aspettare che sappia del metodo galileiano e dei suoi formidabili strumenti di predizione? Già, perché è proprio questa la forza della scienza moderna. Quale altra attività umana permette di delineare scenari plausibili e di prendere decisioni utili ad affrontare le sfide che ci riserva il futuro? Forse le previsioni degli astrologi? O magari quelle dei filosofi? Che ci riserva il futuro, la dittatura del proletariato profetizzata da Marx? O quella della tecnica, annunciata da Emanuele Severino? No-vax e complottisti vari dicono che la dittatura sanitaria sia già un “fatto”. Non un’interpretazione o un’opinione. Non una credenza irrazionale. È proprio un fatto, non si discute! Ecco, sono quelli che dicono peste e corna della scienza. Ma non è colpa loro. I due esimi accademici prof. Agamben e prof. Cacciari hanno appena scritto il manifesto dei no-vax. Ci sono volute due menti di filosofi… per scrivere un tale capolavoro di ignoranza scientifica? Una non bastava? Ognuno è libero di rispondere come meglio crede.

  9. E poi, e poi, e poi… Guardate che non è affatto superato il “vecchio” dibattito sulla neutralità della scienza. Che autorevolezza possono avere quegli scienziati che lavorano per l’industria delle armi? Un dibattito serio sulla genesi del Covid 19 non è se è uscito o meno da laboratori, ma il fatto stesso che esistano laboratori
    che progettano micidiali virus e batteri per uso militare. Contro civili inermi. Non ascolterò la voce di nessun scienziato se non prende posizione su argomenti così sostanziali. I peli nell’uovo, alias seghe mentali, fra intellettuali che ignorano i disastri che il mondo scientifico legato al potere hanno portato al pianeta e all’umanità non mi interessano.

  10. Bravo, Guido. Le case farmaceutiche son l’essenza della medicina del Capitale. il Capitale, il cui Dio è il Profitto, guida la società del Villaggio Globale. Tutto ad esso deve uniformarsi. Il Capitale ha provocato il Salto di Specie col suo sviluppo dissennato e contro Natura. Ora il Capitale con scienza e medicina, dopo aver creato il problema, è passata al bisogno, quindi soluzione.
    Questo è il percorso malefico del Capitale: creare un problema, il bisogno di risolverlo, la soluzione per riuscirci.
    Alleati Politica, Scienza, Medicina e Tecnica. La Natura? È al loro servizio.

    Può avere un futuro l’umanità con tale premesse?
    Parlo volutamente di umanità, non di uomo, donna o che altro…di umanità.
    Si capisce la differenza?

  11. Sembrerebbe come se chi si dedica alla scienza e chi fa solo studi umanistici, scolpiscano il loro cervello, e dunque la mente, in modo diverso, e quasi alternativo. La non comprensione dei rispettivi argomenti da parte di due “cervelli” che dovrebbero essere acculturati e intelligenti lo dimostra. Da parte mia, parteggio per Odifreddi, e, secondo me, i cosiddetti umanisti dovrebbero studiare di più. Forse per gli scienziati è più facile dedicarsi anche alle scienze umanistiche che viceversa; perché la scienza è obbiettivamente più ostica. Ma vi sono alcuni filosofi come Dennett o Searle, che dimostrano anche ampia cultura scientifica, dunque si può fare.

  12. FANTASIA VS SCIENZA?

    L’idealismo, o meglio l’orientamento idealistico della personalità causa inesattezze, fa credere veri degli errori conclamati, non aiuta a comprendere i fenomeni della realtà (e neppure induce a provarci, favorendo la passività della contemplazione), poichè reputa fondamentali due funzioni del pensiero, che spesso sono in antitesi tra loro, la fantasia e le possibilità dialettiche del linguaggio.
    Quest’ultimo, com’è noto, è in grado di esprimere qualcosa e al contempo il suo contrario. Tale procedimento, se condotto in modo logico (o apparentemente tale) è chiamato procedimento eristico che può essere espresso anche su profili bassi, molto bassi, persino volgari. Tipica la figura del bastian contrario indefesso. In base a questo gli orientamenti idealistici, metafisici o religiosi basano la loro capacità di irretire la gente che ha messo tra parentesi la ragione (e poi vedremo la logica e il metodo scientifico).
    Dopo questa premessa, direi che in modo evidente le interpretazioni siano fondamentali per cercar di comprendere i fenomeni e gli eventi della realtà (modificandoli, predicendoli, ecc.), ma è altrettanto palese che esse debbano essere radicate nei fatti i quali preesistono alle interpretazioni.
    D’altro canto, non esiste pensiero – che include le capacità interpretative – se non incarnato in un cervello (cervello/soma), quindi è facile capire come le interpretazioni siano parte di un S.N. C., o meglio di una corteccia cerebrale altamente sofisticata dal punto di vista neuro-anatomico e neuro-fisiologico caratterizzante specificamente Homo sapiens (e con questo non emetto alcun giudizio in bene o in male, semmai in male).
    Il metodo scientifico è indispensabile per capire (o tentare di farlo: congetture e confutazioni) la realtà, aggiungendosi al ragionamento logico e all’oggettività.
    Capra, fisico e appassionato di filosofie orientali, col suo libro pubblicato in Italia da Adelphi, alla fine degli anni Settanta (mi pare), ha contribuito a fomentare una sorta di ostracismo verso la scienza in favore delle visioni idealistiche (alcuni riesumano persino l’idealismo trascendentale di Shelling), della filosofia-religione orientale e New Age (Next Age, ecc.). Quest’ultima è un coacervo di idee, comportamenti, fedi, fantasie che hanno a che fare con una sorta di esistenzialismo mistico e fantasmatico, il quale, purtroppo, spesso diventa, come oggi, terreno di cultura di molti “negazionisti” o complottomani dell’ultima ora. Insomma gente che ha molto a che fare col pensiero reazionario.
    La scienza e la tecnica, bisogna sempre puntualizzarlo, sostanzialmente sono il prodotto del capitalismo e ciò le snatura facendole diventare lo zimbello delle classi dominanti.
    Lo “scientismo” è un termine usato per disprezzare la scienza, così lo si attribuisce a Odifreddi (che tuttavia mi pare che una volta lo abbia fatto proprio), appunto, per disprezzarne il pensiero.
    Nessun ragionamento metafisico, religioso, idealista può “mordere la realtà” più di un approccio scientifico e tuttavia sappiamo quanto sia difficile far combaciare i principi scientifici con lo studio della cosiddetta natura umana, considerata sotto gli aspetti soggettivi, interindividuali, sociali e politici.
    Nonostante ciò è inutile rivestire le cose non ancora conosciute con abiti idealisti, magici o misteriosofici.
    E’ assai più corretto e proficuo, repetita iuvant, portare avanti un’attività epistemica con logica, oggettività e metodo scientifico
    Non si possono evitare i canoni scientifici che per alcuni sono del tutto sconosciuti e così credono di “interpretare” il mondo, in realtà “inventandone” uno a proprio uso e consumo, mediante fantasticherie all’uopo espresse con linguaggio e iconografie molto espressive e seducenti. Insomma, ingannando se stessi e gli interlocutori . Una precisazione: rimanendo in ambito artistico e non epistemico queste operazioni mentali sono, invece, molto proficue, anzi indispensabili. Ma siamo in ambito non conoscitivo, ricordiamolo. L’arte non conosce il mondo lo abbellisce e se produce qualche conoscenza questa non può certo essere paragonata alla conoscenza scientifica (si pensi a debellare una encefalite acuta mediante un discorso artistico).
    In conclusione, la casa editrice Adelphi ha fatto la sua fortuna pubblicando libri che prevalentemente toccano i tasti sensibili della fantasia, della religione (sia pure con forti venature filosofiche), trascurando – ma non escludendo totalmente – l’ambito scientifico. Un’operazione legittima che può piacere oppure no. In ogni modo, è sperabile che la cultura diffusa dai libri di Adelphi non abbia indotto troppi lettori ad avversare la scienza, diventando antiscientisti – osteggiando i cosiddetti scientisti e i famigerati “positivisti” – ossia assumendo una posizione semplicistica e bacchettona, talvolta intrisa di puro dogmatismo becero, fondata soltanto su questioni che non conoscono, a cui attribuiscono il nome “scientismo”.

  13. Odifreddi è un geometra, che volete che capisca. Va bene per i semicolti e i sottumani

    • Per favore evitiamo apprezzamenti fuori luogo e di cattivo gusto nei confronti di Oddifreddi e di chi ne condivide le idee

    • a proposito di fatti e interpretazioni, ecco un fatto sul quale gli spocchiosi come lei farebbero bene a meditare: due terzi dei premi nobel italiani per la letteratura (4 su 6) sono stati vinti da persone che, in base alla sua interpretazione, “vanno bene per i semicolti e i sottoumani”. precisamente:

      grazia deledda (quarta elementare)
      quasimodo (geometra)
      montale (ragioniere)
      dario fo (liceo artistico)

      e questo è un fatto, non un’interpretazione.

    • Visione della cultura poltronistica. Le do un buon indizio: chi ha fatto cambiare rotta al sapere era spesso gente fuori posto e senza pedigree.

  14. Grazie per l’articolo, grazie per l’affascinante discussione che segue! Nel mio piccolo considero la scienza come un metodo formidabile per costruire conoscenza collettiva. Non va dimenticato però che si tratta di mappe, di approssimazioni, non del territorio stesso. E come tali è difficile che si possano sottrarre alla narrativa culturale dominante. Anche una conoscenza condivisa da un ambito culturale non per questo si può considerare “oggettiva”, se per questo termine si intende totalmente aderente alla “realtà”. A maggior ragione quando il sistema di costruzione di conoscenza collettiva è viziato da dinamiche economiche o di potere. Rimane l’argomento della capacità di creare previsioni, che comunque conferisce una certa affidabilità alle mappe prodotte dal metodo scientifico. Questa affidabilità però non ci salva dal principio della falsificabilità, che afferma la realtà dell’impermanenza anche delle mappe scientifiche e della loro soggettivà nel tempo

  15. Grazie dell’articolo a Daniele Barbieri, e interessanti anche gli approfondimenti che nascono dal confronto delle posizioni. Quel che mi è piaciuto meno di tutta la vicenda è che la critica alla linea editoriale (o il fastidio, o la “perdita della pazienza”) irrompa sulla scena proprio il giorno dopo la morte dell’editore. Di sicuro lo stile, il tempismo, la possibilità di replica, quelle cose lì sono tutte interpretazioni, e soggettive.

  16. Vorrei ringraziare sia Barbieri sia Odifreddi perché i loro interventi mi hanno fatto riflettere. Su queste tematiche nelle mia condizione di assoluto profano e ignorante ho avuto tre esperienze intellettuali: la prima ai tempi della raccolta di firme per il referendum sul nucleare, era il 1986. A un certo punto si disse che per un tema del genere era fondamentale che a parlare fossero gli esperti ossia essenzialmente i fisici. Il guaio è che entrambi gli schieramenti avevano i loro scienziati e i dibattiti di costoro non vertevano su come funzionasse una centrale nucleare, ma sul principio di precauzione e di utilità seguendo un’argomentazione che mirava alla persuasione nel senso umanistico tradizionale. La seconda è una considerazione di Monod alla fine de Il caso e la necessità, nella quale stabilisce una differenza tra lo scienziato( disinteressato e libero nella ricerca della verità) e il tecnico ( applicativo e fondamentalmente dentro un sistema di interessi mondani), ma devo dire che faccio fatica nella realtà a trovare un simile distinzione ( ma questo può essere un mio limite). Il terzo è un’osservazione di Sokal in Imposture intellettuali quando afferma che il falsficazionismo popperiano è molto popolare tra gli scienziati per stabilire se una teoria sia scientifica, ma in realtà non è valido al 100% . Ecco queste 3 esperienze mi hanno suggerito l’idea, sempre da profano, che la scienza più che un metodo sia un corpus di saperi che si allarga tramite buone pratiche, intuizioni, osservazioni empiriche non generalizzabili sotto la spinta di interessi materiali. Se le cose stanno così, mi sembra che la rriflessione di Barbieri sia più vicino a questo stato di cose.

  17. Condivido i commenti di Francesca e quest’ultimo di Giorgio. Più in generale sono stupito che nessuno abbia ancora citato P. K. Feyerabend: trovo che una bella (ri)lettura di Contro il metodo, con i molti casi storici citati sarebbe molto utile, forse soprattutto a Odifreddi.

  18. Giuseppe GM. Quartieri
    Mi meraviglio che nessuno abbiA menzionato nel bene o nel male, Benedetto Croce. Pure lui aveva riconosciuto la Universalità della Scienza. Eppoi tutti sanno che Einstein ha generalizzato le leggi di Newton e Galilei. Indipendentemente
    dalla falsificabilita le leggi di generalizzazione in fisica sono assolute e fondamentali. Il principio di indeterminazione è legge fisica assoluta e fondamentale nel microcosmo. La realtà fisica è assoluta come dice pure Max Tagmark. Le nuove e moderne leggi della matematica irmai

  19. ormai vanno verso la “Metamatematica” ossia verso la filosofia della matematica per trattare l’IO scalare e l’Io Trascendente, e potere dialogare con Lui. La realtà fisica o meglio scientifica viene trascesa ma rimane sempre uguale a se stessa ed universale o se volete oggettiva. La scienza è oggettiva| Tutto il resto non è noia anzi ha senso proprio cimentarsi con il resto per provare più gioia e maggiori sapori. M negare la realtà e generalità della scienza è un grave errore conoscitivo ed epistemologico, come sembra facci qualcuno in questo dibattito.
    Giuseppe Quartieri

  20. Nei vari decenni passati, all’Accademia dei Lincei a Roma, in occasione delle celebrazioni di Enrico Fermi, o dello stesso Benedetto Croce o della Introduzione della Teoria dei Sistemi come nuova parte della scienza, si è discussa la relazione fra scienza ed umanesimo, facendo prima di tutto riferimento alle obiezioni di Benedetto Croce e gli altri filosofi classici da Kant a Nietzsche ecc. Ma mai si sono verificate sproporzioni intellettuali come stanno verificandosi in questo dibattito. Per dirla in maniera semplice, in una visione per sistemi, i due approcci quello scientifico e quello umanistico convivono, sono compatibili e consistenti nell’approccio per sistemi ed ancor più nell’approccio metamatematico. Ciononostante, un editore può anche vedere la sua realtà in funzione della pubblicazione dei libri che più gli si confanno e che più gli rendono dal punto di vista semplicemente imprenditoriale. Alla stessa stregua, un filosofo può ben esprimere – soprattutto se è stato anche un politico – la sua idea circa alcuni modi di funzionamento del sottosistema anti-virologico, anti-pandemico di vaccinazione e “Green Pass”. In fondo la Costituzione Italiana dà loro il potere di esprimere le proprie opinioni. Purtroppo, in questa situazione generalizzata, non si può non condividere l’ultima frase di Piergiorgio Odifreddi!

  21. Complimenti ai “filosofi” dell’articolo che, probabilmente guardando Quark saltellando sui canali, hanno imparato e ci spiegano che ” il concetto di fatto nella fisica quantistica diventa estremamente incerto, visto che i fenomeni cambiano a seconda dell’osservazione che se ne fa. ”
    La quantistica, cari loro bricolagisti, non è una storia di gatti, la quantistica è UNA SERIE di prime rozze ipotesi per cominciare a capire che l’infinitamente piccolo ha sue regole che ancora non conosciamo.

    • Non si può che essere d’accordo: ipotesi, cioè interpretazioni! E anche quando si raffinano, le ipotesi rozze al massimo si trasformano in teorie, cioè interpretazioni. Un bricolage senza fine, indubbiamente efficace; ma l’oggettività le è necessaria più o meno quanto l’idea di Dio per i credenti. Noi umanisti siamo davvero senza fede!

  22. Questo dibattito, curiosamente civile in questi tempi bui della ragione che viviamo, stringi, stringi, dimostra che ormai i partigiani dello scientismo si sentono ormai i depositari della religione vincente e non sopportano opinioni e pensieri alternativi ai loro che devono essere assunti come verità granitica e immutabile. Una bella rilettura di Edgar Morin farebbe un gran bene.

  23. Che dire: una discreta massa di baggianate. Lasciate perdere la meccanica quantistica: la caratteristica intrinseca di quella teoria è di fare fare la figura del fesso a chiunque la voglia usare per trinciatrice filosofia (non ultimi i suoi geniali fondatori). Una sola cosa mi sembra doveroso commentare: se Odifreddi insiste nel fare il marchettaro della inutile stampa generalista, che gli vengano addosso tanti spacciatori di fiato sprecato, come è diventato lui pure, è fatale.
    Ma che ci si vuole fare? È un matematico…

  24. Luddisti in Occidente se ne vedono grossomodo da 400 anni, dalla terribile Santa Inquisizione ai no vax che piagnucolano dagli ospedali, ma hanno infine perso il controllo sulle menti e sulle cose del mondo. Resistono in qualche teocrazia, in qualche distopia mediatico-letteraria, a Roma e nelle taverne padane. Amen.

  25. Grazie Daniele Barbieri per la splendida riflessione che condivido profondamente…Non ho simpatia per Cacciari ma davvero lo scientismo che sta al servizio del potere è tremendo..
    Grazie ancora…

  26. tutto molto bello e comprensibile pure da un geometra (solo come diploma) umanista, innamorato dello scientismo, dell’ignoto e del noto, più o meno (s)oggettivo. grazie a tutti

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Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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