Le parole della scienza 1: la Donzella crea l’insieme

La Compiuta Donzella

di Antonio Sparzani
Una delle prime parole che compaiono nei manuali di matematica è la parola insieme. E il primo capitolo è spesso dedicato alla “teoria degli insiemi”. Io mi sono chiesto sia da dove salta fuori questa parola insieme sia poi come abbia fatto a diventare un vero sostantivo, da avverbio che era all’inizio. Per soddisfare la mia curiosità sono andato a guardare alcuni sacri testi e naturalmente ho capito che, come spesso accade, occorre scavare nel latino.
Nel latino dell’età postaugustea – la prima testimonianza che se ne ha è nelle opere del poeta P. Papinio Stazio (circa 45 – 96 d.C.) – si forma la parola insimul, talvolta insemel, col significato di “allo stesso tempo”, “tutto in una volta”. Essa sottintende vicinanza di tempo e di luogo, contiguità di esistenza. La parola si afferma e rimane, e trapassa, attraverso il latino medievale, in varie forme della lingua volgare, nel nascente italiano, fino a comparire nel Duecento, per la prima volta documentata nel primo dei deliziosi sonetti della Compiuta Donzella. Vari studiosi hanno messo in dubbio l’esistenza stessa o quanto meno l’identità di questa sfortunata donna fiorentina, primo esempio nella nostra letteratura del topos della donna infelice oppressa dai propri familiari, topos che avrà forse nella dolorosa vicenda cinquecentesca di Isabella di Morra un suo drammatico esito.

Prendetevi il tempo di leggere il sonetto di questa Donzella (si discute anche se Compiuta sia il suo nome vero, piuttosto che un fittizio appellativo) per il puro piacere, e per un filo di com-passione, di ascoltare un lamento così accorato e gentile:

A la stagion che ‘l mondo foglia e fiora
acresce gioia a tut[t]i fin’amanti:
vanno insieme a li giardini alora
che gli auscelletti fanno dolzi canti;

la franca gente tutta s’inamora,
e di servir ciascun trag[g]es’inanti,
ed ogni damigella in gioia dimora;
e me, n’abondan mar[r]imenti e pianti.

Ca lo mio padre m’ha messa ‘n er[r]ore,
e tenemi sovente in forte doglia
donar mi vole a mia forza segnore,

ed io di ciò non ho disio né voglia,
e ‘n gran tormento vivo a tutte l’ore;
però non mi ralegra fior né foglia.

(testo in Poeti del Duecento, a c. di Gianfranco Contini, vol. I, t. I, Ricciardi, Milano-Napoli 1995, p. 434)

Certo ancor oggi ciò che lamenta la Donzella non è sparito dalle pratiche di homines poco sapientes di varie nazionalità.
È poi d’obbligo ricordare un passo ben più famoso, ma ove il significato è del tutto analogo, quello del quinto canto dell’Inferno dantesco, quando Dante chiede a Virgilio di poter parlare con quei due, s’intende Paolo e Francesca, che se ne vanno per la bufera infernal che mai non resta, sì, ma sempre, si noti, saldamente abbracciati (un esempio di contrappasso non completamente spiacevole):

I’ cominciai: “Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ‘nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggieri”.

(Dante, Inferno, canto V, vv. 73-75)
Queste prime accezioni del termine sembrano dunque del tutto naturali: si vuol indicare una forte vicinanza. Quando un termine incontra successo nella lingua, questa tende a estenderlo e a trascinarlo ad altri usi e ad altre funzioni. Vi è un certo momento nella storia linguistica d’Italia nel quale l’avverbio, talvolta locuzione prepositiva `insieme a’, `insieme con’ viene promosso a sostantivo. Si comincia a poter dire “l’insieme di” o “l’insieme dei”. Mentre il primo uso attestato di questo tipo risale al nostro Cinquecento, mi pare più interessante citare qui un passo della celebre Storia della Letteratura Italiana di Francesco De Sanctis (Morra Irpina 1817 – 1883); l’autore sta parlando del Decamerone, e argomenta in modo assai suggestivo sulla capacità di Boccaccio di adeguare la struttura del suo periodare alla complessità dei fatti raccontati:

“Perché il fatto non è come l’idea, uno e semplice, ma come il corpo, è un multiplo, un insieme di circostanze e di accessori. Questo insieme è il periodo, il quale nella sua evoluzione è ciò che in pittura si chiama un quadro. Aggruppare le circostanze, subordinarle, coordinarle intorno ad un centro, ombreggiare, lumeggiare, è arte somma nel Boccaccio.”

(Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, 2 voll., Salani, Firenze 1965; I° ed. Morano editori in Napoli, 1870-71, vol. I, p. 397.)

Il sostantivo insieme appare dunque nella lingua naturale con la funzione di indicare un raggruppamento di oggetti, concreti o astratti, animati o inanimati, accomunati da una qualche caratteristica, da una qualche loro proprietà; in musica si usa il corrispondente francese ensemble per indicare un gruppo, solitamente più contenuto di un’orchestra, di artisti che suonano sistematicamente insieme. Come sempre succede, la scienza, che pure è costretta a servirsi del linguaggio naturale, pesca in questo grande magazzino termini che la aiutino a esprimere e a precisare i suoi concetti. E tale scelta può ben dipendere dalla lingua che si considera. Per quest’idea, che stiamo cominciando a mettere a fuoco, l’inglese usa la parola set, che proviene da una metafora completamente diversa che non lo `stare insieme’ e il tedesco usa Menge che ha a che fare con l’idea di mescolanza. Il russo množestvo fa riferimento all’idea di moltitudine. Le lingue romanze (con l’eccezione del romeno che utilizza il termine di origine slava molţime) si affidano invece all’idea comune espressa dall’italiano insieme, dal francese ensemble, dal castigliano e dall’identico portoghese conjunto, e dal catalano conjunt.
Naturalmente il punto di vista della matematica è il più neutrale possibile. Si parla di insieme non appena è individuata una certa famiglia di oggetti che hanno qualcosa in comune. Il che significa: un insieme può venire individuato da una determinata proprietà, oppure anche in un modo più debole: posso ostensivamente indicare alcuni oggetti e dire “l’insieme di questi oggetti”, o posso semplicemente elencarli, senza indicare una specifica proprietà comune, salvo, autoreferenzialmente, quella di essere stati da me indicati o elencati.

Il capitolo iniziale della moderna matematica si occupa proprio delle regole che si devono rispettare per poter parlare di un insieme e del come gli insiemi possono essere usati e combinati tra loro: è la cosiddetta teoria degli insiemi. Questa, che è oggi parzialmente insegnata fin dalla scuola media, con l’infelice nome di `insiemistica’, ha incontrato nella sua storia novecentesca, accanto a un notevolissimo sviluppo, impreviste difficoltà. Per quanto possa ingenuamente apparire priva di rischi logici, la nozione stessa di insieme si è invece rivelata particolarmente delicata e quindi rigogliosa fonte di paradossi e antinomie.
Tutte difficoltà connesse ad esempio alla frase “consideriamo l’insieme di tutti gli insiemi”: sarà un insieme? Apparterrà a se stesso? Mah. Su quel che segue qui mi guardo bene dal soffermarmi.

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4 Commenti

  1. Sparzani, la seguo sempre con il massimo piacere (e profitto: lei è una vera miniera di notizie e informazioni).
    Non so se presenterà le antinomie di Russell, nella prossima puntata (e se ci sarà un’altra puntata). Sicuramente conosce il saggio di Koyré a proposito di Epimenide – e la critica che rivolge a Russell proprio su questo terreno -: mi piacerebbe sapere cosa ne pensa.

  2. caro Enzo, grazie delle sue gentili parole. La prossima puntata sarà au un’altra parola base della scienza, la parola “funzione” e non avrà la delizia della Donzella; se vuole deve cercarla dopo le ore 16 del prossimo 10 febbraio sul sito “lapoesiaelospirito.com”, dove pure scrivo. Quanto a Koyré, ho visto che ha scritto su Epimenide a proposito del paradosso del mentitore e conosco la “soluzione” di Russell, ma non ho vsto la critica di Koyré a Russell, perché non c’è nel mio volume di “études d’histoire de la pensée scientifique”, se crede, mi dica lei dove trovarla!

  3. Salve prof (nel frattempo, mi sono informato :-) ),
    il saggio di Koyré si intitola Epiménide le Menteur ed è stato pubblicato da Hermann et C. éditeurs nel 1947 nella collana Histoire de la pensée
    In rete lo trova in formato DjView nel sito scientifico che usiamo un po’ tutti… ;-)

    farò volentieri un’escursione sul sito che mi ha segnalato.

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antonio sparzani
antonio sparzani
Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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