il Contagio

di Marco Rovelli 

Si trattava, per me, di iniziare. Si trattava, allora, di comprendere come iniziare. Come inaugurare questo mio ingresso nella tribù indiana. E ho ripensato a uno scritto “a fondo perduto” di qualche tempo fa, una meditazione sulla “lingua della sovranità”. In uno di quei paragrafi tentavo di articolare la forma dell’amicizia. Così ho deciso di “iniziare” (ma se l’Origine è ovunque, questo non è un “vero” inizio) con questa “esposizione” (esposizione di una forma, di un gesto: il gesto dell’amicizia, il contagio). Se nazione indiana ha da essere, non può che essere questo. Contagio, amicizia.

 

Nell’undicesimo paragrafo del Trattato Terzo del Convivio, Dante richiama proprio la descrizione dell’amicizia aristotelica per determinare i caratteri della filosofia. Filosofia e amicizia condividono la medesima struttura.

“E sì come de la vera amistade è cagione efficiente la vertude, così de la filosofia è cagione efficiente la veritade. E sì come de l’amistade vera è la buona dilezione, che procede dal convivere secondo l’umanitade propriamente, cioè secondo ragione, sì come pare sentire Aristotile nel nono de l’Etica; così fine de la Filosofia è quella eccellentissima dilezione che non pate alcuna intermissione o vero difetto, cioè vera felicitade che per contemplazione de la veritade s’acquista.”

Non può che essere l’amicizia, dunque, il luogo proprio dell’esercizio della virtù – l’esercizio dell’amore del sapere.

Ma cosa si deve intendere per virtù? Anzitutto, una simile concezione dell’amicizia deve essere compresa alla luce della concezione aristocratica dell’amore che Aristotele condivide, per cui l’amore si riversa senza contraccambio, per cui amare è superiore all’essere amati: una concezione ‘a fondo perduto’, potremmo dire, che ritroviamo in un pensatore a noi vicino, che è Georges Bataille. Per Bataille solo nel soggetto sovrano – solo dal soggetto sovrano – può aver luogo l’amore puro. Non è questo il luogo di chiarire la nozione batailleana di sovranità: ci basti dire che la sovranità è ciò che si sottrae al dominio dell’utile. Essa è dispendio – dépense -, movimento improduttivo e insensato che si sottrae al calcolo, al progetto, all’imperio del futuro sul presente. “Non vi è sovranità che ad una condizione: non avere l’efficacia del potere, che è azione, supremazia dell’avvenire sul momento presente, supremazia della terra promessa.” La sovranità accade in un istante: l’istante sovrano. La sovranità è ciò che è unico, è la differenza assoluta. La sovranità, scrive Bataille, “non è NIENTE”.

Inoltre: cosa significa – per noi – esercitare l’amore del sapere entro una relazione amicale? Essere virtuosi, dice Aristotele. Questo termine ci può sviare, forse. Bataille, ancora, ci viene in aiuto. La prima sezione del suo libro Il colpevole – uno dei tre che formano la Summa Atheologica – si intitola L’Amicizia. Diciamo subito, seguendo Bataille, che il virtuoso (ma diciamo dunque: il sovrano) è colui che parla all’altezza della morte. Il cui linguaggio si espone alla morte – al vuoto della lingua. L’uomo, per Bataille, è s-formato dal vuoto. Dopo Hegel, e prima di Lacan, Bataille afferma la natura lacerata dell’uomo. Il suo essere ferita. “Nella misura in ci gli esseri sembrano perfetti, restano isolati, chiusi in se stessi, Ma la ferita dell’incompiutezza li apre. Attraverso ciò che si può chiamare incompiutezza, nudità animale, ferita, i diversi esseri separati comunicano, prendono vita perdendosi nella comunicazione dall’uno all’altro.” Questa comunicazione non ha evidentemente nulla a che fare con la dimensione rappresentativa e mediatrice del linguaggio. Qui si tratta di un contagio che permette all’uomo di uscire estaticamente da se stesso, dal cerchio della ragione, con un balzo sovrano nella notte del non-sapere. “La verità non è là dove si considerano gli uomini isolatamente: essa comincia con le conversazioni, il riso complice, l’amicizia, l’erotismo e ha luogo solo passando dall’uno all’altro.”

E’ evidente che l’amore erotico è il veicolo privilegiato di questo contagio – il contagio è più intenso. L’amicizia partecipa di questa (im)proprietà transitiva che rifulge nell’amore, recuperando la contiguità semantica che amore e amicizia hanno presso i Greci.

“Chi parla di giustizia è egli stesso giustizia, propone un giustiziere, un padre, una guida.

Io non propongo la giustizia.

Porto l’amicizia complice.

Un sentimento di festa, di licenza, di piacere puerile – indiavolato.”

L’amicizia è tra complici: ovvero, presi insieme in una piega. Quella piega acefala è la morte. Il contagio comunicativo, in ultima analisi, accade nell’esposizione alla morte. La morte è il limite del sapere, e del linguaggio: è la negatività, la notte del non-sapere, appunto. La comunicazione all’altezza della morte espone le ferite l’una all’altra e conduce l’uomo al trascendimento della propria individualità, trasportandolo nell’amore, ovvero nella “negazione totale dell’essere isolato”. Per questo Bataille si sente legato da orrore e amicizia al giovane condannato cinese grondante sangue e giustiziato dal boia, che lui vede in foto. Perché solo la morte – la smentita definitiva e assoluta dell’Io, del principio di individuazione, dell’essere isolato – “lega l’esistenza a tutto il resto.”

Non a caso il paradigma dell’amico è, per Bataille, Nietzsche. Colui che ha esposto l’uomo all’unsinn – alla privazione del senso -, all’innocenza del divenire, all’ignoranza del futuro.

Sotto questo punto di vista, si potrebbe affermare che l’amore è un aspetto – quello più intenso, più sublime: più contagioso – dell’amicizia. O quantomeno è un insieme che con l’amicizia si interseca, e si confonde per qualche sua parte essenziale.

Il nome dell’amato che l’amante grida a occhi arrovesciati nell’istante dell’orgasmo è la ripresentazione della lingua pura che si manifesta nella sua pienezza nella vocazione di Adamo. L’amante è trapassata dall’amato – è (nel) puro trapasso (con-fusione) – e accoglie l’amato che la colma (un colmare che è far tracimare nell’incompiutezza), facendo di lei forma pura (vibrazione, puro godimento con-senziente). E’ il medesimo movimento di Adamo che accoglie l’inesprimibile facendosene specchio, trapassato dal linguaggio: l’accoglimento dell’inesprimibile è l’esposizione del linguaggio. El, o il nome dell’amato.

A questo movimento si addice quanto Bataille dice alla fine del suo saggio sull’erotismo: che la trasgressione erotica (rivelazione della morte – dell’inesprimibile – nella vita) “è la contemplazione dell’essere alla sommità dell’essere”. E subito dopo, infatti, rivelando come il momento sovrano sia il momento dell’esposizione del linguaggio, afferma: “Che cosa saremmo senza il linguaggio? Il linguaggio ci ha fatti quali siamo. Solo il linguaggio rivela, al limite, il momento sovrano in cui esso non ha più corso. Ma alla fine colui che parla confessa la propria impotenza”.

Verissimo amico, allora, è colui che ci contagia fino ad esporci alla morte – al linguaggio, al suo limite. Verissima amicizia è parlare senza fine fino a rivelare la propria impotenza.

L’amicizia crea il proprio spazio relazionale: lo gioca. Esso è lo spazio dell’atto non dovuto (obbligato) – dell’amore in quanto atto. Essa non ha fondo – è a ‘fondo perduto’. Non è un rapporto utilitario (mezzo-fine) – essa invece ci colloca nel ‘medio puro’ – mezzo senza fine. Interesse in quanto spazio dove si gioca il disinteresse: l’affermatività del medio puro, nel reciproco accrescimento di potenza.

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26 Commenti

  1. mi sembra di capire che sei il nuovo acquisto di NI anche se ancora non sei nel Chi siamo :-).
    E’ stata un’ottima scelta, sono contenta.
    Sinceramente quando ho provato ad indivinare a chi fosse diretta la chiamata, annunciata da forlani, non è a te che ho pensato, pensavo ad un poeta, ma avrei dovuto pensare anche a te, perchè sei perfetto. Auguri, sarò felicissima di leggerti finalmente in chiaro e non su fondo nero ;-)
    Un benvenuto di cuore, marco.
    georgia

  2. Ne abbiamo così bisogno, qui in questo spazio e dovunque, di giocare, di giocarci a fondo perduto. Di spingerci l’un l’altro al limite, senza vergogna d’essere così come siamo, oguno secondo il proprio limite. Per amore piuttosto, per quell’amore creativo e vitale che spinge a crescere in sé per accrescere la potenza dello spazio comune.

    Sono felice di ritrovarti Marco,
    un abbraccio, Mia

  3. Grazie a tutti (e in particolare a Mia, per essersi avventurata sul limite delle parole esposte al contagio).
    E’ un periodo di frequentissime migranze, per me, sono di continuo in giro per presentare il libro, per incontrare persone e per raccogliere nuovo materiale. Spero di poter esporre qui, prossimamente, qualche tappa dei miei itinerari.

  4. salve, figlio di origine oscura!
    Ti ho ascoltato dal vivo, con grande emozione, una sera d’estate a Cecina.
    Buon lavoro.
    maria

  5. Non ho seguito fino alla fine il post, ma conosco Rovelli come politico e cantante anarchico. Quindi speriamo bene se comincia a scrivere. Sono caduta nel post su Vibrisse, e ho avuto l’impressione di una corrida, non di un gioco. Anzi, almeno prima c’era db che giocava. Adesso Maradona è andato (io seguo saltuariamente anche Ubicue, e ho appena visto un annuncio dell’agnus day da morire!), e arriva Rovelli, che leggerò con interesse, se si farà capire.

    Patrizia

  6. “Ne abbiamo così bisogno, qui in questo spazio e dovunque, di giocare, di giocarci a fondo perduto.”

    Se fossi il “padrone” di NI, metterei questa frase accanto alla testata.

  7. Ciao Marco, ci siamo conosciuti quest’estate e ti rinnovo la mia simpatia.
    Bataille, invece, era un pazzo pericoloso. Non lo citerei per un encomio dell’amicizia. L’amicizia si sostanzia di soggetti ben strutturati (se no è solo simbiosi) e di progetti condivisibili, ma anche di riti condivisi, forme culturali del valore. Bataille è un esteta (anche se gli sarebbe piaciuto essere un mistico) della liquefazione spacciata per gioia. La cosa peggiore che ho provato, dopo l’eroina.

  8. Ciao Valter, ricordo in effetti che Bataille trasvolò nei nostri discorsi sui monti versiliesi, e anche allora dicesti più o meno questo. E’ vero, Bataille era pazzo, e pericoloso – chi si dispone al limite dell’essere si espone alla follia, e al rischio. La comunicazione tra esseri è comune esposizione al limite dell’essere, alla lacerazione dell’identità, questo per me è il senso verissimo e fondamentale della meditazione batailleana. L’uomo è forma fluens, così come l’essere è “glissant”, dice Bataille – l’uomo si tradisce se non si apre alla sua apertura. Perché l’uomo è proprio questo, lacerazione, o “desiderio di desiderio”. Ecco perché l’amicizia, come ogni vera comunità, non può che essere continua tras-formazione. L’eroina, invece, incatena a una forma (di vita).

  9. se Bataille è un pazzo pericoloso tutti quelli che pensano lo sono e quelli che non pensano sono sani di mente e affidabili?
    non credo proprio… pensare il fondo e il limite è pericolosoma è l’unica possibilità della filosofia (per la vita, non so…)
    GP

  10. (Dell’invidia astiosa)
    Ah, uomini colti! Vi devo invidiare? Si dice che dovrei, voi avete letture, voi avete riferimenti, quelli come me possono solo citare se stessi. Voi conoscete il percorso umano dalla notte dei tempi, le sue strade, i suoi viottoli e tutte e tutte le pietre miliari che lo contrassagnano. Voi sapete legare e slegare, interpretare e concludere, interpretare e rilanciare, nel giuoco infinito che non è solo vostro, però: anche noi vi partecipiamo, senza modestia (poiché l’incolto quasi mai è modesto) e senza risultati apprezzabili, così forse come voi.

  11. Bataille è un pazzo pericoloso non per quello che pensa, ma per quello che non pensa, cioè il limite e la misura umana. Ma ha ragione Il treno a vapore: siamo troppo colti, troppo vecchi, abbiamo bisogno di droghe sempre più pesanti, come Bataille, appunto.

  12. Il lavoro di Bataille è invece tutto sul limite. Se trova che il limite è scivolante, e di continuo rimesso in discussione da ciò che lo eccede, non è “colpa” sua!

    In ogni caso, Valter: troppo colto e troppo vecchio sarai tu…

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marco rovelli
marco rovelli
Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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