Murene, il primo volume

Brani tratti da Dormendo con la luce accesa, di Stephen Rodefer
traduzione e cura di Andrea Raos

Recinzione dell’alce

Scrissi parole sul ciglio della mia casa e attorno agli angoli della sua bocca – aspettavo quei giorni che aspettano che la vita li inglobi. Le figure di Pompei erano fatte e scavate per me. Le prendo sul personale. Se imbarazzato dal mio lavoro, mi volgevo alla satira. Ciò che non sarà mai positivo nondimeno lotterà, di notte come un animale selvaggio e di giorno come un cane. Gli epigoni vengono sferzati, niente da fare per le affinità elettive. Il lavoro adesso non è che un tratto a matita, volgare ma importante. Dedica il suo orifizio all’avventurarsi nella gestione delle modalità. Sarà un eroe con un’ala sola. Ma non sarà mai soddisfatto di nessuna veduta del mondo a meno che non possa dirigersi verso i suoi tratti essenziali. Anche quando sono nascosti alla vista, si affretterà a farli materializzare.

La colpa di ogni sforzo sarà ogni giorno tentare troppo, mai troppo spesso. La nostra arte non ha alcuna importanza, ma questo non importa. Siamo nati in questa strettezza e dobbiamo trarre da questa situazione più di quanto sembrerà mai possibile. Decidere a cosa servirà fare cose al di là del proprio potere. Il riconoscimento difende la risata; la ragione, il dimenticarsene su un tappeto di memoria.

Tuttavia non è da disprezzarsi che il matrimonio possa essere un grande sollievo. La sposa e lo sposo trovano quel luogo pieno di nulla in cui pure si fanno sommergere dall’emozione. La fonte di ogni felicità successiva sarà il vivere senza pretese. Chi non lo farebbe? Mio padre, che vive qui, mi regalò la barchetta, il trenino, il teatro dei burattini. Mi vestivo come un amante alchimista al mare, benché tu mi prendessi per un semplice istruttore. Se non sono uno zingaro, puoi pur sempre pensare che sono un po’ strano. E così la storia dell’arte è la falsificazione di fatti che nel loro accadere non sono né fattuali né storici. Così il movimento, di cui sono una parte, non è altro che una parte del mio proprio sviluppo.

Uno si libera grazie al lavoro, anche sull’orlo della catastrofe. Quanto puoi continuare a ritardare la vera natura delle sensazioni? Dobbiamo rifiutare di essere immiseriti dalla sistematicità. La vera natura crea combinazioni per sconfiggere il naturalismo. Ci sarà sempre sulla tavola, se guardi, un vaso di intenzioni.

Dovunque tu vada, non ci sarà altro che righe e ritmi di superficie. E poi non lasciar mai proferire parola al volere. Perché noi tutti viviamo felici tanto con i morti quanto con i non nati. Più vicini della media al cuore della creazione, ma non vicini abbastanza. La realtà sarà invisibile sempre. Il mondo visibile non sarà altro che un caso particolare, quello stesso che siamo giunti qui per rovesciare. Dopo che è tratto il dado del fato – e chi dice che non lo è stato – è inutile tollerare alcunché di inferiore.

La prospettiva allora ti farà sbadigliare, aprendo un buco nella natura. Mentre le ombre scure del paesaggio visibile attraverso la pellicola sono comunque piene di promesse, la proiezione è ancora debole sul bordo. Le pagine contratte devono essere rigorose e ricche di sostanza. Ma le parole trasferiscono all’essere uniche e durevoli. Nessun elemento dominante vuole permettere la coltivazione del cambiamento. L’idea tra le altre dell’amore e del suo tempo concomitante ebbe troppa presa su tutti, il suo programma eternamente attraente, perché la speranza di più grande inclusione dovesse essere dispersa dalla più volontaria deliberazione in favore della fantasia e dell’apertura. Indipendenza sarebbe stato il falso nome provvisorio per tutti questi stati.

Quante cose, dopotutto, ci sarebbero richieste per fare arte. Quante cose oltre a essere un creatore d’arte dovrebbe essere un artista, per fare arte. Per rendere ciò che era visibile, credevano, ciò che non lo era. Un qualche tipo di recinzione, un iniziale sbarramento o un laccio in più sembravano essere il necessario primo passo.

Ma ora immagina che sei stato morto per molti anni e finalmente ti viene permesso di gettare ancora una volta uno sguardo sulla terra. E che tutto ciò che riesci a vedere è un vecchio cane che drizza una zampa contro un lampione o un muro. Eppure non puoi fare a meno di singhiozzare dall’emozione. Perché di questo la mia lampada brucia a volte così calda che ai più sembra addirittura che manchi di calore. Come il male festivo potrebbe essere detto – potrebbe essere disegnato – di uno zeppelin in volo sopra una cattedrale. Ma io sono assente.

Io non appartengo alla specie. Il mio sole e la mia carne sono necessari, ma io resto qui muto e ispido, in un sobborgo di bambini. Poco importa se poi le sentinelle fanno commenti sull’ospitalità della regione. La specie è in me, ma io sono neutrale.

Enclosure of Elk

I wrote words on the brow of home and around the corners of its mouth – waiting for those days which wait for life to engulf them. The silhouettes of Pompeii were made and excavated for me. I take them personally. If embarassed by my work, I turned to satire. What will never be positive will nevertheless struggle, like a wild animal by night, a dog by day. The epigones are slashed, the elective affinities are not dice. The work is nothing now but a pencil motif, vulgar yet important. It dedicates its orifice to pioneering the handling of modalities. It will be a hero with one wing. But it will never be content with any view of the world except as it may proceed to its essentials. Even when they are hidden from view, it will hasten to make them materialize.
The fault of all endeavor every day will be to attempt too much, never too often. Our art is unimportant, but that does not matter. We were born to this means and we must make more of our situation than at first it will seem ever to allow. Decide what will be the use of forcing oneself to do things beyond one’s power. Acknowledgment advocates laughter; reason, its forgetting on a carpet of memory.
Though it is not to be despised that marriage should be a great relief. The bride and groom find that place full of nothing in which they still fall down with emotion. The source of all happiness afterward will be to live without pretension. Who will not? My father, who lives here, gave me my sailboat, my train, my puppet theater. I dressed like an alchemist lover at the sea, though you took me merely for an instructor. If I am not a Bohemian, you still can think that I am somewhat odd. And so is art history the falsifìcation of facts which as they occur are neither factual nor historic. As the movement, of which I am a part, is nothing but a part of my own development.
One liberates oneself through work, even on the eve of catastrophe. How long can you continue to delay the true nature of sensations? We must refuse to be beggared by orderliness. True nature creates combinations to defeat naturalism. There will always be on the table, if you look, a vase of intentions.
Wherever you go, there will be nothing but lines and surface rhythms. Then let never will speak word. For we all live as happily with the dead as with the unborn. Nearer to the heart of creation than is usual, but not near enough. Reality will be invisible always. The visible world will be nothing but a special case, the very one we have come here to overthrow. After the die of fate is cast – and who is it says it has not been – it is pointless to tolerate anything inferior.
Perspective then will make you yawn, opening a hole in nature. While the dark shades of the landscape visible through the film are nevertheless full of promise, the cast is still weak at the top. The contracted pages are to be rigorous and substantive. But the words devolve to be persistent and unique. No element is dominant that wants to allow the cultivation of change. The idea among others of love and its concomitant rime took too great a hold on everyone, its program of everlasting appeal, that the chance for greater inclusion would have to be squandered by the more willful deliberation to fantasy and drive. Independence would be the interim fake name for all these new states.
What a lot of things, after all, would be required of us to make art. What a lot of things besides being a maker of art an artist would have to be, in order to make art. To make that which made visible, they believed, that which was not. Some kind of enclosure, some initial fence or extra latch, seemed to be the necessary first step.
But now imagine that you have been dead for many years and that at long last you are permitted once more to glimpse the earth. And all you can see is an old dog, cocking a leg against a lamp post or wall. Still you can’t help sobbing with emotion. Because of this my light burns sometimes so hot that to most people it seems even to lack warmth. Like the festive evil it could be said – it could be drawn – of a zeppelin flying over a cathedral. But I am absent.
I do not belong to the species. Though my sun and chair are necessary, I remain here dumb and bristling, in a suburb of children. Let the sentries comment later on the hospitality of the region. Though the species is in me, I am neutral.

Endscape

… l’ultimo sgorgo di colore va a riposo. Polle squadrate mormorate sotto i loro puntelli a creare un movimento che sfumava in altro quasi. Le rocce lì accanto mantenevano il loro apparente riposo leggermente fuori vista. Qualche cosa piccola faceva in modo da svicolarvi sopra un minuto dopo, poi stavano immobili. Poi sembrava che lì non ci fosse nulla. Dove sorgeva un debole mormorio, memore di una promulgazione anteriore, cessata da tempo, dopo una durata immisurabile, a coprire da dietro ogni cosa, un argine sfaldandosi scivolava senza suono nella fossa – per un attimo, un pezzo di una qualche prova che non sarà mai più registrata né pensata. Poi spariva anche quello.

La notte stanotte era la stessa notte che era. Domani la luce frugherebbe qua e là la stessa scena, come ha sempre fatto. Ieri era un nuovo giorno.

Endscape


… the last surge of color settled to rest. Squarish pools murmured under their stanchions, making a movement that was almost another color. Rocks nearby kept their seeming repose a trifle out of sight. Some little thing made as though to sidle onto one of them in another minute, then it remained still. Then there seemed that there was nothing there. Where a faint humming rose, reminiscent of some previous enactment, long ceased, after an immeasurable duration, over against the back of everything, a disintegrating bank slid silently into the fosse – for a moment a floating hunk of some evidence no longer to be recorded or guessed at. Then it too was gone.
The night this night was the same night as before. Tomorrow the light would rummage through the same scene, as it has always done. Yesterday was a new day.

Postfazione

[…] ritengo l’impresa della poesia musicale e grafica a un tempo, più che letteraria. Perché è tanto più illuminante e divertente [amusing] (MUSICA/MOSAICO, che appartiene alle Muse) comporre la lingua o dipingere la poesia, che non limitarsi a scriverle.
Così un libro dovrebbe essere profondo come un museo e vasto come il mondo.

Questo scrive Stephen Rodefer nella sua prefazione a Quattro conferenze [Four Lectures, 1982] – e ci si potrebbe quasi fermare qui. L’approccio musicale e sinestesico alla parola, la variazione etimologica o presunta tale che apre inaspettate direzioni di senso (viene da pensare all’uso proliferante delle “notine” nel Klavierstück IX di Stockhausen), il costante, studiatissimo salto di registri, la lucida coscienza – di esplicita matrice modernista – del dato storico e dei mille modi per ignorarlo, aggirarlo, rimetterlo in discussione, “farlo nuovo”; tutti i tratti essenziali della poesia di Rodefer vi sono contenuti, con ammirevole chiarezza di autopercezione.

Le due sequenze che presento declinano in modi diversi queste caratteristiche.

Le Quattro conferenze sono un oggetto abnorme, che anche a livello materiale si maneggia con difficoltà (basti pensare che, benché da molti siano considerate il capolavoro di Rodefer, è risultato impossibile includerle nel recente Selected Poems): quattro lunghissime, torrenziali ricognizioni del mondo, infarcite di citazioni esplicite e criptate, lapsus, spezzoni di frase come se ne orecchiano per strada o al bar, meditazioni in apparenza svagate sull’arte e sull’esistere… Sono strumenti espressivi che derivano in modo molto diretto dalla poesia di Frank O’Hara, ma anche da certo Bukowski – una radicale trasversalità, indifferente a ogni nozione di scuola, è in effetti una delle grandi qualità di Rodefer; ma a questi si aggiunge un forte senso di instabilità del linguaggio e dei soggetti dell’enunciazione. Questa è spesso indeterminata, sempre frammentaria, mai univoca; al tempo stesso malgrado e grazie a questi procedimenti, Rodefer ottiene effetti in apparenza non conciliabili di pathos freddo, rilievo catastale su una catastrofe imminente.
Di questo libro va anche sottolineato il forte valore resistenziale. Apparso all’indomani della prima elezione di Ronald Reagan a Presidente degli Stati Uniti, si colloca in opposizione netta alla – in parte conseguente – ondata di ritorno all’ordine che in quegli anni investiva ogni campo delle arti. Traversante tutte le presunte coppie contrastive della creazione (figurativo / astratto, tonale / atonale, scritto / orale, linearità / verticalità sintattica), la scrittura di Quattro conferenze indica mille e mille modalità possibili della non acquiescenza ai multiformi Poteri che pretendono di dittare – che si scriva “sotto dittatura” – l’immaginario.

Pubblicate poco meno di dieci anni dopo, le prose di Durata passante [Passing Duration, 1991] modulano in altri modi queste stesse esigenze, arricchite da un ulteriore aspetto fondante dell’attività di Rodefer: la traduzione. La semplice lista degli autori che nel corso degli anni Rodefer ha tradotto e/o transcreato parla da sé, in termini di profondità del museo (l’esatto opposto, cioè, di “museale”) di cui il poeta ha scelto di disporre: Lucrezio, Saffo, Dante, Villon, Baudelaire, Hölderlin, Rilke e, in francese, proprio O’Hara.
In particolare, Durata passante è fondato su riscritture della Commedia e dei diari di Paul Klee. L’andamento memoriale, spesso elegiaco che lo sostiene, non esclude né l’invettiva politica (“Ricchezze”) né l’impavido assalto “delirante” all’irriducibile complessità del reale (“Cacciando”). Soprattutto, queste prose sviscerano l’abissale serietà del riso, scagliano sulla pagina il lato burlesco della più sentita passione amorosa, svelano la transitorietà dello spericolato citare gli Antichi. E l’indicibile, il sintatticamente indecidibile di tutto ciò.
Ne deriva una trasognata estaticità terrena che, come ogni cosa destinata a sparire, non cessa di durare.

§

Voglio concludere con un aneddoto per me molto importante. Nel corso dei miei primissimi contatti con la poesia di Rodefer, avevo voluto verificare cosa di lui fosse disponibile in Italia o in italiano. Poche mie ricerche furono più rapide: non c’è niente. Tranne che saltò fuori, dal catalogo online dell’Università degli Studi di Milano, proprio una copia della leggendaria e introvabile (anche negli Stati Uniti) prima edizione di Four Lectures: appartiene al Fondo Antonio Porta e sulla scheda è annotato “con dedica autografa dell’Autore”.
Non ho idea di quali rapporti ci siano stati tra Antonio Porta e Stephen Rodefer. Ma voglio immaginare questa piccola edizione italiana del poeta statunitense anche come la ripresa di un discorso che sarebbe potuto esistere, o brutalmente interrotto.
Il presente davvero è profondo come una biblioteca. Chiede solo di uscire e di spandersi a divorare il mondo.

A. R.

Stephen Rodefer (1940) è l’autore, tra l’altro, di One or Two Love Poems from the White World [Un paio di poesie d’amore dal mondo bianco], Pick Pocket, 1976, VILLON di Jean Calais (pseudonimo), Pick Pocket, 1976, The Bell Clerk’s Tears Keep Flowing [Le lacrime del fattorino continuano a scorrere], The Figures, 1978, Four Lectures [Quattro conferenze], The Figures, 1982 (vincitore dell’American Poetry Center’s Annual Book Award), Oriflamme Day [Giorno dell’orifiamma], con Ben Friedlander, House of K, 1984, Emergency Measures [Misure d’urgenza], The Figures, 1987, Passing Duration [Durata passante], Burning Deck, 1991, Leaving [Partendo], Equipage, 1992, Erasers [Per cancellare], Equipage, 1994, Left Under A Cloud [Lasciato sotto una nuvola], Alfred David Editions, 2000 e Mon Canard: Six Poems [Mon Canard. Sei poesie], The Figures, 2000.
Una selezione della sua opera è raccolta in Call It Thought: Selected Poems [Chiamalo pensiero. Poesie scelte], a cura di Rod Mengham, Carcanet, 2008.
Gli è stato dedicato un numero del quadrimestrale di letteratura Chicago Review (54:3, 2009).
Oltre a Villon, Rodefer ha tradotto Saffo e i lirici greci, Catullo, Lucrezio, Dante, Baudelaire, Rilke, Frank O’Hara e il poeta cubano Noel Nicola.

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13 Commenti

  1. grazie!!!!!!!!!!!!!!

    LA POESIA CHE PRESE IL POSTO DI UN MONTE
    Wallace Stevens

    Era là, parola per parola,
    La poesia che prese il posto di un monte.

    Egli ne respirava l’ossigeno,
    Perfino quando il libro stava rivoltato nella polvere del tavolo.

    Gli ricordava come avesse avuto bisogno
    Di un luogo da raggiungere nella sua direzione,

    Come egli avesse ricomposto i pini,
    Spostando le rocce e trovato un sentiero fra le nuvole,

    Per giungere al punto d’osservazione giusto,
    Dove egli sarebbe stato completo di una completezza inspiegata:

    La roccia esatta dove le sue inesattezze
    Scoprissero, alla fine, la vista che erano andate guadagnando,

    Dove egli potesse coricarsi e, fissando in basso il mare,
    Riconoscere la sua unica e solitaria casa.

     
    ,\\’

  2. Un miracolo, morso, sull’angolo della caviglia.
    Qui la luce attraversa la traduzione, dal profundo
    alla superficie, si legge pietre di Pompei, si vede
    in un lampo un cane, un dolore di cane, una presenza
    nel miracolo della poesia.

    Andrea Raos è sempre archeologo della bella traccia della poesia.

  3. La nostra arte non ha alcuna importanza, ma questo non importa (eppure questo non basta)
    merci a monsieur Rodefer e alla sua oltranza insensata :-)

  4. Bel progetto! parole e visioni che trasportano su un altro pianeta sul quale sedersi e guardare da lontano gli indaffaratissimi, piccoli umani del pianeta Terra.
    La Nota del Curatore riportata nel post precedente direi che sintetizza molto bene l’essenza di Rodefer.

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