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La Voce, la Scrittura

di Marco Rovelli

 Questo scrittore ha una sua voce, si dice. E lo si dice appropriatamente, a mio parere. Nel canto, decisiva è l’intenzione. Ovvero, il come la voce è portata. Il come della voce: un come che fa meraviglia. Un non-so-che che fa la differenza.

In auto, ascoltiamo – velocemente – un cd di quelli comprati a un euro e novanta. Canzoni degli anni quaranta, Nilla Pizzi, Flo Sandons, eccetera. Poi, un cd di Rosa Balistreri. Ed è tutta un’altra cosa. Rosa, meravigliosa cantante della tradizione popolare siciliana, nata nella durezza della miseria, Rosa che porta nel suo canto la pietra e il sole.

La voce carica di emozioni di Rosa segue essenzialmente dei codici tradizionali, la cifra stilistica della propria tradizione. E dei codici segue anche Nilla (anche lei sa cantare). E’ come se fosse proprio di ambedue di inoltrarsi in un labirinto. (Il labirinto è il codice). Ambedue cresciute, educate a riconoscere dei segnali per avanzare nel labirinto. Il talento, allora, non è che l’abilità a riconoscere quei segnali, la sveltezza, l’agilità di destreggiarsi, per non perdersi, l’intuizione nel cercare soluzioni nuove: insomma, è questione di forza, di intensità.

Ma un labirinto – quello di Nilla – è angusto, asfittico, e ha pareti rosa e azzurre. L’altro è ampio, assolato, ha pareti di pietra, il cammino è aspro. E’ un labirinto che ha il dono del tremendo. E la sua ampiezza, ovvero la sua profondità (dacché la superficie è il profondo), fa sì che vi si inoltra ha la possibilità, come si dice, di andare più nel profondo. Il labirinto di Rosa ha una profondità materica impressionante. Si tratta della matericità delle cose, e del tempo.

Il disegno di un labirinto è la raffigurazione iconica di un mondo. La sua idea – come un geroglifico. La grande voce è quella che riesce a percorrerlo tutto, il labirinto, a rendere la forma compiuta (ma nel momento in cui si compie, si è ancora nell’incompimento: di più, a quel punto, si è nel vuoto). Per questo una grande voce è, essenzialmente, impersonale. Così come anche un grande scrittore. (Ci sono dunque gli elementi per una distinzione tra talento e genio).

L’intensità, la voce: come dirle? Come dire quell’emozione che colora una voce? Non è più questione di struttura, di tecnica: siamo oltre, e c’è di più, in gioco. Quel di più, forse, che la poesia prima di tutto, e più in generale la letteratura, tentano disperatamente di dire. Si tratta di un’urgenza espressiva che, nella scrittura, è ciò che fa sì che le parole dicano di più di quel che raccontano. Parole al limite, che si sporgono sul bordo. Parole, e storie, che designano un silenzio, una fenditura lavica, un fuoco. Icone del fuoco.

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7 Commenti

  1. Grazie per il titolo di aedo, Francesca, ma mi accontenterei di quello di cantore…
    Quanto al pezzo, mi auguro si sia compreso che Rosa è un pretesto per parlare della scrittura, anzi: per mettere in figura ogni tipo di processo creativo, oltre la partizione arte/tecnica.

  2. ricordo l’ultima Festa de l’Unità (1982) tenutasi a Casalvecchio Siculo, a nord di Taormina – qualcosa di davvero eccezionale (prima dell’implosione, a prescindere dal muro di Berlino, dell’allora PCI) – agosto, il fresco di una collina aperta sullo Jonio e la capacità miracolosa di riuscire a far giungere nel più sconosciuto dei paesi d’Italia, nella stessa settimana, Rosa Balistreri e poi Franco Trincale e ancora l’omerico Ignazio Buttitta, con le donne anziane, memori del fascismo padronale, a commuoversi ascoltando soprattutto Rosa ed Ignazio – Rosa, la “pampuina di l’aliva”, e donne che canta(va)no i “canti a dispettu” nei miei ricordi legati alla raccolta dele olive – l’inesausta, eppure morta ormai, creatività di un popolo…

  3. di franco trincale ecco “dove sta saddam”:

    (ballata scritta molto prima della cattura di Saddam)

    NON MI VOGLIO FERMARE

    PER LA PACE CONTINUO A CANTARE

    CONTRO CHI COI DOLLARI E LE ARMI

    HA CREATO MOSTRI E FANTASMI

    CONTRO CHI QUELLE “ARMI DI MASSA”

    VA “CERCANDO” E IL MONDO SCONQUASSA

    CHE ESPORTA LA DEMOCRAZIA

    DISTRUGGENDO LA UMANA POESIA

    QUEGLI INGLESI E AMERICANI

    CHE IL SADDAMM ALLOR VOLLERO ARMARE

    PER IL MOSTRO MANOVRARE

    NELLA GUERRA ALL’IRAN

    ….Fù nel 1981, che Saddam le armi chimiche usò

    contro il popolo, la sua stessa gente

    e migliaia di morti causò

    Ma nessuna democrazia, la sua voce allor levò

    …ANZI:

    a Detroit venne accolto, con festoso attestato

    e cittadino onorario, il Saddam fù nominato…

    OR LA STATUA DELLA LIBERTA’

    E’ GIOIOSA DI FELICITA’

    CON LE MANI SANGUINANTE

    E LA CACCA ALLE MUTANDE

    E LE MADRI E LE SORELLE

    DEI CADUTI A STRISCE E STELLE

    PIANGON LACRIME DI GLORIA

    ..E L’AMERICA FA’ LA STORIA

    ….E SOPRA LE MACERIE ROVENT

    CADONO IMPICCATI I MONUMENTI

    I BRONZI DEL SADDAM CHE QUA’ E LA’

    LO CERCANO MA DOVE NON SI SA’DOVE STA SADDAM

    LO CERCA LA CIA

    PE’ ACCHIAPPA’ SADDAM

    CHE MACELLERIA

    SPARA SPARA A SADDAM

    SADDAM STA …LLA’

    SPARA SPARA SADDAM

    SADDAM NUN CE STA’

    ….E I MISSILI AMERICANI

    LE BOMBE INTELLIGENTI

    AMMAZZANO GLI INGLESI

    NEI LORO SBARRAMENTI

    GLI IRAKENI LIBERATI

    FAN VENDETTE NELLE CITTA’

    E GLI ALLEATI TACITI

    LI LASCIANO SACCHEGGIAR

    FATE FATE FATE PURE

    SON CONTENTI GLI OCCUPATORI

    E COSI’ DA “LIBERATORI”

    SENZA L’ONU GOVERNERAN

    IL PETROLIO CAMBIA GESTIONE

    ED IL POPOLO IRAKENO

    AVRA’ PANE ED ISTRUZIONE

    DALL’AMERICA PADRON

  4. “Per questo una grande voce è, essenzialmente, impersonale. Così come anche un grande scrittore. (Ci sono dunque gli elementi per una distinzione tra talento e genio).” Così scrivi. uhm, uhm, ehm, ehm, non capisco abbastanza. Il genio è quello che ha una grande voce impersonale? Intuisco che c’è qualcosa dietro a quell’impersonale, ma non so bene cosa, vuol dire universale? Che la capiscono tutti gli uomini e le donne del mondo? Dài, dimmi qualcosa di più. Grazie comunque del pezzo da cantore doc.

  5. caro Antonio, so che si apre un mondo multiverso, dietro a un concetto che si tenta di articolare, tutto da pensare… in ogni caso: non intendo “universale” quanto alla comprensione, ma proprio impersonale in quanto non è l’opera che appartiene all’artista, ma il contrario. Dico (ma vorrei che provassimo a dirlo insieme, “impersonalmente”), che l’opera d’arte non è frutto della creazione ex nihilo, o à la Schelling – a replicazione di Dio -, ma che essa in qualche modo preesiste all’artista. Il quale è un canale, un vettore, e ancora più precisamente un lettore. Il grande artista, allora, (il genio) conosce il codice, lo “sa” (sapore/sapere) meglio e più a fondo degli altri (conosce ogni snodo del labirinto, ogni impasse, ogni senso), e perciò è in grado di restituirlo “compiutamente”: ma nel compimento, come ognuno sa, dimora il minotauro, e il minotauro è il collasso stesso dell’itinerario; compiere il labirinto allora significa – al culmine dell’impersonalità – consegnarsi all’incompimento, significa cessare di appartenersi.

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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